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January 28 2022
Anche il 2021 è stato un anno complicato per il cinema, condizionato dalla pandemia. A gennaio le sale italiane erano chiuse e, dopo continui rinvii, solo il 26 aprile hanno potuto riaprire (al via furono solo 107 cinema coraggiosi a rimettersi subito in moto). Da allora, però, pur con incassi spesso da musi lunghi, non hanno più smesso di proiettare emozioni (nel 2020 invece il 26 ottobre vivevamo una seconda chiusura, dopo la prima del 24 febbraio in gran parte d’Italia).
Ma pur monco, il 2021 ha saputo regalarci alcuni bei film, da ricordare. Qui raccogliamo i 10 film italiani più belli del 2021. Per lo più non troverete i titoli più attesi e altisonanti dell’anno, rivelatisi spesso una delusione. Capita che esplorando anche negli angoli meno lucenti dei festival internazionali o tra titoli poco chiacchierati, si trovino piccoli grandi storie che portano lontano, trovano sedimento nell’anima, prendono posto dentro di sé. Primo fra tutti, forse per molti a sorpresa: Ariaferma di Leonardo Di Costanzo.
Ecco i 10 film italiani più belli del 2021, secondo noi.
Ariaferma si muove quattamente, tra silenzi, parole mozze, sguardi traversi, in una tensione che sobbolle. Da una parte i secondini di un carcere del Sud Italia, in via di dismissione, con Toni Servillo in prima linea; dall’altra i carcerati, sul bilico di uno sciopero della fame, guidati da Silvio Orlando. In mezzo, l’essere tutti essere umani, sotto lo stesso cielo. Un balletto di avvicinamenti e allontanamenti, come una partita di scacchi divisa dalle sbarre. Una tenzone a un passo dall’esplodere o dal toccarsi, come le dita di Michelangelo.
Dopo il buon esordio con L’intervallo e il meno brillante L'intrusa, Di Costanzo si ritrova. A pensare che Ariaferma era fuori concorso alla Mostra del cinema di Venezia 2021.
L’Apocalisse sembra così vicina a noi ne La terra dei figli. Cupellini, il regista di Alaska, traspone il romanzo grafico di Gipi e, nel delta del Po, nel Polesine e nella laguna di Chioggia rappresenta un mondo sfinito, dopo l’avvento dei veleni. Senza più speranze, senza risorse, senza figli. Tranne il quindicenne impetuoso interpretato dall’ottimo Leon de la Vallée. In un niente di acqua, cadaveri, violenza e melma, lui va alla ricerca di qualcuno che sappia ancora leggere… Una distopia affascinante e sofisticata, pur nella sua essenzialità cruda. E ci sono pure Valerio Mastandrea e Valeria Golino.
Dopo Mediterranea (2015) e A Ciambra (2017), Carpignano chiude la trilogia di Gioia Tauro con un racconto di formazione di potente realismo e, allo stesso tempo, poesia. Tenebroso e lucente. Vediamo attraverso gli occhi di Chiara (Swamy Rotolo), quindicenne che, all’improvviso, si rende conto che la sua vita ridente è intrisa di ‘Ndrangheta. Uno choc che le impone delle decisioni e la costringe a formarsi la sua bussola morale. In bilico tra bene e male, tra maglie famigliari calde e viscose e una libertà che è uno strappo.
Era nella Quinzaine Des Réalisateurs al Festival di Cannes 2021.
È stata la mano di Dio non è in vetta alla nostra personale classifica, anche se è stato Leone d'argento - Gran premio della giuria a Venezia ed è stato nella cinquina al miglior film straniero del Golden Globe 2022 e nella shortlist da 15 degli Oscar 2022 al miglior film internazionale. Il film italiano più acclamato del 2021.
Eppure l’estetica degli eccessi di Sorrentino, che ha avuto un’accelerazione dopo La grande bellezza, non smette di irritarci. Il regista napoletano ora tocca la sua sfera più privata, raccontando la morte dei suoi genitori (interpretati da Toni Servillo e Teresa Saponangelo) avvenuta quando era poco più di un ragazzino. Il talento è indubbio, ma anche una snervante volontà di fare colpo.
Michelangelo Frammartino ci chiede una grande grandissima pazienza, tra traboccanti immagini come quadri in successione in estrema logorante lentezza. Rievoca la grande impresa speleologica che nel 1961, con mezzi d’altri tempi, portò alla scoperta dell’Abisso di Bifurto, una grotta profonda 683 metri nel parco nazionale del Pollino.
Un voto di pazienza che, almeno per i più romantici che non hanno bisogno di parole e trame, può esser ripagato.
Premio Speciale della giuria alla Mostra del cinema di Venezia.
Vivace ritratto di Eduardo Scarpetta, re della scena teatrale napoletana di inizio Novecento, incarnato da uno spumeggiante Toni Servillo. Un film ricco di vita, di voglie, figliolanza, ambizioni (alle origini dei fratelli De Filippo).
Documentario famigliare che ricostruisce il suicidio a soli 29 anni di Camillo Bellocchio, fratello gemello del regista, è una sorta di presa di responsabilità. Stupisce la freddezza chirurgica con cui vengono ripercorse mancanze e dimenticanze, sorde richieste d’aiuto ignorate. Una sincerità algida che, per assurdo, diventa peculiarità distintiva e valore aggiunto del film.
Un esordio alla regia divertente e originale che si distingue nell’affollata platea di commedie italiane bonaccione e goffe. Un ottimo Gianfelice Imparato è un attempato comunista napoletano che ha trasformato la sua casa in un’eccentrica roccaforte del socialismo reale: da 15 anni lì si vive come a Cuba. Ma è il 1999 e il mondo sta cambiando, mentre lui si ostina a rimanere attaccato ai suoi ideali, mai da macchietta, ma da sognatore strampalato fuori dal tempo. Calò trova l’equilibrio per non cadere nel grottesco e render tutto credibile e lieve.
Napoli, Quartieri Spagnoli: dal piano di sotto, un bambino (Giuseppe Pirozzi) si intrufola nell’appartamento del vicino, un Silvio Orlando maestro di pianoforte dall’esistenza solitaria e dalle passioni nascoste. Il ragazzino, tutt’altro che remissivo, è ricercato dalla Camorra. Tra la maturità dolente di Orlando e il vulcano espressivo di Pirozzi, tra scossoni e sguardi guardinghi, si va formando una coraggiosa sussurrata alleanza.
Pasolini non tocca i livelli della perla precedente, Still life, ma si distingue sempre per una voce sensibile e dallo sguardo profondo.
Quando scopre che gli restano pochi mesi di vita, un lavavetri 35enne (James Norton) cerca la famiglia perfetta per il suo piccolo figlio (Daniel Lamont) allevato da solo. Una sorta di storia d'amore tra padre e figlio, che cerca la sobrietà, pur in una tematica strappalacrime.