Economia
September 20 2012
Sergio Marchionne sta preparando la linea di difesa per l’incontro di sabato con il premier Mario Monti. Dovrà convincerlo che le scelte strategiche di Fiat sono quelle giuste e che se Fabbrica Italia non funziona più è solo perché il mercato ha sbandato. Che l’America può essere davvero la salvezza per la casa automobilistica e per gli stabilimenti italiani. Sembra, infatti, che il supermanager vorrebbe farli lavorare per il mercato statunitense, che è in ripresa. Idea audace visto che, come ci ha ricordato Marco Martina , consulente di Deloitte specializzato nel settore, le automobili sono prodotti difficilmente esportabili e che la tendenza generale è verso un riequilibrio della capacità produttiva con la capacità di assorbimento di un mercato. Insomma, conviene produrre lì dove si vende.
Marchionne ha ragione quando dice che il mercato italiano, e quello europeo in generale, si sono drammaticamente ristretti. Ma forse dovrà spiegare al premier e agli operai che rischiano il loro lavoro come mai non lo ha previsto. O meglio non ha tenuto conto delle previsioni che già tre anni fa segnalavano il calo.
Il piano Fabbrica Italia vede la luce nell’aprile 2010, quindi è facile presumere che sia stato pensato ed elaborato nei sei mesi precedenti. Prevedeva la crescita di Fiat, Lancia e Alfa Romeo a partire dall’Europa, dove quei marchi hanno sempre avuto il loro principale mercato. Visione audace visto che in quel momento in Italia le vendite (quasi 2 milioni di immatricolazioni nel 2010) erano drogate dagli incentivi. Nel Vecchio Continente erano invece già chiaramente in calo (-11% 2009), come anche nel resto del mondo, anche se più lentamente (-4%).
Come unica area di crescita si segnalava l’Asia, dove Fiat Chrysler è quasi assente. Marchionne, quindi, nella migliore delle ipotesi ha peccato di ottimismo. O di presunzione.
Dietro ai numeri c’è una più generale tendenza di disaffezione verso l’auto. "È una tendenza in atto da tempo", osserva Andrea Baracco, vicepresidente di Assolowcost, associazione che studia l’evoluzione degli stili di consumo. "Una ricerca dell’associazione dei costruttori giapponesi (Jama), l’ultima fatta su grande scala, ha mostrato come nella fascia d’età fra 16 e 24 anni l’acquisto della macchina sia precipitato nella classifica delle priorità: era al 7° posto 30 anni fa, adesso è al 17°".
Il minore interesse dei nuovi potenziali clienti è stato confermato due anni fa a livello italiano da una ricerca Findomestic, che registrava la percezione dell’auto da parte dei più giovani come scelta costosa, sia per l’acquisto sia per il mantenimento.
Nei giorni scorsi un’altra ricerca, presentata nel corso della manifestazione sulla mobilità sostenibile “Una scossa alla città”, ha aggiunto un altro tassello: il numero delle auto in famiglia scende, di poco, ma la direzione di marcia è chiara. "Non è solo una questione economica", aggiunge Baracco. "È cambiato lo stesso concetto di mobilità. E, tra i giovani, il modo di relazionarsi. Che adesso passo attraverso i canali di Internet e stravolge anche i valori di consumo".
Cambiano i consumi, la crisi taglia la possibilità di spese, per tenere le posizioni sul mercato serve creatività e coraggio. "Altri carmaker hanno accelerato l’adozione di innovazioni che, unite a una buona politica di qualità/prezzo, hanno allargato la distanza con la concorrenza", dice diplomaticamente un consulente che però preferisce restare anonimo visto che conosce bene i guai di Torino. La perdità di terreno della Fiat era quindi inevitabile in questa situazione.
E l’ambizioso piano Fabbrica Italia non poteva essere la soluzione. La questione dello scarso numero di nuovi lanci non è solo un prurito giornalistico. La mancanza di vetture nei segmenti trainanti in Europa (monovolume medio, gamma C, SUV) una realtà sotto gli occhi di tutti. "Gli analisti puoi convincerli con una serie di slide colorate, il mercato no", conclude il consulente. Chissà se sabato Marchionne riuscirà a convincere Monti.