Festival Cannes
TIMBUKTU Abderrahmane Sissako in Timbuktu racconta lo stato del Mali, in cui la poesia e le tradizioni locali sono state distrutte da regole ferree dettate dai fondamentalisti islamici. Ora la musica e il calcio sono vietati, le donne devono coprirsi, le persone non si capiscono tra loro perché parlano lingue diverse, il Touareg, l’arabo e il francese. La battaglia silenziosa di una popolazione, e soprattutto un futuro incerto, sono descritti con una bellissima fotografia e una certa dose di ironia. Ad eccezione della scene agghiacciante della lapidazione di due ragazzi non sposati, e per questo motivo condannati, vicenda che fa da spunto a tutto il film e che è presa dalla cronaca vera. Momento difficile da dimenticare.
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MR TURNER
Mike Leigh ha avuto un’ottima idea nel raccontare William Turner nei suoi ultimi 25 anni di vita. Il film mostra l’artista che soffre per la morte del padre, la sua indifferenza per la governante con cui occasionalmente ha fugaci incontri sessuali, il confronto con l’aristocrazia locale, la vita parallela e in incognito con la signora Booth, a Chelsea. Ma soprattutto ne ritrae lo spirito anarchico all’interno della Royal Academy of Arts . Ed è proprio su questo punto che la pellicola offre uno dei momenti migliori, nella scena in cui i pittori, tutti maschi, nel preparare la grande mostra annuale danno i loro tocchi finali alle tele. Qui Turner, che espone la sua eterea Helvoetsluys vicino alla Opening of Waterloo Bridge del Constable, carica di toni scarlatti, ha un colpo d’orgoglio: immerge il pennello nel rosso e lo deposita al centro della sua opera. Constable, che si sente sfidato, se ne va via indignato. Non contento, Turner torna davanti al dipinto e, lavorando con il pollice, trasforma la macchia rossa in una specie di salvagente, tra le risa generali.
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LA CAMERA BLU Film tratto da un romanzo di Georges Simenon , che Mathieu Amalric, protagonista ma anche regista per la seconda volta, ha voluto recitare insieme alla sua compagna, Stephanie Cléau. Il film parla di passione bruciante, del tradimento e delle sue conseguenze, e Amalric ha chiesto alla compagna di calarsi nei panni della sua amante poco dopo che lei lo aveva tradito (nella vita reale) con il di lui migliore amico. Julian ed Esther, questi i loro nomi sullo schermo, sono stati compagni di classe, ma la passione tra loro è scoppiata molti anni dopo, all’improvviso, quando sono entrambi sposati. L’originalità sta nel racconto , non consequenziale ma filtrato dai salti temporali e dalle emozioni del protagonista, che rendono tutto incerto e creano suspance. Indimenticabile (e inquietante) la scena finale del film, in cui in circostanze che non sveleremo per non rovinare la sorpresa, Esther dice a Julian “hai visto che non sono riusciti a separarci?”.
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RED ARMY La vera sorpresa, non in concorso, è stato il documentario del candidato all’Oscar Gabe Polsky sulla squadra di hockey dell’Armata Rossa e le sue vittorie durante la Guerra Fredda. Il tutto raccontato attraverso gli occhi del suo storico capitano, Slava Fetisov, uno dei migliori giocatori di tutti i tempi con un palmares che vanta sette campionati mondiali, due medaglie d’Oro alle Olimpiadi e tre Stanley Cups. Attraverso immagini di repertorio e interviste al Fetisov di oggi, il film mostra i durissimi allenamenti degli atleti nella ex Urss, lì dove lo sport e la propaganda andavano a braccetto. Le immagini mostrano le partite delle Olimpiadi a Lake Placid nell’80, quelle a Sarajevo nell’84, Calgary nell’88, contemporaneamente raccontano come Fetisov sia divento prima eroe nazionale poi nemico politico. La sua battaglia è stata fondamentale nel rompere la barriera che impediva ai giocatori russi, i più forti al mondo, di giocare all’estero e di guadagnare fortune rispetto al niente che davano prima l’Urss poi la Russia. Dopo un duro faccia a faccia, Fetisov è stato il primo cittadino ad ottenere un visto che gli ha permesso di giocare in occidente, sforzo che ha aperto la strada a molti atleti russi ed europei per giocare negli Usa. La scena più emozionante del docufilm è quella in cui si chiede al suo compagno di squadra e miglior amico di una vita, Igor Larionov, perché non lo abbia difeso, quando il governo russo aveva tentato di impedirgli di lasciare il paese per giocare egli Usa. A distanza di anni, Larionov non riesce a parlare davanti alla telecamera per l’emozione, e chiede di cambiare domanda. Ancora più toccante il fatto che, nonostante quel tradimento, anni dopo Fetisov, ritiratosi nel frattempo e diventato ministro dello Sport per volere di Putin, lo abbia voluto accanto a sé. Perché, come spiega questa che è una vera leggenda dello sport, “è sempre meglio lavorare con una persona con cui hai condiviso la vita, che con uno sconosciuto”.
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PARTY GIRL Tre amici d’infanzia si sono messi insieme e hanno girato il loro primo film , facendo centro. La pellicola francese di Marie Amachoukeli, Claire Burger e Samuel Theis ha aperto la prestigiosa sezione Un certan regard raccontando la storia di Angélique, una spoglierallista sessantenne che ha vissuto di notte per 40 anni, in un night club. Protagonista è Angélique Litzenburger in carne ed ossa, attrice non professionista e madre di uno dei tre registi, Samuel. Il film si ispira alla sua vera vita e alla relazione non facile con i tre figli che cambia nel momento in cui un cliente di lei le chiede di sposarlo e di cambiare vita. Il film è ricco di momenti toccanti ma a valere su tutto è l’interpretazione della Litzenburger, emozionante e sincera.
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SAINT LAURENT A differenza di Yves Saint Laurent, il film sull’icona che ha rivoluzionato la moda negli anni Settanta passato da Berlino, il Saint Laurent in competizione a Cannes non ha avuto il beneplacito né di Pierre Bergè né della famiglia dello stilista. Quello diretto da Bertrand Bonello e interpretato da Gaspard Uilleil è un ritratto forse meno drammatico dell’artista, ma sotto tono per quanto riguarda i costumi: chi aveva visto gli originali della maison addosso a Pierre Niney, nell’altro film, non si accontenterà di meno. Le due pellicole si assomigliano per i momenti raccontati, i fiumi di champagne e le droghe, ma l’atmosfera per mano di Bonello si fa più allucinata via via che passano i minuti. Due momenti forti girano intorno al nudo di Yves: quello nell’incontro amoroso con Jacques De Bascher (Luois Garrell) e quello nella campagna YSL Profumo. In entrambe i casi, è nudo integrale.
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LE MERAVIGLIE Il film di Alice Rohrwacher, unico italiano in concorso a Cannes , convince tutti. La giovane regista, che dirige la sorella Alba, riesce a raccontare un mondo che cambia partendo da una storia locale, quella di una famiglia sul lago di Bolsena, nell’Alta Tuscia, in cui il padre è apicoltore e vive con la moglie e le figlie in un perfetto equilibrio con la natura. Finchè non arriva la televisione a inquinare la purezza di questo microcosmo. La scena che meglio sintetizza il film è quella del padre e delle figlie che fanno il bagno nel lago, e che si ritrovano, loro malgrado e in mutande, sul set di una improbabile trasmissione tv. Monica Bellucci è travestita da fata bianca, con tanto di comparse in abiti da antichi etruschi, e scambia qualche parola con la figlia piccola: da quel momento il padre dovrà faticare molto per far rispettare la sua visione della vita.
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MAPS TO THE STARS Il nuovo film di Cronenberg in gara per la Palma d’oro racconta una famiglia che annaspa tra la sete di notorietà e la mancanza di valori. Il film, che non scava molto a fondo nei personaggi, è meno freddo di quello a cui ci ha abituati il regista canadese, assiduo frequentatore della Croisette. Pattinson (che per la cronaca finisce di nuovo su un’auto di lusso a fare sesso con una donna con il doppio dei suoi anni, come con la Binoche in Cosmopolis), Cusak e la Wasikowska sono bravi, ma su tutti spicca Julienne Moore , perno intorno a cui ruotano la disperazione ma anche la leggerezza del film. Irriverente la scena in cui, seduta sul water della sua casa di lusso, parla con la Wasikowska di stitichezza e meteorismo, chiedendole contemporaneamente del suo nuovo boyfriend (il Pattinson che la tradirà con lei, nell’auto di lusso) e di procurarle un lassativo.
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THE HOMESMEN Per il suo secondo western, in competizione al festival, Lee Jones sceglie donne forti come Hilary Swank e Maryl Streep (solo per un cameo, ma molto incisivo). La prima deve riportare tre donne diventate pazze dal Nebraska in Iowa, e affidarle alle cure della seconda, moglie di un reverendo. L’interpretazione della Swank è molto convincente, nei momenti in cui si propone in sposa agli uomini che incontra (Lee Jones stesso, anche attore nel film) come quando lava le tre donne nel fiume. Ma a vincere è sempre lui, Lee Jones, quando incendia l’albergo dei ricconi che si erano rifiutati di ospitare lui e le donne bisognose di cibo e riposo. Se ne va con il fucile in spalla, alle sue spalle la casa in fiamme e un cielo stellato degno dei migliori western.
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THE FOXCATCHER Basato su fatti veri, il film di Bennet Miller in concorso racconta del milionario John du Pont, erede del colosso della chimica (Steve Carell), che assolda due ori olimpici di wrestling, Mark Schultz e il fratello Dave (Channing Tatum e Mark Ruffalo) per metter su una squadra che vinca le Olimpiadi di Seoul e di cui vuole risultare il mentore. Tatum e Ruffalo sono convincenti, Carell è sublime : indimenticabile quando, all’arrivo della madre (Vanessa Redgrave) nella sala degli allenamenti, usa il fischietto e da ordini, fingendo di essere il coach. Bastano tre minuti così per mostrare la bancarotta emozionale di un uomo e far presagire un finale drammatico.
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FUTATSUME NO MADO (Still water) Il film giapponese della cineasta Kawase, in concorso, è ambientato sull’isola di Amami, dove le tradizioni legate alla natura sono rimaste incontaminate. In una notte di luna piena estiva un ragazzino di 16 anni trova un corpo morto in mare. Con Kyoko, la sua fidanzata, cercherà di risolvere il mistero, in un viaggio che li porterà a comprendere il ciclo senza fine di nascita, amore e morte. Le scene di natura fanno percepire l’unione fortissima tra questa e l’anima degli esseri umani, mandano un messaggio che sta molto a cuore alla regista: non tutto si può raggiungere con il denaro.
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JAUIA Nella sezione Un certain regard , il film dell’argentino Alonso prende il titolo da un luogo Inca diventato mitologico per la sua supposta ricchezza, ma che di fatto restituisce morte e perdizione a chi vi ci si avventura. Il protagonista è Viggo Mortensen (attore, coproduttore e autore delle musiche), capitano danese in cerca della figlia scappata con un soldato. Ma ancora più al centro della storia è il deserto della Patagonia che colpisce per gli spazi e le percezioni che restituisce, e che accoglie il viaggio di quest’uomo, che diventa esistenziale. Nel suo vagare senza appigli nello spazio sconfinato, è bellissima la scena in cui Viggo - ripreso da terra e dalla parte della testa - riposa sotto la volta del cielo stellato, tenendo sul petto la statuina di legno appartenuta alla figlia.
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LOST RIVER Il primo film da regista di Ryan Gosling , nella sezione ufficiale Un certain regard , ha creato un’immensa coda sotto il sole di Cannes. C’è molto di Refn nel film, il regista che lo ha consacrato con Drive, ma in questa storia dark c’è specialmente Lost River, una città immaginaria ispirata alla Detroit della classe media che Gosling ha oncontrto quando ha girato Le idi di marzo. Nei quartieri deserti in cui le case vengono abbandonate o demolite, una famiglia senza soldi e senza padre perde le casa e vede il figlio scoprire un mondo sommerso (con maledizione annessa). Restano impressa la scena della madre (Christina Hendrix) che si “taglia” il viso con un coltello, mostrando i muscoli sottopelle, come il ballo sexy e disperato del direttore di banca (Ben Mendelsohn). Ma Gosling, che è anche sceneggiatore, ha messo troppa carne al fuoco.
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THE SEARCH Dal premio Oscar per The artist, Michel Hazanavicius , una storia in competizione che racconta la seconda guerra in Cecenia, nel 1999, attraverso le vite di quattro persone: due fratelli che vengono forzatamente separati- e che si cercano per tutto il film; un soldato russo che non regge le pressioni e gli orrori della guerra; una delegata dell’Unione Europea che cerca di farsi ascoltare da una parte di mondo totalmente incurante dei massacri e delle violazioni dei diritti dell’uomo che accadono a chilometri di distanza. Indimenticabile la scena in cui il bambino piccolo torna a parlare, dopo un enorme shock. Ma su tutte vince, per motivi di orrore, l’ultima scena del film. È anche la prima, ma rivista alla fine fa molto più male.
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MOMMY Il regista canadese Xavier Dolan , che a soli 25 anni ha all’attivo cinque film di cui tre già passati da Cannes, stavolta corre per la palma d’Oro con la storia di Diane Despres, una madre sola e affaticata dal badare a un figlio quindicenne affetto da sindrome da deficit di attenzione e iperattività. Kyla, vicina di casa, arriva in soccorso e cambia gli equilibri, ma le cose peggioreranno. Dai momenti di alto humor a quelli di disperazione, dalle songs degli Oasis come Wonderwall a White Flag di Dido, il film ha un buon ritmo. La scena con il trio formato da madre, figlio dal look vagamente drag queen e vicina di casa, che si lanciano in un ballo scatenato in cucina, fa sorridere. Ma a vincere è l’ultima, in cui il ragazzo si toglie la camicia di forza, allarga le braccia in segno di liberazione e corre verso la vetrata a tutta velocità.
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TWO DAYS, ONE NIGHT I Dardenne, già due palme d’Oro vinte a Cannes, propongono in concorso una storia che sa di Ken Loach. I capi dell’azienda per cui lavora Sandra (Marion Cotillard), appena rientrata da una malattia, decidono che lei non serve più. Fanno votare i dipendenti, che devono scegliere tra il proprio bonus e il posto di lavoro di lei. Supportata dal marito (Fabrizio Rongione) in quello che è un vero e proprio viaggio esistenziale, cerca di convincere i colleghi a rinunciare al bonus. Tocca il fondo ma va verso una vera e propria rinascita: la scena finale, in cui Sandra si alza dal tavolo del direttore dell’azienda, dopo averlo mandato al diavolo (e con lui i principi del capitalismo) è liberatoria, dopo tanta depressione. E la stampa di tutto il mondo applaude questo potenziale vincitore del festival
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SILS MARIA Con questo film diretto da Assayas e in concorso, la Binoche si conferma da gradino più alto del podio. Nel film interpreta un’attrice che a 18 anni ha raggiunto il successo in teatro interpretando Sigrid, giovane e ambiziosa che porta al suicidio una donna più matura, Helena. A vent’anni di distanza un regista le propone di rinterpretare la piece, stavolta nei panni di Helena (Sigrid è affidata a Chloe Grace Moretz). In questo faticoso viaggio che mette a confronto il passato con il presente, la realtà con il mondo di Google images e Youtube, in un testa a testa tra la Binoche e Kirsten Stuart che le fa da assistente, vince su tutte la scena in cui le due donne sono in montagna, sedute, a guardare “il serpente del Maloja”. Un fenomeno che in Engadina segnala l’arrivo del brutto tempo e che si produce quanto l’umidità dei laghi italiani si trasforma in nuvole che avanzano attraverso il passo del Maloja, prendendo la forma di un grande serpente che avanza.
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THE SALT OF THE EARTH Il docufilm di Wim Wenders sulla vita e l’arte del fotografo argentino Sebastiao Salgado ripercorre 40 anni di viaggi attraverso i continenti e i cambiamenti della storia recente, dagli esodi ai conflitti alle malattie che hanno sterminato popolazioni. Nel viaggio Wender è accompagnato dal figlio di Salgano, Juliano, che ha fatto con il padre gli ultimi reportage. Da quello che fotografava si capiva che gli stavano molto a cuore le persone, che sono il sale della terra come dice il titolo. La fotografia è qualcosa di straordinario, e si capisce dalla prima inquadratura del film: una fotografia che ritrae migliaia di corpi, come formiche, in una miniera d’oro del Brasile. Sembrano schiavi, invece sono intellettuali, universitari, bambini, impegnati tutti a cercare l’oro.
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INCOMPRESA Il film di Asia Argento ha concorso a Cannes nella sezione Un certain regard. Buon ritmo e grande musica (fin troppo dominante) per questa storia di infanzia incompresa, appunto, che sa tanto di autobiografico ma guai a dirlo a lei. Aria, la bambina in questione, è una specie di palla al piede per due genitori che sono ormai arrivati all’odio e si rifanno su di lei, prima e dopo il divorzio. Lei lega con la compagna di scuola, ed è innamorata non corrisposta, del più bello del gruppo. Si sorride per la scena di Garko che dice a Charlotte Gainsbourg “sei andata con chiunque, pure con le donne, pure con i nani...”, ma a rimanere impresse sono Aria che cammina per strada sola con un gatto in gabbia, sulle note degli "Il Y A Wolkswagens", e il personaggio della Gainsbourg che, insultata dai vicini in romanesco per suonare il pianoforte, urla dalla finestra di inginocchiarsi davanti alla musica mistica di Rachmaninov.
▲ A volte ai Festival capita di rintracciare un tema, un leit motiv che lega idealmente uno con l’altro i film di una giornata. Non è quello che accade questa volta a Cannes tra le sale dove si proiettano film che passano dal fondamentalismo religioso nel Mali, come in Timbucktu di Sissako, a un colossale paesaggista dell’Ottocento inglese (vedere alla voce Mr. Turner di Mike Leigh). Vi lasciamo qui i momenti cinematografici migliori (secondo noi) di questa edizione. A quelli presenti in gallery si aggiunge "Self Made" (in una sezione a parte del festival, La settimana della critica ) diretto dall’israeliana Shira Geffen . Il film racconta la storia di due donne, una israeliana e una palestinese, che sembrano intrappolate nei loro rispettivi mondi. Dopo uno scambio di identità al checkpoint, grazie all’errore di un soldato che manda Michal a casa di Nadine e viceversa, si ritrovano a vivere l’una la vita dell’altra dalla parte opposta del confine. Scopriranno così i loro desideri più intimi, a cui non avevano accesso nelle loro vite precedenti. Una scena del film che non si dimenticherà è Nadine che passa il confine con le cuffie rosa in testa da cui suona un rap palestinese a tutto volume. Ma si ride anche quando il fidanzato di Michal le parla via skype comparendo tra le gambe di una prostituta, grazie a una foto da lui stesso dimenticata per errore sullo schermo del suo portatile...
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