Economia
July 28 2017
Un grosso punto interrogativo incombe da oggi sul braccio operativo del fisco italiano.
Lo ha disegnato il Consiglio di Stato, accogliendo il ricorso del sindacato dei dirigenti pubblici Dirpubblica contro il rifiuto del Tar del Lazio di considerare la sospensione in via cautelare dell’assorbimento di Equitalia da parte dell’Agenzia delle entrate.
Adesso il Tar dovrà mettere la faccenda in cima ai suoi impegni e dire appena possibile (si spera entro il 2017) se le obiezioni di Dirpubblica contro la formazione del nuovo ente chiamato Agenzia delle entrate-Riscossione varato il 1° luglio scorso sotto la guida di Ernesto Ruffini siano da accogliere oppure no.
“Questa decisione” dichiarano da Dirpubblica “è una prima vittoria delle nostre ragioni che dovrebbe sconsigliare al ministero dell’Economia e al governo di proseguire sulla stessa strada”. Siamo ancora alle mosse preliminari, non al giudizio di merito. Ma non tira aria buona per la nuova versione dell’Agenzia delle entrate che prima il governo di Matteo Renzi e poi quello di Paolo Gentiloni hanno voluto a tutti i costi.
Lo si capisce dal passaggio dell’ordinanza appena resa pubblica in cui il Consiglio di Stato dice che “le doglianze di merito… sembrano ammissibili e prima facie supportate da fumus, alla luce della consolidata giurisprudenza” e più ancora dalla citazione, poche righe più sotto, dell’ormai famosa sentenza con cui la Corte costituzionale, nel marzo 2015, dichiarò decaduti oltre 800 dirigenti delle agenzie fiscali.
Ora come allora, infatti, il punto è sempre la pretesa dell’Agenzia delle entrate di ignorare l’articolo 97 della Costituzione, laddove dice che “agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso”. Stavolta con una (sospetta) violazione addirittura di massa, visto che la fusione fra Agenzia delle entrate ed Equitalia implica l’immissione nella Pubblica amministrazione (con la formula innovativa dell’ente pubblico economico) di ben 8 mila dipendenti di Equitalia, che in quanto società per azioni non ha mai avuto bisogno di prove pubbliche per selezionare il suo personale.
In altre parole, fatta la fusione, migliaia di dipendenti fino ad ora privati sono diventati pubblici, scavalcando o affiancando altrettanti dirigenti e funzionari che per ottenere il loro posto hanno passato un concorso e che ovviamente non sono affatto contenti della novità.
La questione è molto meno tecnica di quanto possa sembrare, visto che da quando è stata istituita, oltre quindici anni fa, l’Agenzia delle entrate non ha tenuto neppure un concorso regolare per dirigenti.
I suoi gradi alti, tranne quelli che già si trovavano all’interno della Pubblica amministrazione, sono stati tutti nominati dai vertici in modo discrezionale, cosa che non si sa quanto possa giovare alla loro indipendenza (in uffici dove si concentra un potere notevole) e che sicuramente non giova alle motivazioni professionali di quanti sono rimasti al palo.
Non per niente il tema è da anni un cavallo di battaglia dei sindacati interni.
Non solo Dirpubblica, che oggi canta vittoria, ma anche il Dirstat, che da anni si batte contro la pratica di assegnare posizioni speciali per mettere una toppa alla mancanza dei concorsi.
Ci si potrebbe consolare pensando almeno che entro la fine dell’anno sapremo qual è la soluzione, ossia se la nuova Agenzia delle entrate-Riscossione è legittima o meno. Ma purtroppo neppure questo è vero. E’ infatti assai probabile, vista l’entità dei problemi sul tavolo, che a novembre o dicembre il Tar decida di sollevare la questione di fronte alla Corte costituzionale (sempre per capire se la fusione viola oppure no l’articolo 97 della Carta).
A quel punto ci vorrà, se tutto va bene, un altro annetto. Nel frattempo si creeranno aspettative, diritti e frustrazioni la cui consistenza sarà incerta fino all’ultima sentenza. E un problema serissimo per chi allora sarà al governo.