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October 12 2012
Ma che cosa aspetta Roberto Formigoni a dimettersi dopo diciotto anni di (buon) governo ma anche di terremoti giudiziari, 5 assessori arrestati e 14 consiglieri indagati? Si può ancora dire che una giunta regionale, quella lombarda, ha governato bene e che un intero consiglio regionale merita di restare al suo posto fino alla scadenza naturale, se sono questi i numeri?
Il Celeste però non si dà per sconfitto, appare inossidabile, sorridente, sicuro di sé, quasi spavaldo, per nulla disposto ad accettare il consiglio di quanti lo sollecitano a dare un segnale di buon senso e di senso dello Stato. Formigoni è e resta in sella nel giorno peggiore della sua giunta, con il responsabile della Casa Domenico Zambetti in carcere per voto di scambio con la ‘Ndrangheta (dico la ‘Ndrangheta!) che ha contaminato il tessuto economico e sociale lombardo e si è infiltrata ai piani alti del Pirellone.
Formigoni azzera la giunta, ne annuncia una nuova e più agile. Obbedisce così a un ultimatum della Lega, che in Lombardia fa la stessa figura della Polverini a Roma, salvo che non impone le dimissioni e cerca piuttosto di ricavare il maggior vantaggio (o il minor danno) politico dal terremoto giudiziario e mediatico. In realtà è a Roma che si gioca il futuro della Lombardia con l’incontro tra il segretario del PdL Angelino Alfano, il leader della Lega Roberto Maroni, e lo stesso Formigoni. C’è sul tavolo l’aut aut del Carroccio che chiede “discontinuità”, parolina magica che troppo spesso significa salvare la faccia, cambiare tutto per non cambiare nulla, alibi. Azzerare e ridimensionare per non doversi arrendere e per non rimettere il mandato nelle mani dei cittadini che aspettano solo di tornare a votare magari anche per annullare la scheda. Per cambiare. Spazzare via tutto.
Mi fa impressione vedere che ancora una volta il Palazzo è sordo a quanto i cittadini provano in questo momento.
Nel paese c’è disgusto, stanchezza. C’è disorientamento, incertezza. C’è il rigetto verso una classe dirigente che non ha capito di aver fatto il suo tempo, anche se in qualche caso ha ben governato. Ma il buon governo consiste anche nella consapevolezza del proprio ruolo, nel rispetto di se stessi e degli elettori. Non è proprio un bello spettacolo quest’agonia malinconica di Formigoni e dei suoi uomini che restano aggrappati alle poltrone nonostante sulla giunta si sia abbattuta un’accusa infamante. Un sospetto rovinoso. Il malaffare prima, e ora anche la criminalità organizzata. La Lega, in tutto questo, usa toni discordanti tra Maroni e il segretario lombardo Matteo Salvini, quest’ultimo più netto nel sostenere che l’azzeramento non prelude necessariamente alla conclusione della legislatura ma a un voto anticipato. Magari in primavera insieme alle politiche.
Ma soprattutto, stupisce che nel chiuso dei palazzi, romani o lombardi, si cerchi di salvare il salvabile per non dover andare tutti, subito, a casa.
La crisi lombarda porterebbe infatti con sé quella piemontese e veneta, per via dei rapporti complicati tra il PdL che fa parte della maggioranza pro-Monti e la Lega fortemente anti-governativa e critica verso il Professore. Certo, la sinistra non può vantare un’immagine migliore, avendo anch’essa i suoi Penati e Lusi e i suoi improbabili capigruppo in Regioni come il Lazio. È un’intera generazione di dirigenti politici, al di là delle differenze di stile e ideologiche, che non ha il coraggio di fare un passo indietro (alla resa dei conti l’unico che abbia avuto questa sensibilità è stato proprio Berlusconi, seppure tra molte titubanze).
I giochi di potere e di spartizione del potere tra le Regioni del Nord e in Parlamento, e il posizionamento contrastato, da Palio di Siena, di leader e forze politiche nella prospettiva di un voto ormai (fortunatamente) vicino, segnalano solo la terribile distanza tra il mondo politico e la gente. Tra la stanca acquiescenza ai propri intoccabili privilegi di un’intera classe politica di destra, di centro e di sinistra, e i problemi drammatici del paese reale e dei cittadini in carne e ossa, che hanno paura del futuro e pure del presente. Un’agonia che si accompagna ai proclami ottimistici auto-glorificanti del premier Monti a Bruxelles, beato lui. Una situazione surreale che deve finire al più presto. C’è nel paese un’impazienza che stranamente non è ancora sfociata in episodi violenti (salvo qualche caso) e nel Palazzo una speculare resistenza da ultimi giorni nel bunker. Formigoni non fa eccezione.