L'incredibile storia del topo che ricordava cose mai avvenute

Quanto ti fidi dei tuoi ricordi? 

No, sul serio, non sto citando un romanzo di Philip K. Dick, né tantomeno la tag-line di film di Christopher Nolan, è la domanda che mi si è imposta alla mente scorrendo le pagine del nuovo studio pubblicato dal Premio Nobel Susumu Tonegawa sull’ultimo numero della rivista Science, nel quale il neuroscienziato del MIT ha dimostrato come sia possibile indurre un topo a sviluppare ricordi per esperienze che in realtà non ha mai vissuto.

Per ottenere questo risultato, Tonegawa e i suoi compagni di laboratorio hanno creato un topo geneticamente ingegnerizzato in modo da esprimere una particolare proteina (ChR2) esclusivamente nelle cellule dell’ippocampo coinvolte nei processi mnemonici. Così facendo, Tonegawa ha potuto porre un “marchio” per contraddistinguere le cellule coinvolte in un particolare engramma (sostanzialmente, un ricordo). Poiché la proteina ChR2 è fotosensibile, i ricercatori hanno potuto sfruttare una tecnica chiamata optogenetica per attivare un determinato ricordo in un secondo momento.

Ok, Deotto, basta con i paroloni. Come diavolo hanno fatto a impiantare un falso ricordo nel cervello del topo? 

Ora ci arrivo. L’esperimento di Tonegawa era in realtà piuttosto schematico: in una prima fase il topo veniva piazzato all’interno di un particolare ambiente che chiameremo camera A (immaginiamola come una scatola blu), il topo in quell’occasione ha sviluppato ricordi relativi a quella specifica esperienza (esprimendo nel contempo la proteina ChR2). In una seconda fase, il topo è stato spostato in un secondo ambiente che chiameremo camera B (una scatola rossa il cui pavimento era costituito da una griglia elettrificata). Qui, un attimo prima di attivare la griglia elettrica, e quindi indurre nel topo un trauma fisico e un conseguente ricordo, utilizzando una fibra ottica impiantata nel cervello del ratto il team ha attivato la proteina ChR2 inducendo nel ratto il ricordo della prima stanza, quella blu e sicura. Risultato: quando poi il topo è stato fatto calmare e riportato nella prima camera, si è subito paralizzato, manifestato i chiari segni di un ricordo traumatico legato alla camera A, come se nella sua testa avesse associato il trauma della griglia elettrica alla permanenza nella prima stanza.

In sostanza, il team di Tonegawa è riuscito a indurre il topo a sviluppare un falso ricordo relativo a un’esperienza mai vissuta.

Questo genere di esperimenti dimostra quanto il processo mnemonico sia in realtà un processo di ricostruzione.spiega Steve Ramirez, uno degli autori dello studio “Un ricordo non è una copia carbone, quanto piuttosto una ricostruzione del mondo che abbiamo esperito. La nostra speranza è che, offrendo una spiegazione neurale che spieghi i falsi ricordi potrebbero essere generati, alla fine saremo in grado di utilizzare questo tipo di conoscenza, per dire, in un’aula di Tribunale, per dimostrare quanto poco affidabile possa essere al testimonianza di un testimone oculare.

Più che un primo passo verso l’impianto di ricordi artificiali (a la Total Recall , per intenderci), l’esperimento condotto da Tonegawa è piuttosto una dimostrazione di quanto labili siano i confini che delimitano i nostri ricordi. Questo tuttavia non significa che la tecnica sviluppata dal Premio Nobel rimarrà una curiosità da libro di testo. L’obiettivo ultimo di Tonegawa e dei suoi colleghi è quello di sfruttare questo tipo di conoscenza per imparare a “editare” la memoria umana a fini terapeutici.

L’esperimento sul topo è infatti un fondamentale passo nello studio dei delicati processi che portano alla formazione dei ricordi, e allo stesso tempo apre il passaggio a una serie di nuove possibilità per il trattamento di disturbi cognitivi e psicologici.

Quello che vogliamo non è impiantare o ‘generare’ esperienze fasulle nella mente umana” spiega Tonegawa “quanto piuttosto sviluppare metodi per ridurre le anomalie cognitive associate con disturbi psichiatrici, come ad esempio le illusioni sperimentate dai pazienti affetti da schizofrenia.”

Ma il ventaglio di potenziali applicazioni è assai più vasto. Partendo dalle scoperte di Tonegawa, si potrebbe ipotizzare di trattare alcuni casi di depressionecronica legati all’incapacità di un soggetto di associare sentimenti positivi con determinati ricordi, o casi di ansietà imputabili alla manifestazione intrusiva di ricordi negativi. C’è poi chi ipotizza di utilizzare simili tecniche optogenetiche per aiutare persone affette da traumi a ricostruire determinati ricordi, o quelle affette da deficit mnemonici ad consolidare quelli esistenti.

Prima di lasciar correre l’immaginazione, però, sappiate che la strada da fare è ancora lunga (il cervello di un essere umano non è esattamente identico a quello di un topo). Perciò toglietevi dalla testa l'idea di rapire un ricco figlio di papà per impiantargli nella testa un ricordo fasullo a fini di lucro . Almeno per qualche anno.

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