Dal Mondo
December 10 2020
Il figlio di Joe Biden, Hunter, è sotto indagine da parte della procura federale del Delaware. A renderlo noto, è stato lui stesso mercoledì con un comunicato stampa. "Ho appreso ieri per la prima volta che l'ufficio del procuratore degli Stati Uniti in Delaware ha reso noto al mio consulente legale, sempre ieri, che stanno indagando sui miei affari fiscali. Prendo molto seriamente la questione ma sono fiducioso che una revisione professionale e obiettiva di queste questioni dimostrerà che ho gestito i miei affari legalmente e in modo appropriato, anche con il vantaggio di consulenti fiscali professionisti", ha dichiarato. Secondo quanto riferito dal sito della Cnn, i procuratori federali del Delaware si starebbe muovendo in coordinamento con l'Irs Criminal Investigation e con lo stesso Fbi. In particolare, l'inchiesta sta cercando di appurare se Hunter Biden e i suoi soci abbiano violato la legge in materia fiscale e se abbiano condotto attività di riciclaggio di denaro nell'ambito di accordi stretti in alcuni Stati esteri: soprattutto – sostiene sempre la Cnn – la Cina. "Alcune di queste transazioni", ha precisato la testata, "hanno coinvolto persone che secondo l'Fbi hanno suscitato preoccupazioni di controspionaggio, un problema comune quando si ha a che fare con gli affari cinesi". L'indagine avrebbe avuto inizio nel 2018, prima della nomina di William Barr a ministro della Giustizia, mentre è stato fatto notare che Joe Biden non risulterebbe al momento direttamente implicato.
È chiaro che, al di là del lato giudiziario, la questione rischia di produrre delle conseguenze sul piano politico. Innanzitutto la notizia dell'inchiesta è emersa a pochi giorni dal 14 dicembre: data in cui – salvo eclatanti risvolti legati alla causa intentata dal Texas – i grandi elettori dovranno formalmente eleggere il presidente degli Stati Uniti: un bel grattacapo per Joe Biden che, oltre alle accuse di brogli e irregolarità mosse da Donald Trump, si ritrova adesso anche con la spada di Damocle sospesa su suo figlio. Il team di Biden, mercoledì sera, è intervenuto con un comunicato, in cui si affermava: "Il presidente eletto Biden è profondamente orgoglioso di suo figlio, che ha combattuto attraverso sfide difficili, inclusi i feroci attacchi personali degli ultimi mesi, solo per emergere più forte". Resta comunque il fatto che la tegola caduta sul presidente entrante sia significativa. E adesso molti già si chiedono se, una volta alla Casa Bianca, garantirà realmente l'indipendenza del Dipartimento di Giustizia oppure se agirà in modo da salvaguardare suo figlio. Una posizione scomoda che, oltre agli strali dei repubblicani, potrebbe esporlo anche a quelli della sinistra democratica.
In secondo luogo, l'altro aspetto problematico per Joe Biden consiste nel fatto che l'indagine si starebbe concentrando sugli affari cinesi del figlio. Nelle scorse settimane, l'opacità di questi stessi affari era emersa a più riprese, soprattutto in riferimento a un rapporto, redatto e pubblicato dai senatori repubblicani, Ron Johnson e Chuck Grassley. In particolare, sotto la lente di ingrandimento erano finiti i legami stretti da Hunter con l'azienda cinese Cefc e – conseguentemente – con il businessman Ye Jianming: una figura controversa che, prima di essere accusata di corruzione, intratteneva forti legami con l'l'Esercito popolare di liberazione. Tutto questo, senza dimenticare che – nel 2013 – Hunter accompagnò suo padre (all'epoca vicepresidente degli Stati Uniti in carica) in un viaggio ufficiale a Pechino. E, appena pochi giorni dopo, ottenne "stranamente" la licenza commerciale in Cina per una società che aveva contribuito a creare. Tra l'altro, un recente aggiornamento del rapporto di Johnson e Grassley ha messo anche in luce che un socio di Hunter, Rob Walker, ricevette – tra febbraio e marzo del 2017 – due bonifici (per un totale di 6 milioni di dollari) da State Energy HK Limited: azienda cinese a sua volta affiliata proprio a Cefc. Insomma, non solo l'indagine del Delaware conferma che le controversie sugli affari cinesi di Hunter sia probabilmente qualcosa di più di una semplice illazione. Ma indirettamente si tratta anche di una "vittoria" per lo stesso Trump che – soprattutto nelle ultime settimane di campagna elettorale – aveva a più riprese criticato i legami opachi del figlio di Biden in Cina.
Infine troviamo il lato geopolitico della faccenda. Il fatto che Hunter intrattenga connessioni potenzialmente pericolose in termini di controspionaggio con Pechino costituisce un problema per Biden, che si avvia ad essere presidente degli Stati Uniti: il principale competitor internazionale proprio della Repubblica Popolare. È vero: qualcuno potrebbe obiettare che la responsabilità penale è personale. E che del resto – come abbiamo detto – l'indagine del Delaware non chiami direttamente in causa Joe Biden. Resta tuttavia il forte sospetto di conflitto di interessi: un sospetto che proprio Joe Biden si trascina insistentemente dietro. Perché nel 2013 costui si portò suo figlio a Pechino durante una visita ufficiale (ricordiamo ancora una volta che, all'epoca, era vicepresidente in carica)? Perché nel 2014 suo figlio entrò nei vertici dell'azienda ucraina Burisma, appena un mese dopo che lo stesso Joe era stato nominato da Barack Obama come figura di raccordo tra i governi di Kiev e Washington? Perché nel 2016 – sempre da vicepresidente in carica – esercitò pressioni sull'allora presidente ucraino, Petro Poroshenko, con l'obiettivo di far silurare il procuratore che stava indagando proprio su Burisma per corruzione? Visto che l'anno scorso Trump è finito sotto impeachment con l'accusa di aver usato la presidenza a fini personali, sarebbe forse il caso che su tutti questi punti Biden faccia finalmente chiarezza.