Flick: «La politica si è adagiata sulla supplenza della magistratura»

Tra i temi ora in secondo piano, viste la difficile situazione economica ed internazionale, ma che prima o poi tornerà in primo piano c'è il difficile rapporto tra giustizia e politica. Dopo anni di scontri anche violenti e di intromissioni del potere giudiziario in quello politico, ma dopo anche il pesante scandalo della vicenda Palamara bisogna ricostruire il mondo della magistratura in chiave più moderna ed efficiente.

Panorama.it ha incontrato l’insigne giurista -tra l’altro Ministro della giustizia nel primo governo Prodi e professore emerito di diritto penale alla Luiss di Roma- per ragionare sui temi che il nuovo governo dovrà necessariamente collocare ai vertici della sua agenda politica.

Professore, lei è reduce dal congresso delle Camere penali tenutosi qualche giorno fa a Pescara. Un intervento applauditissimo…

«Sono lieto che siano state condivise alcune riflessioni maturate nella mia esperienza di giudice delle persene e dei fatti e di giudice delle leggi, dopo una pausa importante dedicata all’attività universitaria, a quella professionale di avvocato, a quella istituzionale di ministro della giustizia nel primo governo Prodi. Si è trattato di esperienze che mi hanno arricchito culturalmente: ero entrato nel mondo del diritto cercando la certezza attraverso la legge, mi avvio ad uscirne con la consapevolezza che è più importante la ragionevolezza del dubbio».

Il tema-giustizia è stato latitante nell’ultima campagna elettorale…

«Da cittadino temo questa latitanza come molte altre: salute, cultura, istruzione, per citarne alcune tra le più significative in un momento delicato della nostra vita pubblica. Lo stress della pandemia, l’incubo dell’estensione territoriale della guerra russo-ucraina e la conseguente crisi energetica sono certamente implicazioni che avranno distratto i candidati all’ultimo appuntamento elettorale. La perplessità difronte ad una campagna elettorale caratterizzata dallo scontro personalizzato e da “liste della spesa”, si aggiunge a quella -più forte- causata dal crescente assenteismo e dal disinteresse di molti di fronte ai talk show e alle liti quotidiane».

Le problematiche tecniche non mancano di certo…

«Lo sconcerto pubblico di fronte al “Rosatellum” -ultimo dopo il “Mattarellum”, il “Porcellum”, “Italicum” e “Consultellum”…- spero non aumenti dopo un prossimo “Diabolicum” visto il perseverare di questa tendenza. Auguro da cittadino un cambio della legge elettorale prima di affrontare altri temi di fondo, come le divagazioni sulla scelta tra presidenzialismo e parlamentarismo».

Il nuovo governo non potrà più ignorare l’universo-giustizia.

«Molte cose sono in cantiere, sollevando approvazioni e contestazioni. Prima di esprimere qualsivoglia valutazione, mi sembra giusto verificare l’attuazione delle novità (processo penale, processo civile, ufficio del processo); vedere come funzionano di fronte alla necessità dei due frutti dell’albero della giustizia, ovvero la ragionevole durata del processo e la ragionevole prevedibilità dell’esito. Una cosa mi sembra particolarmente importante sin d’ora: la ministra Marta Cartabia -al di là delle scelte più tecniche sulle quali vi può essere, come vi è, qualche perplessità- ha sgomberato il binario delle riforme della giustizia dal “masso” che vi aveva spinto una gran parte della magistratura associata, parlando a voce ben più alta delle altre».

Bella metafora, complimenti.

«Guardi che mi riferisco alla pretesa, da parte di questa magistratura associata, di possedere il monopolio sulle riforme…».

E’ la stessa giustizia che invoca alcune priorità: a partire dal sistema penitenziario.

«E’ sotto gli occhi di tutti la situazione: suicidi, carceri fuori legge per sovraffollamento, violenze ai detenuti e frequenza delle inchieste per torture e maltrattamenti, nonostante l’impegno di molti fra gli operatori. Il Garante dei detenuti chiede, a loro nome, una riforma immediata; il capo del Dipartimento degli affari penitenziari chiede meno condanne al carcere; la stessa salute interna agli istituti di pena è gestita in modo assai discutibile, nonostante gli sforzi».

Pare di capire che il tema della detenzione carceraria sia conducente nella sua agenda di politica giudiziaria…

«Intanto perché mi sembra positivo il riconoscimento della ministra Cartabia sulla necessità di non restringere la pena al solo carcere e di introdurre non tanto misure sostitutive del carcere ma vere e proprie pene alternative (non è solo un cambio di nome) per le pene brevi in cui il carcere è inutile e dannoso. Il carcere, per sua natura, incide con danni irreparabili sulle tre componenti del Dna della persona: relazioni con gli altri a partire da quelle affettive, alterazione del tempo (tra passato, presente e futuro) e dello spazio (tra reale e virtule). Non mi pare accettabile l’impostazione che vede l’esigenza delle garanzie solo nel momento del processo e non in quello altrettanto importante dell’esecuzione della pena».

La giustizia penale è il grande malato, con il processo eterno incompiuto…

«Pur non entrando nel merito delle modifiche specifiche, mi lasciano perplesso e non condivido alcuni aspetti come l’uso sfrenato del captatore elettronico (il famigerato troyan) o il mix tra prescrizione e improcedibilità: la prima tipica del momento sostanziale, la seconda della fase processuale».

Sarà anche tempo di riformare l’ordinamento giudiziario?

«Questo progetto di riforma, che ormai risale a più di un secolo fa, è urgente. Le vicende del correntismo che hanno appesantito e inquinato l’organizzazione della magistratura, rendono indilazionabile la sua revisione: basta pensare al Csm e alle sue tracimazioni nel campo della politica, con una corrispondente carenza in quella della gestione, come accade nelle nomine dei capi degli Uffici giudiziari».

Non è bello fare nomi e non ne faremo. Ma i recenti scandali all’interno del Csm hanno minato la credibilità della magistratura.

«La perdita di credibilità e fiducia nella magistratura è più che evidente nella differenza tra il messaggio del primo insediamento del Presidente della Repubblica e del Csm e l’ultimo del febbraio scorso. Nel 2017 vi fu un riconoscimento dei meriti della magistratura, anche per le testimonianze di eroismo di alcuni dei suoi esponenti; nel 2022 -al contrario- una severa constatazione della perdita di credibilità di essa e un pressante invito alle riforme da attuare in sinergia con gli avvocati».

Intanto c’è un governo da formare e per il ministero circolano da tempo i nomi di Giulia Bongiorno, avvocato in quota Lega e Carlo Nordio, ex procuratore di Venezia eletto con Fratelli d’Italia.

«Auguro a chiunque sarà ministro della giustizia un buon lavoro, ben sapendo quanto può essere faticoso quest’incarico».

Lasciamoci con un messaggio di pace. Tra magistratura e avvocatura sarebbe auspicabile una pace duratura…

«Certo: una tregua tra le due principali componenti della Giustizia, tanto più che lo scontro tecnico tra di esse in realtà occulta un’assenza della politica che rinunzia a decidere e ad assumersi responsabilità in prima persona, trovando più comodo lasciare alla magistratura una supplenza che viene costantemente rimproverata».

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Piemontese di Ciriè, comune della Città metropolitana di Torino, classe 1940, Giovanni Maria Flick, è professore emerito di diritto penale alla Luiss di Roma, dopo aver insegnato negli atenei di Perugia e Messina. Laureatosi in legge alla Cattolica di Milano, nel 1962 è entrato in magistratura svolgendo sia funzioni requirenti che giudicanti presso il Tribunale di Roma. Nominato nel 1996 Ministro di Grazia e Giustizia dal governo guidato da Romano Prodi, il 14 febbraio del 2000 venne nominato Giudice della Corte costituzionale dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, divenendone prima vicepresidente nel 2005 e, successivamente, tra il 14 novembre del 2008 ed il 18 febbraio del 2009, il 32esimo presidente.

Panorama.it Egidio Lorito, 08/10/2022

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