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August 03 2016
Sono più di 60 le donne uccise dal partner in Italia dall'inizio dell'anno. Oltre 160 da gennaio 2015. Un vero "bollettino di guerra". Una guerra che gli uomini respinti “combattono” con botte, coltelli, pistole ma anche con l'acido, la benzina ed alcol. Un tempo succedeva solo in Asia, oggi anche in Italia. A Roma, a Napoli, a Lecce, a Lucca. Un liquido infiammabile, un accendino e via: col fuoco, gli uomini – difficile anche definirli così- "puniscono" la donna che ha deciso di lasciarli. A giugno la giovane Sara, oggi Vania Vannucchi.
Cinque casi di donne bruciate vive
Ma sono almeno cinque i casi negli ultimi mesi. Il 9 giugno Sara Di Pietrantonio, studentessa universitaria romana di 22 anni, viene strangolata e poi bruciata dal suo ex fidanzato, Vincenzo Paduano, che non accettava che la ragazza si fosse rifatta una vita con un altro e che per settimane, prima dell'incontro fatale per il destino di Sara, l'aveva minacciata e perseguitata.
Il 3 luglio, a Tuglie nel leccese, Alexandru Edec Ionut, romeno di 24 anni, lancia del liquido infiammabile addosso alla sua compagna, davanti ai loro figli di uno e tre anni. Poi le da' fuoco. La donna riporta ustioni gravi su tutto il corpo.
Il 2 febbraio scorso, a Pozzuoli (Napoli), Paolo Pietropaolo dà fuoco alla compagna, incinta, perché aveva avuto la conferma che la donna aveva un'altra relazione. Il 20 novembre scorso, nel bresciano, un uomo di origine indiana ha cosparso di benzina la moglie e le ha dato fuoco. Motivo del gesto, il fatto che al marito non andava bene il modo in cui la donna si vestiva. Ieri, Vania. Ma da Lucca a Caserta. Questa volta Rosaria è stata uccisa con 12 coltellate alla schiena e abbandonata in un bosco.
Silvio Ciappi, criminologo e psicoterapeuta, esperto della Commissione Europea in tema di prevenzione della violenza, perché un uomo decide di dare alle fiamme la propria donna? Che cosa significa bruciare?
È sicuramente una modalità di de-umanizzazione della vittima, di distruzione dell'identità. E il vero problema se andiamo a vedere proprio questa orrida modalità di uccidere è proprio questo: l'identità disturbante dell'altro. E' sul tema dell'identità che dovremmo lavorare. Relazioni malate dove l'altro non è che una proiezione di sé. E qui ancora una volta il cancro di questi anni: il narcisismo malvagio, l'esasperato rinchiudersi all'interno del proprio recinto dove la relazionalità è solo mediata da scambi unidirezionali di immagini, da proiezioni che ci esimono da un contatto reale con l'altro.
Psicologicamente, per un omicida, quali sono le differenze tra accoltellare oppure sparare ed invece dare alle fiamme?
Potrei rispondere in maniera macabra che già l'accoltellare prevede una forma rudimentale di relazione, modalità che è assente nell'atto distruttivo del dar fuoco, che simbolicamente significa cancellazione di un'identità. Questi atti atroci caratterizzano i delitti relazionali di oggi: atti assurdi, tetri, vuoti dove l'altro ripeto non è che objectum, persona priva di qualsivoglia soggettività. Una sorta di nazificazione criminale dove la vittima diviene bersaglio, target di pulsioni incontrollate, feticcio, immagine viva e corpo senza una storia. Il delitto è sempre imago della società nella quale si inserisce: e anche le relazioni oggi sono purtroppo caratterizzate da proiezioni narcisistiche tra oggetti privi di qualsivoglia soggettività.
Bruciare con l'acido, bruciare con la benzina o l'alcool come è accaduto alla ragazza di Roma....ci sono implicazioni diverse a livello psicologico oppure no?
Le implicazioni psicologiche vanno tutte nella direzione della cancellazione dell'altro, che non esiste, che non è mai esistito se non nella firma utilitaristica di una soddisfazione personale. Ritorno sul problema della prevenzione. Non crediamo che serva a molto fare campagne di sensibilizzazione sulla violenza di genere. Anzi la ricerca dimostra che non funzionano sul piano preventivo ma solo su quello simbolico. Occorre spendere meglio quattrini ed energie. Basta con tutta quella cianfrusaglia di centri su pseudo-problematiche psicologiche come dislessie, disturbi dell'apprendimento, discalculie eccetera eccetera. Tutta questa pseudo-psicopatologia del 'dis' è un falso problema. Il problema oggi è educare partendo da programmi sperimentali che funzionano in molti paesi alla relazionalità e alla espressività emotiva come anche alla gestione dei conflitti. Su questo gli enti pubblici fanno realmente poco e anche il livello di formazione dei tecnici è purtroppo scarso. Ripeto ci si limita a campagne di sensibilizzazione che servono a poco.