Fedez, ultimo show

E' solo un’arte in cui i compatrioti dimostrano di eccellere, ancor più della salita sul carro del vincitore. Scendere il più lestamente possibile dallo stesso carro, mentre l’ex trionfatore finisce in disgrazia, aggiungendo pure il subdolo piacere del calcio dell’asino. A maggior ragione stavolta, visti i demeriti dell’interessato. Fedez, insomma. Il reuccio del progressismo tricolore, che incantò l’Italia con sua maestà Chiara, prosegue in caduta libera e fragorosa. Il multiforme rapper, del resto, s’è impegnato alla spasimo per finire nel girone dei miti riclassificati come reprobi: ceffi impresentabili, manovre ardite, sbruffonaggine adolescenziale. E pensare che, sperando di mantenere l’aura moralizzante e benefica, aveva pure rotto l’incantesimo dei Ferragnez, filando via dal superattico di City Life senza consorte né progenie. Rieccoci qui, invece. Per validare, con lieve asincronia, il motto latino: «Simul stabunt, simul cadent». Insieme staranno, insieme cadranno. Ascesi a icone nazionalpopolari, scivolati nell’ignominia, prossimi a un divorzio rapido come un post. Poco meno di un anno fa, il ludibrio infilza l’influencer più sfavillante: Chiara Ferragni viene travolta dal «Pandorogate», le accuse di beneficienza farlocca e un’inchiesta per truffa aggravata. Adesso tocca all’ex marito che abbandonò il dorato tetto coniugale: Federico Lucia, detto Fedez, sepolto da amicizie losche, botte da bulli, baruffe legali, contratti evaporati e paraculaggine congenita.

La sinistra lo venerava come un semidio. Ora è l’imbarazzante deposto. Tutti lo osannavano: follower, politici, aziende. Lui sciorinava: antifascismo, Lgbtq+, diritti civili. Aveva sponsorizzazioni interminabili ed eterogenee: Vodafone, Peugeot, Johnnie Walker, McDonald’s, Yamamay, Baci Perugina, Pigna, Carpisa. Persino lo smalto da uomo NooN: non solo un inusuale prodotto di bellezza, ma un messaggio agli svillaneggiati benpensanti che si sarebbero indignati per la plateale pomiciata a Sanremo con il fluido Rosa Chemical.

Adesso Fedez, invece, reclamizza solo il tonfo arcitaliano. Viene accantonato pure dai colossi televisivi, che si contendevano il suo ingaggio. Per Amazon era il «social brand ambassador» di Prime Video, che consacrò la patinata dinastia con un’apposita docuserie: The Ferragnez, interpretata dalla orwelliana famigliola felice. Per ovvi motivi, non ci sarà una nuova stagione. Dopo quattro anni alla conduzione, Fedez sparisce pure da LOL. Ed è fuori pure da X Factor, il talent canoro di Sky. Achille Lauro, giudice riconfermato, commenta sapido: «Credo che rispetto agli anni scorsi ci saranno molti meno rompicoglioni». II voluto riferimento sarebbe proprio al collega, con cui pure firmò nel 2021 il tormentone Mille. I rapporti però sarebbero degenerati, come spesso accade al rapper, tanto da interrompere la collaborazione tra Lauro e Doom entertainment, l’agenzia di Fedez nata per scovare e gestire nuovi talenti. Ed è finita anche con Marcell Jacobs, oro olimpico nei 100 metri. Pure lui viene inizialmente assoldato, ma poi rescinde il contratto e contesta i servigi: «Ho vinto a Tokyo e mi hanno scritto 24 ore dopo. Erano al mare e non gliene fregava niente...». Seguono causa civile e denuncia per diffamazione, intentate da Doom. L’agenzia, che nel 2023 ha fatturato oltre 11 milioni di euro, resta la più importante del gruppo Zedef, la quasi palindromica holding che controlla le aziende di famiglia, gestite dalla madre del rapper, Annamaria Berrinzaghi. Insomma, per adesso il business tradizionale tiene.

Lo stesso non può dirsi per le nuove avventure imprenditoriali. Come Muschio selvaggio, la società di podcast fondata con lo youtuber Luis Sal a febbraio 2023. Amiconi anche loro. Fino all’irreversibile rottura, causata da insanabili divergenze editoriali. La battaglia giudiziaria si conclude lo scorso giugno: il tribunale di Milano rigetta il reclamo di Doom e assegna le quote societarie a Sal. «Con grande rammarico vi annunciamo l’addio definitivo dal Muschio selvaggio» annuncia Fedez in un laconico post.

C’è un detto siciliano che riassume il versatile talento andato: «Unna tocca, sona». Qualunque cosa tocchi, riesce a farla vibrare. Un altro, assonnante ma opposto, compendia invece il nuovo corso: «Unna tocca, sconza». Ossia, distrugge. La holding, per adesso, ha ancora utili ragguardevoli: 2,8 milioni. Ci sono però due società del gruppo che già arrancano. La prima è Autoscontri, che affitta macchine di lusso. Poca roba, comunque: meno novemila euro. Ben più cospicua è la perdita dall’ambiziosa Boem, che produce un hard seltzer a basso contenuto alcolico lanciato nel 2023. L’ultimo bilancio è stato chiuso con un ragguardevole rosso: 1.859.667 euro, ripianati grazie a un aumento di capitale finanziato da Leonardo Maria Del Vecchio, erede del fondatore di Luxottica, che sale al 54 per cento con la sua Lmdv capital. Happy seltz, controllata da Zedef, scende al 43 per cento. Una quota simbolica resta in mano alla J Project del rapper e amico Lazza.

Eppure, Boem nel 2023 diventa pure «official partner» del Milan. Ed è proprio qui che, da fresche carte giudiziarie, emergono gli sconsiderati e strettissimi rapporti di Fedez con il pregiudicato Luca Lucci, detto «Il Toro», capo della Curva sud rossonera, arrestato nell’inchiesta della procura meneghina sui capi ultrà di Milan e Inter, accusati di essere una cupola che imponeva il pizzo su biglietti e parcheggi. Nelle intercettazioni tra Fedez, non indagato, e Lucci, indagatissimo per associazione a delinquere con annesse estorsioni, si parla proprio della bevanda: «Ma voi avete una società di consulenza o una società con la quale possiamo lavorare? Io vi appalto la distribuzione di Boem all’interno dello stadio e vi prendete una percentuale, capito?» chiede il 26 ottobre 2023. Il voluminoso capocurva gli assicura di poter intercedere con il responsabile dei bar del Meazza: «Lo conosco bene! È una persona perbenissimo guarda, già in settimana mi muovo». E non solo. L’affaruccio si potrebbe estendere: «Se vuoi, mi muovo anche con l’Inter». «Non c’è problema!» assicura l’alleato taurino. Adesso, invece, Fedez tribola. L’inchiesta pullula di amici del rapper, sempre ultrà milanisti. Come quei due marcantoni di Christian Rosiello e Islam Hagag, alias Alex Cologno, pure loro arrestati. Sono i protagonisti di un memorabile pestaggio al personal trainer Cristiano Iovino, davanti a una discoteca milanese, per nome e per conto dell’artista, irruento ma mingherlino. La scazzottata sarà ricordata anche per la frase pronunciata da Fedez, al culmine dell’ira: «Lasciatemi stare che lo ammazzo! Io sono di Rozzano».

Rozzano, quindi. Ovvero, il tormentato hinterland milanese pullulante di guai e case popolari, famoso per aver forgiato il rissoso Federico Lucia e il mite Biagio Antonacci. Fino a qualche mese fa il rapper, con Lamborghini color carta da zucchero, era il simbolo del riscatto. Ora è l’indesiderato pirletti. Persino il sindaco di Rozzano, Gianni Ferretti, prende debite distanze: «Siamo stufi di essere etichettati così!» prorompe. «La nostra è una comunità di gente per bene, persone oneste che vivono la città ogni giorno con senso civico, rispetto delle regole e attenzione al bene comune che non hanno nulla a che fare con la malavita».

Categoria a cui, tra l’altro, s’appuntava anche Fedez. Per esempio, mentre vengono chiuse le indagini sul pandorogate, Federico non smette di adoperarsi per il prossimo. A Roma presenta il magistrale recupero di un villino confiscato, polemizzando con le autorità che si fanno vedere solo per il battimano. E chi c’è al suo fianco? L’inseparabile bodyguard, Rosiello, in procinto di venir arrestato. «Fedez ha un concetto curioso di legalità: gli immobili vanno tolti ai criminali, ma se i criminali sono amici suoi, bisogna aiutarli nella gestione degli immobili» scrive Selvaggia Lucarelli, inclemente ferragnezologa. Il conseguente giudizio di Stefano Gabbana, celebrato stilista, è l’ennesimo dito negli occhi: «Un poveretto».

I dettagli vengono svelati dall’ordinanza milanese. Si parla anche di incontri con Lucci per «tessere preliminari accordi in ordine all’acquisizione, in società tra di loro, del locale denominato Old Fashion, nota discoteca di Milano». Sfumato intento per cui il rapper medita di chiedere aiuto all’ignaro Stefano Boeri, archistar del Bosco Verticale. Ma Fedez è «ben conscio» della caratura di Lucci, già condannato a sette anni per traffico di droga: «Come introduco la tua figura?», chiede divertito al capo ultrà che nelle chat con i narcos si fa chiamare «Belva Italia». Lui gli spiega: «Non la introduci». Quell’immobile recuperato è un’altra delle meritorie missioni della Fondazione Fedez Ets. Anche in questo caso, però, il meglio sembra essere alle spalle. L’anno scorso ha raccolto 292 mila euro: 170 mila sono stati versati dallo stesso rapper. Sul sito campeggiano le vecchie campagne. L’aiuto a bambini con patologie neurologiche della fondazione Tog di Carlo De Benedetti, già editore di Repubblica e tessera numero uno del Pd. Poi, le missioni in Ucraina della Croce rossa. Infine, uno skate-park nella Rozzano che ora si rivolta. Il grosso dei ricavi, negli ultimi anni, veniva dal concerto LoveMi, organizzato dal cantante. L’evento benefico era stato annunciato pure quest’anno. Invece, la «narrazione» capziosa sulla fondazione, ora lo convince a «rinunciare all’opportunità di raccogliere ulteriori fondi per poter fare di più».

Insomma, la colpa sembrerebbe altrui. Eppure, sorge un dubbio: era previsto ancora il decisivo patrocinio del Comune di Milano? Oppure anche il sindaco ha mollato il valoroso, come il collega di Rozzano? Antefatto. Beppe Sala, a dicembre 2020, consegna ai Ferragnez l’Ambrogino d’oro, massima onorificenza cittadina, per la loro sfrenata bontà, sempre ostentata sui social. «Abbiamo fatto una raccolta fondi di quattri milioni e abbiamo costruito una terapia intensiva da 150 posti letto in dieci giorni, che ha permesso di salvare centinaia di vite» spiega Fedez agli esordi del Pandorogate, rivendicando la buona azione. Il Pirellone rettifica: grazie a loro furono creati 14 posti letto, il resto venne realizzato grazie alle donazioni di seimila privati, che non hanno mai menato vanto. Per carità: «Piutost che nient l’è mej piutost» dice un detto meneghino. Solo che ora tanti consiglieri di sinistra, ennesimo smacco, chiedono di revocare quell’Ambrogino, viste le frequentazioni svelate dall’inchiesta sulle tifoserie. E Sala? Dopo i vezzeggiamenti andati, fa il noncurante: «Decidano loro. Non sono tenuto e non voglio intervenire. Ho detto più volte che li assegnerei in modo molto diverso».

Eppure, il compagno Fedez era il vero leader della sinistra arcobaleno. Un sondaggio della compassata Swg, qualche anno fa, certifica: il teorico partito di Fedez vale già il 17 per cento, grazie alla maggioranza relativa tra gli elettori della Generazione Z e dei Millenial. Non riceve solo l’Ambrogino dal compiaciuto Sala. Compone l’inno dei Cinque stelle. L’ex premier Giuseppe Conte, nell’autunno 2020, chiede ai Ferragnez di sensibilizzare i ragazzi sull’uso della mascherina. E il rapper arringa il popolo della sinistra al concertone del primo maggio, insultando leghisti, parlamento e Vaticano. Enrico Letta, allora leader del Pd, twitta: «Condivido in pieno le sue parole». Urgenza manifestata anche da Conte: «Io sto con Fedez». Adesso, invece, niente. Neppure da Elly Schlein, smaniante arcobaleno come il rapper. Peggio. La segretaria dem si scapicolla sul palco di J-Ax, rivale canoro ed ex socio del reietto, per uno spericolato duetto: «Con la perfidia di Crudelia Demon mangio sfigati come fossero bon bon». Al compagno Fedez, invece, nemmeno un buffetto d’incoraggiamento.

«La musica è finita, gli amici se ne vanno» cantava Ornella Vanoni. L’unica che, nel momento di massimo fulgore, seppellì i Ferragnez: «Meglio la felicità vera, non come la loro». Gli inebetiti connazionali svicolarono. Adesso celebrano la loro fine con una feroce pernacchia.

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