Economia
June 07 2022
Se siete automobilisti segnatevi le date del 7 e 8 giugno. Da sempre su questo giornale abbiamo cercato di spiegare come l’idea di abbandonare troppo in fretta i motori endotermici fosse una follia, un suicidio industriale e una decisione presa sull’onda di pura ideologia. Le date che avete letto sono infatti quelle della votazione che il Parlamento europeo dovrà fare per capire dove finirà il progetto di impedire la costruzione di motori termici per auto e veicoli commerciali leggeri entro il 2035. O per meglio dire, sarà l’ultima possibilità per rinsavire e prendere le uniche decisioni che l’industria troverebbe sostenibili dai punti di vista finanziario, tecnologico e occupazionale. Oggi la chiamano “neutralità tecnologica”, ma in pratica è l’idea di non considerare soltanto l’elettrico come via alla decarbonizzazione.
Un’idea, sia chiaro, non campata in aria ma che salverebbe una buona parte dei 73.000 posti di lavoro dell’indotto destinati a scomparire, dei quali soltanto 5.500 verrebbero riassorbiti dalla produzione di veicoli a batteria. Dati confermati dall’assemblea annuale dell’Anfia, l’associazione della filiera automotive che si è svolta a Firenze il 31 maggio.
Se a Bruxelles passerà il regolamento per le emissioni di C02 previste dal pacchetto “Fit for 55”, ovvero lo stop alla costruzione di motori endotermici entro pochi anni, saremo fritti. E stanti i problemi energetici che abbiamo cominciato ad avere – i 30 centesimi di tasse sui carburanti non saranno sufficienti e comunque andranno pagati in debito dalle generazioni future – servirebbe che gli euro parlamentari avessero un approccio più realistico e pragmatico. Perché con il sì allo stop, oltre a perdere competenze, si fermerebbero gli investimenti del settore e addio alla possibilità di motori in standard Euro 7 o migliori e ad altre soluzioni possibili da considerare attentamente. Ma anche via libera alla dipendenza dalla Cina per batterie e componenti. Siamo infatti in ritardo con l’apertura di fabbriche che producono batterie, ci troviamo nella condizione di essere sprofondati all’ottavo posto in Europa per volume della produzione di autoveicoli (eravamo terzi dieci anni fa), e abbiamo politici che sognano cittadini senza più automobili scambiando l’ecologia per il regresso sociale.
Contemporaneamente non c’è verso di invertire la tendenza del mercato automobilistico nazionale, che ora cede quote nonostante gli incentivi. Secondo Anfia, dal 2017, quando furono venduti 2,21 milioni di veicoli, il calo è stato continuo: -3,2% nel 2018, +0.5% nel 2019 e giù ancora del 26,62% nel 2020, ma c’era a pandemia, ma immatricolazioni (nuovo e usato) a -37% nel 2021. Un disastro che molti definiscono la tempesta perfetta, ma che a breve sarà un vero incubo, con oltre la metà degli europei a non potersi più permettere un’auto nuova perché elettrica, e aiuti statali a pioggia per sostenere un mercato a spese di chi poi, anni dopo, dovrà pagare quel conto.