Social network
December 21 2023
Dopo che nei giorni scorsi è deflagrato il caso del pandoro Balocco e delle uova di cioccolato che hanno coinvolto la nota influencer Chiara Ferragni, la Procura di Milano sta studiando l'esposto che il Codacons e l’Assourt (Associazione degli utenti radiotelevisivi) hanno presentato in 104 procure d’Italia. Allo studio di Marcello Viola, capo dell’ufficio giudiziario, la decisione di aprire un fascicolo sull’ipotesi accusatoria esposta (la pubblicità ingannevole, nda): si legge che “tutti i messaggi veicolati al pubblico per presentare l'iniziativa benefica fossero stati realizzati associando le vendite del pandoro al reperimento dei fondi utili alla donazione all'Ospedale Regina Margherita di Torino, pur nella consapevolezza che la donazione era stata fatta mesi prima dell'inizio delle vendite”.
E così, in attesa dei risvolti giudiziari, pare utile capire l’essenza della social influencing ovvero di quella capacità che alcune persone, oggi comunemente definite influencers, hanno di orientare le più disparate scelte di vita all’interno di una determinata collettività: dall’acquisto di beni di consumo, alle tendenze nell’abbigliamento, sino alle indicazioni di voto elettorale. In principio c’è un classico della sociologia americana a dettare le regole del gioco: Personal Influence, acuto saggio scritto a due mani da Paul Felix Lazarsfeld (1901-1976) -il maestro- e da Elihu Katz (1926-2021) -l’allievo-, pubblicato nel 1955 e basato su una ricerca empirica svolta, dieci anni prima, a Decatur, cittadina di 60.000 abitanti nell’Illinois. Quello studio, pubblicato in Italia nel 1968, dimostrò il ruolo centrale di mediazione svolto da persone considerate, appunto, “influenti”, capaci cioè di orientare le scelte di voto come le decisioni di acquisto dei beni di prima necessità. Un ruolo di influenza che registrava il suo picco a partire dai processi comunicativi e che dava origine alla figura del c.d. opinion leader, il leader d’opinione.
Partendo dall’affaire-Ferragni, Panorama.it ha chiesto aiuto ad Alfonso Amendola sociologo dei processi culturali e ad Ercole Parini, sociologo dei fenomeni mediali per un approfondimento scientifico sul caso.
Professore Amendola, chi è e cosa fa l’influencer?
«Si tratta di una figura nata agli albori del XXI secolo, all’indomani del tradizionale opinion leader, e sostenuta dalla fase c.d. 2.0, della rete dell’Internet e dalla nascita dei social network. Si tratta di una persona dotata di una particolare capacità di leggere un determinato fenomeno (pensiamo alle ragazze esperte di cosmesi, o ai ragazzi nell’organizzazione di viaggi), attraverso i consumi di massa e gli accadimenti generazionali e di comunicarlo al pubblico».
Una figura che si è letteralmente imposta nella vita quotidiana dell’ultimo ventennio.
«Pur senza studi specifici (non esiste infatti un percorso accademico in materia…) gli influencers riescono a leggere il mondo intorno a sé, attirando -e questa è la nota caratterizzante- l’universo sociale che gravita attorno a ciascuno di noi e riuscendo praticamente a “vendere” qualsiasi cosa: così si è imposta nell’immaginario collettivo, della nostra società contemporanea. Liquida o post-industriale che dir si voglia, la contemporaneità sembra farvi ricorso per le più disparate situazioni: dal viaggio di nozze all’evento benefico».
Il punto di partenza è il nostro ristretto ambito sociale: la capacità di generare influenza parte da amici, familiari, conoscenti…
«La prima cerchia, come in tutte le relazioni sociali, è quella dell’affettività, che crea, a sua volta, ulteriori cerchi concentrici, ampliandosi sempre di più. Famiglia, amici, mondo del lavoro per poi puntare a quello del marketing, della promozione commerciale, della vendita, insomma. Un bravo influencer non potrà fare a meno di un brand (marchio di un prodotto, nda) altrettanto forte che lo renda riconoscibile. Addirittura esistono digital coach (chi aiuta a sfruttare le potenzialità dei canali digitali, nda) che intervengono a ripulire brand eventualmente caratterizzati da percorsi negativi».
A proposito, professore: parla di incidenti di percorso…
«E’ il caso-Ferragni che impazza in questi giorni! Con milioni di followers, simbolo del presenzialismo on-line, la nota influencer cremonese è titolare di un brand conosciutissimo anche da chi tendenzialmente non ama questo mondo: questa presunta operazione benefica legata al pandoro Balocco che le è sfuggita di mano (mal gestita, con esiti giuridici ora sotto la lente di ingrandimento della magistratura), ha sicuramente “sporcato” proprio il suo brand».
E’ corsa ai ripari con un accorato comunicato sui social…
«Certo, ricorrendo ad una comunicazione low profile rispetto al tradizionale scintillio che caratterizza da sempre il suo brand: quell’immagine grigia, con lei dimessa, senza trucco, praticamente ad un passo dalle lacrime, è apparso come un tentativo di recuperare il terreno perduto. Una forma di teatralità della colpa, un’esibizione del dolore in forma pubblico che stride paurosamente con la sua immagine che abbiamo sempre conosciuto. Tutta la vicenda appare come un passo falso di una stratega della comunicazione mediale…».
Questo è il passaggio conducente, ci pare di capire…
«Chiara Ferragni è da sempre divisiva: crea simpatia e antipatia, addirittura odio e amore, ma è ammirata anche da chi, tradizionalmente, non segue il mondo degli influencers e dei social media grazie alla sua autoimprenditorialità: la retorica del “chi-fa-da-solo” continua ad avere una forte presa comunicativa sul pubblico, anche dei non addetti ai lavori, diciamo così. In più hanno positivamente pesato le sue storiche battaglie sociali -quelle in cui non era dichiarata la finalità commerciale ed economica- come quelle in difesa delle donne e dei minori. Queste azioni, in pratica, l’hanno riposizionata sul versante del c.d. brand etico, cioè non legato al marketing e alla vendita».
Questo complesso meccanismo sospeso tra media e marketing ha avuto una forte accelerazione con l’arrivo dei social media…
«Grazie a questo passaggio storico, gli influencers hanno rafforzato in maniera totalizzante la propria presenza pubblica: hanno diffuso in maniera massiva l’idea della capacità di poter agire autonomamente (il c.d. “do it yourself”) aprendo questa strada praticamente a quanti fossero dotati di strategia comunicativa e visione commerciale. Solo così possiamo comprendere come i social networks siano strumento e linguaggio indispensabile della nostra contemporaneità, fondamentali, al punto da essere quasi al livello di saturazione, dopo venti anni di pressione socio-mediatica. Sembravano, i social, un fenomeno passeggero, figlio della società iper-mediatizzata, invece ci accorgiamo che anche le istituzioni pubbliche sono dotate di pagine social».
Sembra che i social media siano diventati il campo di battaglia privilegiato degli influencers
«Nel caso della Ferragni, l’operazione “pandoro Balocco” ha svelato un meccanismo perverso: la sua storica capacità è sempre stata quella di sapersi muovere in contesti pubblici, ma questa volta, tra un errore comunicativo e di immagine, è apparsa in deficit di credibilità, esattamente come accadde anni addietro a Wanna Marchi; una sorta di cinismo commerciale che ne ha immediatamente offuscato la sua credibilità pubblica. A riprova di tale assunto, abbiamo potuto constatare che la comunicazione della Balocco è rimasta al palo: non è letteralmente intervenuta».
Professore Parini, il caso-Ferragni va letto attraverso i media, nuovi e tradizionali.
«I social permettono l’illusione della partecipazione diffusa: in realtà ci accorgiamo di un sempre maggiore accentramento nelle mani e nelle capacità di quei pochi che ne sanno abilmente sfruttare le potenzialità sia fini comunicativi che commerciali. La visibilità che danno, come nel caso in commento, fa emergere una sorta di illusione di democraticità: qualcuno temeva che il potere della televisione e dei media più tradizionali potesse essere scalfito dall’avvento di forme innovative (i social, appunto) che permettessero di farne a meno; in realtà succede esattamente il contrario».
Ovvero?
«Attraverso un effetto di risonanza, i social fanno invece riverberare quello che già accade in televisione. Insomma, si ha un passaggio comunicativo senza interruzioni. Esattamente come quando i social media non esistevano. Siamo all’accentramento del potere mediale…».
E questo riverbero comunicativo, che effetto ha nella pratica?
«Il prodotto di questo processo comunicativo è proprio Chiara Ferragni, molto prima che scoppiasse il caso del pandoro a scopo di beneficenza: nel senso che la nota influencer rappresenta la sintesi dell’effetto-riverbero cui ho accennato. In pratica, gli influencers vengono contattati dalle aziende affinchè pubblicizzino determinati prodotti commerciali che verranno veicolati in pubblico proprio grazie alla forza comunicativa di questi “vip” e tramite il continuo passaggio da un medium all’altro. L’effetto rimbalzo o riverbero, di cui parlo, è esattamente questo. E ciò capita tanto nella fase “fisiologica” che in quella “patologica”, ovvero nel caso del “pandoro Balocco”».
Anche le aziende commerciali rientrano in questo meccanismo comunicativo…
«I marchi commerciali hanno bisogno di chi “pubblicizzi” le qualità di un prodotto in pubblico e gli strumenti mediali a disposizione sono, evidentemente, multiformi. Oggi l’influencer non è tale perché vive sui social media, ma si costruisce in televisione, sulle onde radio, sui siti di social media, grazie alla creazione di un continuo passaggio mediale. Un flusso comunicativo senza sosta del quale le aziende non possono praticamente più fare a meno, sfruttandolo a proprio vantaggio».
Il caso è scoppiato con Chiara Ferragni, influencer da milioni di followers. Ma la lista degli influencer è lunga…
«In realtà esiste un vero e proprio trend comunicativo basato su una miriade di persone, note e meno note, dotate della capacità di influenzare il pubblico, sino a specializzarsi nei più disparati ambiti, commerciali e non: la moda, il fitness, i viaggi, l’istruzione, la cultura, sono alcuni dei territori in cui si muovono. Influencer che giorno dopo giorno, utilizzando l’effetto riverbero cui abbiamo accennato, accrescono la propria notorietà, insieme a quella dei prodotti e dei marchi affidati alla loro circolazione mediale».
Da tempo si discute dell’arricchimento della società mediale grazie ai social media: è vera gloria?
«Pur non entrando nel merito della vicenda “Ferragni-Balocco”, (appena aperta, ad esempio, dal versante giuridico-giudiziario) c’è da considerare che non esiste, allo stato, il rischio di un offuscamento del sistema dei social media che, inutile ricordarlo, si alimentano anche delle proprie disgrazie: ho l’impressione, anzi, che proprio dopo questo clamoroso caso, il sistema della comunicazione mediale farà parlare ancora di più di sé. L’effetto riverbero da noi affrontato serve, in realtà proprio ad alimentare questo sistema. I “like” non mancheranno certo…».