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June 07 2024
Oggi suona l’ultima campanella dell’anno ed è tempo di bilanci e così, prima che escano dagli scrutini i verdetti della scuola, proviamo a fare una pagella a questo anno scolastico.
Iniziamo dalle bocciature. In primo luogo, va detto che la situazione non cambia con il passare degli anni. Per forza, dato che la scuola è priorità sempre nelle dichiarazioni e mai nei bilanci, per cui tocca fare i conti con aule strapiene, stipendi che non attraggono, luoghi poco belli in cui fare lezione, conflittualità crescente tra docenti e studenti – e viceversa – tra genitori e docenti – e viceversa – ma anche tra docenti, con la presidenza, insomma, un panorama poco educativo proprio dove l’educazione si dovrebbe costruire giorno dopo giorno. Pare retorico, ma c’è del vero in questa ricostruzione fallimentare che si ripete ogni anno.
Ancora, nel giorno dei saluti, mobilità e precarietà restano gli spettri immutati che aleggiano nei corridoi di ogni istituto e così, a breve, ricomincerà il giro di cattedre, incarichi e scuole per migliaia di docenti che sapranno in estate, ma anche in autunno e a scuola iniziata, dove insegneranno, senza poter pianificare, gestire un passaggio di consegne, lavorare in continuità. Tra i mille problemi della scuola, questo è particolarmente fastidioso perché incide sulle vite di docenti e studenti, per cui servirà metterci la testa, con lungimiranza, progettazione, investimenti.
Analizzando i dati con cui si tenta di caratterizzare la nostra scuola, il quadro è desolante. I nostri studenti più stanno a scuola meno sono efficaci e questo si deduce ogni anno dalle prove INVALSI che certificano impietosamente quanto, dalla primaria alle superiori, i risultati in italiano e matematica perdano brillantezza, sintomo di un sistema di istruzione opaco, che non entusiasma e non accende, anzi appiattisce. Poi c’è il cortocircuito INVALSI-esame di maturità, per cui a risultati mediocri dell’ente statistico fanno da contraltare soprattutto in alcune zone risultati mirabolanti, espressi in centesimi, degli stessi studenti alle prove di maturità, mettendo in evidenza che c’è un problema che la valutazione preannuncia, ma che non si risolve con la sola misurazione.
Ancora, c’è il sentire comune che restituisce un quadro poco stimolante, perché la scuola propone uno studio sempre meno impegnativo, meno massiccio, eppure è spesso avvertita come un’istituzione che stressa gli studenti e li mette a disagio, nonostante le richieste siano sempre più blande anche rispetto a soli pochi anni fa. Resta quindi l’idea che la scuola sia l’unico ambiente in cui è richiesto un certo impegno in termini di puntualità, esattezza, aderenza alla richiesta, possibilità di fallire una prova, spettro di una non promozione, o semplicemente di entrare a contatto con un proprio limite, sia esso intellettivo, o di resistenza, di attitudine. Anche questo è un tema incandescente, perché è vero che la scuola prostra, stressa, delude e talvolta fa smettere di mangiare, di dormire, così come è vero che ci siano situazioni difficili da gestire, asfittiche e ingiustificabili, ma l’indagine sulle responsabilità su larga scala di questi effetti sugli allievi non si deve cercare solo nei corridoi scolastici, perché l’esigenza di cui la scuola si costituisce è uno dei modi che ha la scuola per agire e – si conceda – di voler bene, a patto che questa asticella sia issata in alto modellandola su richieste realistiche, inserendo la scuola nella vita senza pretese di esclusività, e sia presentata con professionalità, interesse, passione. Il timore invece è che la scuola richieda ormai una dedizione che è aliena nella vita degli studenti, sempre meno esposti al realismo che fa fare esperienza di gioie e soddisfazioni, ma anche di smarrimenti, fallimenti e naufragi.
Dal punto di vista dei progetti e di tutto ciò che in questi anni è stato aggiunto, le cose non hanno funzionato come avrebbero dovuto, e anche in questo caso non c’era molta aspettativa di un risultato differente. Educazione civica è una “non materia”, perché non ha linee guida ministeriali, non ha una cattedra specifica, non gode di un monte ore dedicato: la lezione di educazione civica si ritaglia così tra le ore delle altre materie, rendendo estemporaneo l’insegnamento di una disciplina nobile, necessaria, utile da conoscere e indispensabile spunto di riflessione. Lo stesso valga per i percorsi PCTO che soffrono lo stesso problema di inserirsi di traverso nella giornata e nelle programmazioni.
Quest’anno la novità ha riguardato le gite e i viaggi di istruzione, perché molte classi hanno dovuto rinunciarvi per il rincaro dei prezzi. Incredibile, ma è toccato leggere e fare esperienza anche di questo.
Quindi, cosa si salva della scuola? L’iniziativa personale, la passione di chi ci prova e riesce, siano docenti, genitori, alunni, presidi. L’ultimo giorno si moltiplicano i messaggi di affetto per i docenti che sono stati punti di riferimento per gli studenti, ci sono lacrime e c’è gratitudine, affetto e commozione perché la scuola – anche se non va per niente bene – non è fatta di lavagne interattive e burocrazia, ma di carne, di cuore, di emozioni e sta ancora in piedi proprio per le relazioni che, nel piccolo e nonostante tutto, ancora la rendono un luogo capace di mancare anche a chi non vede l’ora che l’8 giugno arrivi fin dal primo giorno, anche a chi alla scuola non chiede molto, solo comprensione, qualche stimolo, una bella lezione, una parola da ascoltare e una da poter dire.
Basta così, quindi, ma non può bastare per ripartire a settembre con prospettiva e nuove energie. Ciononostante, arriva l’estate per milioni di studenti: Omero, Dante, il present perfect, le guerre puniche, la gabbia di Faraday, le circonferenze e le parabole lasceranno spazio a sabbia, mare, crema, montagna, musica e ritmo diverso della routine quotidiana.
Arriva l’estate e questa è una buona notizia. L’augurio è che la comunità scolastica degli adulti – genitori e docenti, con ruoli diversi e ugualmente decisivi - riesca a garantire che sia un tempo di riposo, di compiti per la ripresa intesi come un mantenimento necessario e non una seccatura da sbrigare, e un tempo in cui ci si possa dedicare a esperienze ricche di senso.