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March 22 2018
"Rispetto a tutti i grandi temi in punto di repressione dei reati, è un atteggiamento costante quello di ritenere che i problemi si risolvano cambiando le leggi o aumentando le pene. Nella maggior parte dei casi però non è così”. Non è così, secondo l’avvocato Livia Rossi penalista della Capitale, neanche rispetto alla legislazione sul femminicidio.
I casi di Imma Villani, uccisa davanti alla scuola della figlia a Tersigno e quello di Laura Petrolito, la ventenne di Canicattini Bagni accoltellata e gettata in un pozzo dal compagno, aprono nuovamente il dibattito se vi siano o meno dei “buchi” normativi che non permettono una tutela reale della donna vittima di violenze.
"Le norme vigenti, frutto peraltro di numerosi interventi di riforma intervenuti negli ultimi anni che hanno comportato anche il cospicuo aggravio delle pene previste, appaiono più che idonee a garantire la tutela della donna - spiega Rossi a Panorama.it, - le cause dell'incremento dei reati, in particolare degli omicidi, in danno delle donne, vanno dunque ricercate altrove".
Da un punto di vista "sociologico" pesa senz'altro il retaggio culturale dell'uomo come capo famiglia che mal digerisce la messa in discussione di un ruolo storicamente indiscusso. "A questo occorre aggiungere le frustrazioni derivanti dai problemi economici spesso connessi alle separazioni" aggiunge Rossi "che non possono e non devono essere sottovalutati e per i quali sarebbe utile ipotizzare strumenti di sostegno psicologico e materiale per le famiglie separande in difficoltà”.
Ma se da un lato ci sono problematiche socio-economiche, dall’altro c’è una giustizia “letargica”. “Dal punto di vista più propriamente giuridico va detto che i problemi risiedono come sempre nella lentezza della giustizia, dovuta alla sistematica carenza dell'organico sia amministrativo che giudiziario che fa sì che le questioni sottoposte all'Autorità Giudiziaria non vengano trattate con adeguata tempestività”, precisa la penalista.
Ovviamente, il problema potrebbe essere risolto colmando proprio queste lacune "ma, poiché sappiamo fin troppo bene che agli stanziamenti sulla giustizia in Italia sono allergici tutti i governi, di qualsiasi tendenza o colore - prosegue - si potrebbe supplire con degli interventi a livello organizzativo nelle singole Procure".
Per esempio istituendo presso l'Ufficio ricezione Primi Atti una sezione di Polizia Giudiziaria, coordinata da un Pubblico Ministero, cui venga demandato il preliminare esame di tutte le denunce relative a violenze o maltrattamenti nei confronti di donne o figli minori al fine di verificare il potenziale grado di pericolo e l'effettiva urgenza di intervento rispetto ad ogni singolo caso”.
In effetti, è capitato più di una volta che fosse notificato in carcere un decreto di citazione a giudizio per maltrattamento della moglie ad un marito che nel frattempo l’aveva uccisa ed era stato già condannato.
Un paradosso che rischia di verificarsi con sempre maggiore frequenza in considerazione del fatto che sono aumentate le donne che denunciano maltrattamenti da parte dei compagni e che, però, rimangono vittime della loro violenza. Un esempio drammatico è sicuramente quello di Cisterna di Latina, dove la donna aveva trovato il coraggio di denunciare il marito benché fosse un militare.
Sembra non funzionare correttamente nemmeno il cosiddetto "ammonimento", ovvero quel provvedimento che su richiesta delle vittime di stalking, può essere emesso dal Questore nei confronti di chi ponga in essere atti persecutori.
“Nella pratica si evince che nella maggior parte dei casi anche l'istruttoria svolta dai Commissariati di PS prima e dalla Questura poi, si perdono spesso in incomprensibili lungaggini. C'è poi da dire che parte delle ragioni dei ritardi possono essere ricondotti anche al problema dell'uso strumentale delle denunce che, talvolta, purtroppo viene fatto nell'ambito di contenziosi di separazione personale particolarmente conflittuali e che inducono i magistrati inquirenti ad agire con particolare circospezione e cautela”.
Infatti, se da una parte le donne sono vittime di violenza fisica, dall’altra, in alcuni casi, risultano avere anche un ruolo da “aguzzine” dei propri ex. “Purtroppo bisogna anche riconoscere che, secondo le statistiche, sono proprio le donne che ricorrono maggiormente all'uso strumentale di denunce che coinvolgono spesso anche i figli - continua Livia Rossi - e il 30% degli stalker è di sesso femminile”.
“Detto ciò, alla esigenze di celerità e severità nel perseguire gli atti di violenza sulle donne - conclude il legale romano - dovrebbero dunque accompagnarsi anche iniziative idonee a stroncare il fenomeno delle denunce strumentali che costituiscono un ulteriore ostacolo ad una tempestiva ed efficace tutela della stessa donna”.