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December 29 2020
Si chiude un anno lunghissimo, segnato dal Covid-19, che non ha bisogno di aggettivi. Per i cinefili, i ricordi piovono anche su: l'ultimo film visto al cinema? Per me, Memorie di un assassino, prima della chiusura di febbraio. Roubaix, Une Lumière, prima dell'ultima chiusura di ottobre. E per voi?
Per fortuna, comunque, i pochi mesi di proiettori accesi hanno concesso alcuni bei film. Diversi i film italiani che, anche per la carenza di film americani da marzo in poi, si sono messi in luce, un po' grazie alla Mostra del cinema di Venezia, che oggi sembra essere stata una miracolosa e miracolata isola felice, un po' nelle sale aperte a singhiozzo, un po' sulle piattaforme digitali.
Ecco la mia top 10 di film italiani usciti nel 2020, tra sala e piattaforme.
Solido e denso, come i colori ad olio spalmati sulla tela, è il ritratto che Diritti fa del pittore Antonio Ligabue. Un film che parla alla testa e agli occhi, più che al cuore, concedendo anche momenti poco vibranti, ma che ci regala l'ennesima interpretazione da ricordare di Elio Germano, che dell'artista prende addosso incurvature fisiche, bruschezze caratteriali, manie. Orso d'argento per il migliore attore a Berlino, con dedica a tutti gli storti e a tutti gli sbagliati.
Nera e cattivella, è questa favola favolaccia, come titolo non mente. Nella periferia romana, attorno a una famiglia apparentemente normale che aspira a una certa affermazione sociale (casa indipendente, giardino, piscinetta), ruotano altre famigliole: tutte, in verità, insoddisfatte. I fratelli D'Innocenzo si divertono a giocare con la camera, con riprese e tagli inconsueti, tutti piccoli spilli conficcati in una trama che punzecchia. Fino al finale che è davvero nero e più che cattivello. Anche qui Elio Germano c'è.
Piccolo grande film rivelazione, opera prima che si lascia vivere con intensità e coinvolgimento, tratta dal romanzo di Catena Fiorello. La Sicilia, l'isola di Favignana, negli anni '60, selvatica e traboccante, e qui una ragazzina (Marta Castiglia), lasciata in Italia dai genitori migrati all'estero, che al seguito della nonna dura e brusca (Lucia Sardo) cerca emancipazione, tra sussulti ribelli e sguardi di profondo reciproco sentirsi. La parte finale spiazza ed è un pugno al petto. Un po' stridente il balzo nel presente. Tanto tantissimo cuore, in Picciridda, ma anche mestiere e paesaggi in cui abbandonarsi.
La regista teatrale siciliana, al suo secondo film, percorre tre fasi della vita, infanzia, età adulta e vecchiaia, attraverso cinque sorelle che passano dalla spensieratezza al disincanto. La prima parte è una meraviglia di sensi, tra colori, vitalità narrativa, canzoni che diventano canovaccio. Occhi e cuori gonfi, per un film che agita le emozioni, sempre accese, ora in sorrisi divertiti, ora in contemplazione delle palpitanti e accurate scelte artistiche. Con una scena, però, stonata in cui Emma Dante fa troppo Emma Dante: l'abbuffata di pasticcini.
Dopo Nico, 1988, dove aveva fatto rivivere Christa Päffgen, ex cantante dei Velvet Underground, la regista sceneggiatrice ci ha consegnato un altro ritratto di donna tragico e lucente. Meno potente, ma comunque appassionato. Ci fa conoscere Eleanor Marx, familiarmente chiamata Tussy, la più giovane delle tre sorelle Marx e anche lei, come il padre, militante socialista. Alle battaglie per i diritti dei lavoratori, lei affiancò presto le battaglie per i diritti delle donne: fu tra le prime ad avvicinare i temi del femminismo e del socialismo. Convincente l'attrice britannica Romola Garai come calda, dolcissima e dolente signorina Marx.
Piacevole leggerezza pensante, quella a cui Bruni ci ha abituati (Scialla! e Tutto quello che vuoi). Kim Rossi Stuart è un regista cinematografico in stallo, separato, a cui piomba addosso una brutta malattia. L'ematologa (Raffaella Lebboroni) che lo guida, tenace e spiccia, è uno spasso. Mentre le cose attorno a lui, piano piano, prendono il loro posto, inizia un percorso di rinascita, senza pietismi, con buon umorismo.
Documentario che racconta la «normalità» che abita il fronte, girato sui confini tra Iraq, Kurdistan, Siria e Libano, è un'elegia crepuscolare e dolente che canta la sofferenza e la vita del Medio Oriente. La narrazione non è diretta, ma obliqua e lenta, senza sussulti, senza didascalie che contestualizzino, per precisa scelta registica. È stato scelto come rappresentante italiano in corsa per l'Oscar al miglior film internazionale.
Il regista della saga Smetto quando voglio ha il grande merito di rispolverare una storia davvero incredibile, dimenticata: quella della micronazione costruita dall'ingegnere bolognese Giorgio Rosa nel 1968, al largo delle coste di Rimini, nelle acque di nessuno, contro cui si spiegò la Marina italiana. Ancora una volta protagonista Elio Germano (terzo film in classifica con lui nel cast), con sorprendente accento emiliano. In un revival anni '60 ben calibrato, Sibilia spinge un po' troppo il tasto della commedia dai toni prepotentemente colorati e ridanciani, virando la folle magnifica impresa di Rosa verso la goliardata.
Paola Cortellesi e Valerio Mastandrea, disperati e comici, sono lo specchio delle difficoltà di quella generazione di mezzo cresciuta quando ancora l'Italia andava alla riscossa, ora accartocciata nei meccanismi di una recessione perenne. I due attori sono due coniugi alle prese con il secondo bebè, terrorizzati di non farcela, in un Paese sempre più ostile. La sceneggiatura, scritta da Mattia Torre, morto nel luglio 2019, è lucida e tagliente, ma piena di una leggerezza tutta da ridere. Tante le trovate stilistiche efficaci. Un esempio? I pianti esagitati del figlio neonato per fortunata ci vengono risparmiati e, per convenzione, sono tradotti in estratti della Sonata 8 di Beethoven. Tante risate.
Road movie che gioca con le fragilità umane, tra riflessione e diletto, per lo più allietando, a volte cedendo troppo alla semplificazione (ok la leggerezza, ma l'agorafobia non svapora con poco). Da una parte Jasmine Trinca, piena di paure, dall'altra Clive Owen, pieno di alcol. E in mezzo alcune idee originali (a partire dalle tappe che compongono il viaggio) e buone scelte stilistiche (vincenti i richiami cromatici blu).