News
October 08 2014
La maratona sul Jobs act va avanti fino a notte. Alla fine arriva il sì alla fiducia con 165 voti favorevoli, 111 contrari e 2 astenuti.
Tra un lancio di monetine, contro il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, un libro sul regolamento scagliato all'indirizzo del presidente del Senato Pietro Grasso, una contusione per la senatrice pd Fattorini scontratasi con la pasionaria di Sel Loredana De Petris, Palazzo Madama non consente di portare al vertice Ue di Milano lo scalpo dell'abolizione dell'articolo 18.
Il premier alla conferenza stampa conclusiva perde il sorriso di ordinanza e si limita a dire: "Aspettavamo la riforma da 40 anni, i senatori stanno lavorando, tra qualche giorno porteremo a casa la riforma". Se la prende contro "le sceneggiate irrispettose". Ma lo scalpo dell'abolizione dell'articolo 18 non ancora lo può esibire.
Dicono i maligni nel Transatlantico di Palazzo Madama che il premier se la sia presa con Grasso che avrebbe dovuto accelerare i tempi. E che non gli sarebbe andato giù il fatto che ieri la discussione in aula sia slittata per due volte a causa della mancanza del numero legale, dopo che il governo aveva annunciato che avrebbe messo la fiducia.
Forza Italia in quanto opposizione non ha votato sulla decisione del governo. Insomma un combinato disposto che ha fatto allungare i tempi e non ha consentito a Renzi di portare in tempo utile il "compito" chiestogli dalla Troyka (Ue, Bce, Fmi). Ma alla fine la sensazione è che la montagna abbia partorito il topolino.
Sensazione descritta in modo pittoresco ma efficace dal leghista Roberto Calderoli: "Renzi ha tirato il pacco a tutti, ma soprattutto alla minoranza del Pd".
Significa che dell'abolizione dell'articolo 18 non vi è traccia nel maxiemendamento sul jobs act e non vi è neppure traccia dell'aggiunta della permanenza del reintegro per le cause disciplinari.
È tutto molto vago.
Vi sono solo le parole, neppure finite di pronunciare in aula a causa delle urla e delle proteste grilline, leghiste e di Sel, di Poletti, che nel testo scritto dice in buona sostanza che la questione sarà materia dei decreti attuativi.
Ovvero provvedimenti che fa il governo e sui quali il parlamento ha solo un parere consultivo. Il ministro dice però che potrebbe restare il reintegro oltre che per i casi discriminatori anche per i provvedimenti disciplinari giudicati gravemente infondati, quindi non per tutti. Una vaghezza che scontenta da destra a sinistra.
Paolo Romani, capogruppo Fi: "Provvedimento depotenziato, generico, negativo". Raffaele Fitto, europarlamentare (FI) fautore di una linea più dura con Renzi concorda: "Riforma vaga e depotenziata".
E la sinistra interna del Pd, quella che più sarebbe stata, secondo Calderoli, presa in giro dal premier? In un documento di 26 senatori e 9 deputati della direzione prevalentemente di area bersaniana, si preannuncia ora battaglia alla Camera, dove però Renzi ha ben altri numeri rispetto al Senato, camera in cui la maggioranza viaggia sul filo di 7 voti. La minoranza interna, capitanata dai "falchi" Stefano Fassina e Alfredo D'Attorre ribadisce il suo sì "per non far cadere il governo" prendendo atto soprattutto di alcune aperture relative al lavoro precario. Ma chiede: che fine ha fatto il reintegro anche per i licenziamenti di natura disciplinare che Renzi ci aveva promesso alla direzione del Pd?
D'Attorre a Panorama.it dice ironicamente: "Renzi chiama la minoranza alla disciplina di partito, ma non riesce neppure a far approvare quello che a Largo del Nazareno è stato approvato a stragrande maggioranza". Era la sera di lunedì 29 settembre, quando trionfalmente il segretario-premier se ne uscì con quel celebre: "Li ho spianati".
La sinistra interna sarà pur stata spianata, ma la rivoluzione che "l'Italia attendeva da 40 anni" non sembra una vera rivoluzione. In segno di protesta il civatiano pd Walter Tocci annuncia le dimissioni dopo aver votato la riforma. Vediamo ora se lo farà.
Senato: ecco il lancio del libro contro Grasso