I figli della notte al cinema, fuga dal collegio dei misteri - La recensione
Sembrerebbe un sanatorio, sul filo della Montagna incantata di Thomas Mann; oppure un albergo montano con inclinazioni termali come quello de La giovinezza di Paolo Sorrentino. Invece è un collegio d’alta quota, geografica e sociale, dove giovinetti di buona famiglia vengono inviati ad imparare l’arte del comando e i fondamenti dell’economia inflessibile. E dove Andrea De Sica, 36 anni, nipote di Vittorio e figlio del compianto Manuel e della produttrice Tilde Corsi ambienta I figli della notte (in sala dal 31 maggio) in un esordio scrupoloso, austero e disseminato di non banali relazioni cinematografiche.
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Telefono e internet, una chimera
Ne è protagonista Giulio (Vincenzo Crea), mite diciassettenne destinato come tutti gli altri ragazzi che colà soggiornano, a “ritrovare il giusto passo” come recita lo slogan del college e a far parte di una futura classe dirigente. Se non che i metodi di quella scuola isolata dal mondo si rivelato tostissimi nell’inflessibilità dell’educazione, nell’autoritarismo dell’insegnamento e nella grevità delle regole che oscurano internet e concedono il campo telefonico soltanto mezz’ora al giorno.
Come se non bastasse, non senza la silenziosa connivenza della direzione, alle “reclute” tocca di sopportare, come prove fortificanti, le incursioni di feroce e sadica matrice bullistica da parte dei veterani: tutto questo accade, come d’altra parte il resto del vivere quotidiano in quel luogo, sotto l’occhio vigile di telecamere sparse in ogni dove, deputate al controllo totale delle attività dei ragazzi.
Le tentazioni delle carne
Una trappola carceraria, insomma. Alla quale Giulio incomincia a sottrarsi quando fraternizza con Edoardo (Ludovico Succio), un suo coetaneo considerato difficile e ribelle che a poco a poco lo induce a trasgredire e a non considerare più invalicabile il recinto del collegio. Tanto che i due, a furia di organizzarsi in scorribande notturne nella foresta circostante, s’imbattono in un club ricco di succinte danseuses esperte in esibizioni lap e confidenze intime, dunque un lupanare che non è detto sia peggiore del collegio.
Anzi. I giovinetti, inclini alle tentazioni della carne e soggetti a comprensibili esortazioni ormonali cedono facilmente alle lusinghe femminili, specie Giulio che finisce addirittura per innamorarsi senza scampo della giovine e ovviamente graziosa prostituta Elena (Yuliia Sobol) con la quale intreccia un rapporto intenso e coinvolgente.
Un cupo dramma incombente
Niente sfugge alla direzione, neppure quelle escursioni notturne diventate frequentissime e mai ostacolate perché considerate parte del percorso formativo. E viene il sospetto che ogni evento sia addirittura, se non organizzato, almeno “previsto”. Meno prevedibile, piuttosto, un cupo dramma che incombe sul finale e che logicamente non va svelato: preceduto dalla scoperta, da parte di Edoardo, di una zona proibita all’ultimo piano del collegio dove albergano, remoti, dolenti e malinconici, fantasmi di ragazzi provenienti da un oscuro passato.
È cinema d’atmosfera, di caratteri, di smarrimenti in un luogo carico di misteri e di ombre. L’azione è misurata, i toni sono improntati al rigore e alla severità nella descrizione di problematiche individuali e collettive fra quei ragazzi che a momenti sembrano usati come cavie d’una fosca pratica antropologica e sperimentale. De Sica, anche autore della sceneggiatura insieme con Mariano Di Nardo in collaborazione con Gloria Malatesta, effettua una pastosa ricognizione su molti generi e film di riferimento pure conservando e difendendo una precisa identità narrativa.
Al confine tra realtà e horror
Si potrebbero citare (certo con le distanze dovute) titoli, tematiche e cineasti, da Shining ai molti Games di distopia fantascientifica, al trio dei David (Lynch, Fincher e Cronenberg) , al Lars von Trier di The Kingdom fino, per tornare in Italia, a Saverio Costanzo. Ma, come detto, il racconto mantiene una sua metodica e attenta tipicità, grazie anche ad una fotografia (di Stefano Falivene) capace di generare suggestioni tra penombre, bagliori, controluce e movimenti di macchina inattesi o striscianti (piacerebbe immaginare in soggettiva di chissà quale entità) lungo i corridoi a sostenere la traccia di un confine, assai presente qua, fra la realtà manipolata e l’horror.
Dimensioni e climi inquietanti che trovano una risposta densa e a tratti cavernosa nelle belle musiche scritte dallo stesso De Sica con intenti ora di semplice attrazione ora di sospensione, fino all’attesa ambigua e allarmante, alla premonizione di eventi funesti: ad accompagnare nelle giuste condizioni e cornici una storia che solo nell’ultima parte, pur conservando un suo smalto, sembra stemperare armonia e compattezza favorendo un certo trabocco drammatico e qualche passaggio un po’ sopra le righe nella concentrazione dinamica dell’azione. Ma anche questa, se si vuole, è una “virtù” dell’opera prima.
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