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January 01 2025
Il 2024 del cinema italiano ci ha regalato delle belle sorprese, arrivate soprattutto da registi meno attesi. Prima fra tutti: Maura Delpero, bolzanina alla sua opera seconda. Ed è al suo secondo film di fiction anche Gianluca Jodice, che ci ha sedotti con Le déluge - Gli ultimi giorni di Maria Antonietta.
Ecco secondo noi i film italiani più belli del 2024.
Vermiglio è il film italiano dell’anno, nei cuori e nei riconoscimenti. Storia di montagna e di un’Italia che non c’è più, sul finir della seconda Guerra mondiale in Val di Sole, in dialetto, cadenzato dalle stagioni, pulsa di semplicità e vitalità. E punta a grandi premi internazionali. Dopo il Leone d'argento - Gran premio della giuria alla Mostra del cinema di Venezia, è nella cinquina dei candidati al Golden Globe 2025 come miglior film straniero e nella short list a 15 che punta all’Oscar al miglio film internazionale.
Sontuoso, spietato e magnetico, è la bella sorpresa del 2024 italiano. Alla guida del regista napoletano già autore de Il cattivo poeta, la produzione è italo-francese e la lingua parlata è il francese.
Catturando gli ultimi giorni di vita di Luigi XVI e Maria Antonietta, dentro le stesse stanze di prigionia, si mescolano dinamiche famigliari, sguardi consapevoli o illusi, la più scoraggiante bestialità umana. Emozionante Guillaume Canet come re detronizzato, somma e tragica Mélanie Laurent.
Il significato di Le déluge in italiano? Il diluvio.
Mano italiana alla regia, produzione italoamericana. Guadagnino trasforma il tennis in rock sexy e ipnotico. I sentimenti e il triangolo amoroso tra tennisti (Mike Faist, Zendaya e Josh O'Connor) diventano un impetuoso scambio di dritti, rovesci e volée su terra rossa. Una sfida di desiderio e ambizione, gustosamente seducente.
Challengers è candidato a quattro Golden Globe 2025 tra cui miglior film commedia o musicale.
Un’opera prima appassionata e appassionante, che con piglio energico e contemporaneo esplora uno spaccato di Ottocento, misogino, patriarcale, opprimente, in un istituto musicale per educande veneziano.
Il mezzo per rompere gli argini e ridare voce a donne messe a tacere? La musica. Con un finale assurdo quanto visionario, che fa sorridere. Leggerezza e luce in tanto buio.
Spaccato d’Italia di fine seconda Guerra mondiale, in un angolo di Calabria di malelingue e apparenze da mantenere. Qui si muove un’improbabile e bella storia di amicizia tra la ragazza scostumata (Ludovica Martino), madre single, e il gay del paese (Marco Leonardi). Un colpo di reni contro catene famigliari e destini segnati, un rigenerante guizzo di libertà.
Si passa metà del film a cercar di capire quanto Elio Germano resti Elio Germano e quanto invece si confonda dentro il personaggio sommo di Enrico Berlinguer. Nonostante questa continua distrazione, Segre riesce a rievocare una politica di alti ideali e di discorsi di significati profondi che, se confrontata all’oggi volgare e tossico, suscita brividi.
Non è di certo il miglior Marco Tullio Giordana, ma La vita accanto è un film diverso e misterioso, tra non detti, sottintesi, legami famigliari da decifrare. C’è una nuova nata con una macchia rossa in viso, c’è una giovane mamma (Valentina Bellè) che impazzisce, c’è una cognata pianista (Sonia Bergamasco) stranamente tanto molto presente… A distanza di tempo, lascia ancora addosso sensazioni da esplorare.
Dentro la guerra di Secessione americana, nell’inverno del 1862. La camera segue alle spalle i soldati, vicina, immergendosi nel loro quotidiano di pericolo nelle terre inesplorate dell’Ovest, con sequenze avvincenti. Sono invece meno avvincenti le vicende umane dei protagonisti, in un film corale stilisticamente notevole ma povero di sentimenti.
Racconto d’infanzia colorato e pieno di cuore, ambientato alla fine della seconda Guerra mondiale, nasce da una storia scritta da Fellini a fine anni ’40. Con due giovani protagonisti che è facile amare, interpretati da Dea Lanzaro e Antonio Guerra.
Anche se nuota nella melassa e si affolla di troppe tematiche sul finale, è un’avventura ricca di luce, con atmosfere alla Hugo Cabret.
Un film ambizioso dal cast internazionale (Gael García Bernal, Bérénice Bejo, Renate Reinsve), imperfetto ma affascinante. Si inoltra nella tematica dolorosa e universale dell’elaborazione del lutto, costruendo un nuovo immaginario fantascientifico, come raramente provano a fare le produzioni italiane (è una co-produzione italiana, francese e britannica).
In un futuro vicino c’è la possibilità di salutare le persone care morte, cercando di fare i conti con lo strappo e il vuoto lasciato. Spesso commovente, a volte irrazionale, a suo modo lascia il segno.