Le Filippine sono il primo paese nel Sudest asiatico ad aver dichiarato guerra all'Isis.
Questo perché a Marawi, una cittadina che si trova sull'isola di Mindanao, alcuni gruppi ribelli estremisti affiliati allo Stato Islamico hanno deciso di costruire un Califfato nella regione.
Negli scontri per assicurarsi il controllo della città hanno perso la vita più di cento persone, ma il numero di vittime è destinato ad aumentare. Il capo della polizia è stato decapitato e diverse bandiere nere sventolano ora nella "Città islamica" filippina.
La legge marziale
Il presidente delle Filippine Rodrigo Duterte ha subito imposto la legge marziale sull'isola di Mindanao nella speranza che i maggiori poteri attribuiti alle forze di sicurezza permettano di evitare che gli estremisti prendano il sopravvento. Qualora la situazione dovesse degenerare, il provvedimento potrebbe essere esteso al resto della nazione.
Le dinamiche degli scontri al momento non sono chiare: le ultime notizie parlano di migliaia di persone fuggite o fatte evacuare dalle aree a rischio per garantirne l'incolumità e combattere meglio i ribelli. Elicotteri dell'esercito filippino stanno bombardando gli accampamenti dei ribelli nel tentativo di limitarne il più possibile i movimenti, e un attacco via terra dovrebbe essere in corso, visto l'arrivo di carri armati nella zona di Marawi.
L'origine degli scontri
Questa escalation di violenze è la conseguenza del tentativo da parte delle forze dell'ordine filippine di catturare Isnilon Hapilon, il leader di un gruppo di militanti che si identifica con il nome di Abu Sayyaf da poco autoproclamatosi emiro del Califfato di Lanao, nelle Filippine.
Hapilon, che figura tra i ricercati più importanti per l'FBI, avrebbe giurato fedeltà allo Stato Islamico nel 2014, proponendosi come l'uomo in grado di catalizzare il consenso dei foreign fighters di ritorno per creare un nuovo movimento in grado di far avanzare l'Isis nel Sudest asiatico.
Il fallimento dell'operazione dei servizi filippini ha portato a scontri a fuoco nella città di Marawi, da decenni roccaforte delle forte estremiste presenti nel paese, che i ribelli hanno sfruttato anche per liberare circa un centinaio di fondamentalisti rinchiusi nelle carceri locali e rilanciare così l'alleanza con un altro gruppo di fanatici vicini all'Isis, i "Maute", seguaci di Abdullah Maute - in arte Abu Hasan, e di suo fratello Omar, fortissimi nella provincia di Lanao del Sur, la stessa in cui si trova Marawi.
I ribelli di Mindanao
Quella di Mindanao è una realtà particolarmente problematica, e il Presidente Duterte lo sa bene visto che è stato per anni il sindaco di Davao, altra città della stessa isola. Le comunità islamiche dell'isola minore delle Filippine lottano da anni per ottenere maggiore autonomia, e anche nell'era Duterte non è stato raggiunto nessun compromesso.
Il rischio che le Filippine corrono oggi non è solo quello che i vari gruppi ribelli si coalizzino tra di loro per ottenere con la forza ciò che hanno sempre desiderato, ma anche che i loro leader si convincano che l'unica possibile soluzione per Mindanao sia la Legge Islamica, da implementare seguendo l'esempio dell'Isis in Medio Oriente.
La Jihad asiatica
Del resto, sono anni ormai che i seguaci del califfato cercano di costruire nuovi avamposti in Oriente.
Ci stanno provando in Asia del Sud, dove il legame tra i gruppi jihadisti Jamàatul Mujahideen Bangladesh (JMB), Lashkar-e-Toiba (LET) e Harkat-ul Jihad-al Islami (HUJI) in Pakistan, Talebani e al Qaeda in Afghanistan e la Rohingya Solidarity Organisation (RSO) in Myanmar stano diventando sempre più stretti, e ci sta provando nelle Filippine, coinvolgendo foreign fighters di Singapore, Malesia e Indonesia a sposare la loro nuova causa: rilanciare la Jihad dalle Filippine fino a Baghdad.
Quella di Marawi è una battaglia molto importante. L'eventuale perdita del controllo della città avrebbe infatti conseguenze spaventose. Da un lato darebbe maggiore slancio alle forze estremiste del paese, dall'altro spingerebbe i gruppi islamici di altre nazioni a sfidare apertamente i rispettivi governi, creando nuovi focolai di tensioni.
Duterte lo sa bene, tant'è che oltre a dichiarare la legge marziale ha invitato altri gruppi ribelli attivi sull'isola di Mindanao a scheirarsi contro il nuovo Califfato, promettendo in cambio una serie di vantaggi, sia dal punto di vista dell'autonomia sia da quello dell'accesso alle risorse. Purtroppo non è ancora arrivata nessuna risposta ufficiale da questi gruppi, mentre gli scontri tra le due parti si fanno sempre più duri e sanguinosi.