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(Ansa)
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Foibe? E chi le conosce?

Da Panorama del 5 settembre 1996


Aedo a tutt'oggi intemerato della superiorità storica del comunismo e dei comunisti, il professor Luciano Canfora non arretra d'una virgola neppure innanzi all'orrore di quelle migliaia di italiani scaraventati dai partigiani jugoslavi nelle foibe, di cui la buona parte niente aveva avuto a che fare con gli orrori dell' occupazione italiana in Jugoslavia.

E' vero quel che dicono Canfora e altri intellettuali del Pds o di Rifondazione, che una cosa sono i massacri delle foibe, altra cosa la rappresaglia delle Ardeatine. Fare e raccontare storia significa distinguere, comprendere ogni volta le ragioni specifiche di quel che è accaduto. Solo che niente affatto di questo si tratta, oggi che l' orrore delle foibe va finalmente sulle prime pagine dei giornali e diventa coscienza collettiva. E nemmeno della macabra contesa se ci sia più dolore e offesa all' umanità in quei 335 uomini uccisi a gruppi di cinque alle Ardeatine o in quelle centinaia e centinaia di ragazzi, donne, soldati neozelandesi, antifascisti che vennero scaraventati nelle foibe: talvolta ancora vivi, talvolta dopo che gli avevano tagliato i genitali e cavato gli occhi. Per non dire che ha perfettamente ragione il presidente della Camera, il pidiessino Luciano Violante, quando manifesta il suo disgusto per il fatto che c' è chi va a portare i fiori alla Risiera di San Saba (il campo di sterminio nazi dove morirono non meno di 2 mila prigionieri) e c' è chi va a portarli sulle foibe, gli uni e gli altri a seconda delle "loro convinzioni politiche". No, certo che non ci sono morti ammazzati di serie A e di serie B. Non di questo si tratta. Si tratta del fatto che i morti "infoibati" erano come scomparsi dalla coscienza nazionale. Per 50 anni, a parte i poveri parenti dei trucidati, nessuno ne ha più sillabato il dolore. Di questo, come di altri crimini della sinistra comunista, era scomparsa traccia nelle biblioteche, nei dibattiti culturali, nelle righe degli editoriali, nelle trasmissioni tv. E' la storia di una più generale rimozione e falsificazione cominciate ottant' anni fa, da quando a Pietroburgo e a Mosca dieci giorni "sconvolsero il mondo", da quando la superiorità del comunismo e la primazia dell' Urss erano un mito per la gran parte dell' intellighentia europea. Tanti i libri o articoli di giornali che raccontano l' orrore delle Ardeatine, pochissimi quelli che raccontano l' orrore delle fosse di Katyn, dove gli ufficiali polacchi vittime dei russi furono tra 10 e 15 mila, trenta o quaranta volte le vittime delle Ardeatine. Proviamo a farla la storia di quelle rimozioni. Uno che negli anni Cinquanta avesse proposto alla Einaudi di pubblicare un libro uscito a Parigi nel 1930, Deux Russies di Paul Marion, quali probabilità avrebbe avuto di sentirsi dire di sì? Nessuna. Eppure il libro di Marion è il primo di un intellettuale di sinistra (dieci anni dopo Marion inclinerà verso destra) che sia andato in Urss, che non abbia bevuto le ovvietà propagandistiche, che abbia assistito matita alla mano ai primi processi contro gli "ingegneri" accusati di aver sabotato l' economia sovietica, che abbia chiesto di andare a visitare le prigioni speciali (gli fu negato). E' il primissimo libro che racconta l' Urss reale, ancor prima della drammatica testimonianza di Ante Ciliga e dello Stalin di Boris Souvarine che André Malraux s' era rifiutato di pubblicare da Gallimard. Deux Russies era uscito nel 1930, lo stesso anno in cui Louis Aragon pubblica un poema di esaltazione dell' Urss e avvia la sua conversione al comunismo sovietico. Tutti celebrano Aragon, che pure ha scritto una poesia gioiosamente dedicata alle "fucilazioni" degli ingegneri e dei medici che sabotavano il Piano Quinquennale, nessuno ricorda l' "anticomunista" Paul Marion. Solo che la verità stava dalla sua parte, dalla parte dell' innocenza di quei medici e di quegli ingegneri fatti assassinare da Stalin. "Anticomunista" è il termine sprezzante con cui i Partiti comunisti di tutta Europa liquidano i loro contraddittori. Anticomunisti famigerati sono Arthur Koestler, George Orwell, Ignazio Silone, di cui Palmiro Togliatti irride persino la malattia ai polmoni. Solo che la verità era tutta dalla parte dei loro libri e delle loro testimonianze, non dalla parte di Togliatti, che confessa a Pietro Ingrao di aver bevuto un bicchiere di vino in più il giorno che le truppe sovietiche sono entrate a Budapest, il novembre del 1956. Difficile definire "anticomunista" uno come Renato Mieli, padre dell' attuale direttore del Corriere della sera, il quale fino a quel "terribile 1956" era stato uno dei pupilli di Togliatti. Ebbene, nel gennaio 1964 Mieli pubblica da Rizzoli un libro struggente, Togliatti 1937, dove fa il nome di tutti i dirigenti comunisti europei che Stalin aveva fatto massacrare negli anni Trenta perché in ombra di autonomia dall' Urss. Fa parte di quel contesto il massacro dell' intero comitato centrale del Partito comunista polacco, che il Comintern aveva sciolto con un atto ufficiale sotto cui c' era la firma dello stesso Togliatti. Nel suo libro Mieli chiede al Pci di rendere onore alla memoria di quei "compagni" assassinati, di scoprire le circostanze in cui furono trucidati. Rinascita gli risponde con un corsivo insultante, forse opera dello stesso Togliatti. Nessun intellettuale comunista, nessun Canfora di quei tempi, diede una mano a Mieli, riconobbe che le sue domande erano legittime, niente affatto le domande di un "anticomunista". E quale intellettuale comunista italiano ha mai fatto una battaglia a chiedere che del massacro di Katyn fossero indicati i responsabili, e cioè i sovietici? A Norimberga i sovietici avevano avuto l' impudenza di cercare di addossare ai tedeschi quello che era stato l' operato del Ghepeù, tra il 1939 e il 1940. Del resto era lo stesso protocollo "segreto" incluso nel patto Molotov-von Ribbentrop che autorizzava i due contraenti a fare carne di porco dei territori polacchi su cui ciascuno avesse messo le grinfie. Per decenni, nella Polonia comunista, il nome "Katyn" era stato impronunciabile. Pochi anni fa i russi hanno ammesso ufficialmente d' essere stati loro gli autori dell' eccidio. Provate a chiedere a cento giovani partecipanti a un festival dell' Unità se sanno che cosa accadde nella foresta di Katyn. Novanta su cento vi risponderanno che non l' hanno mai sentita nominare. Così come non hanno mai sentito nominare le Malghe di Porzüs, lì dove una ventina di partigiani liberali, e fra essi il fratello di Pier Paolo Pasolini, vennero massacrati da partigiani comunisti perché contrari alla politica annessionistica di Tito. Quanti italiani di sinistra hanno mai letto l' "ultima lettera" di Guido Pasolini al fratello, un documento moralmente e politicamente non inferiore all' ultima lettera di Giaime Pintor a suo fratello Luigi? La lettera dove Guido spiega i motivi della sua opposizione alla politica di Tito e dei suoi complici italiani, la politica di chi voleva che su Trieste sventolasse il drappo jugoslavo. Per decenni il silenzio è calato su quell' eccidio. Nel suo recente La morte della patria Ernesto Galli della Loggia ricorda la dizione mortificante dell' assegnazione della medaglia d' oro ai due comandanti della Osoppo massacrati a Porzüs, una dizione che è un monumento alla rimozione e alla falsificazione storica: seppure la medaglia fosse stata conferita da un governo a maggioranza Dc, né le circostanze dell' eccidio vi sono spiegate, né l' identità degli autori. Non so se in altri campi, certo che nella rimozione la consociazione ha perfettamente funzionato.

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