Dal Mondo
July 03 2023
Disintegrazione è la parola chiave della società francese. Il paese è oramai un arcipelago, innestato da pezzi di società di fede islamica e illegalità che respingono diritti, libertà e regole fondamentali dello Stato francese. Ma questa volta c’è di più: non soltanto l’Islamismo che spinge le comunità a vivere con proprio regole e a rifiutare interi pezzi della costituzione, ma anche un banditismo generalizzato che spinge al saccheggio e al vandalismo.
C’è chi sostiene che tutto sia imputabile alla disuguaglianza sociale, ma quanti sussidi ricevono i rivoltosi e le loro famiglie? E non ricevono forse istruzione, sanità e servizi pubblici come tutti gli altri cittadini francesi?
Nessuno nega che ci sia anche del disagio socio-economico nella rivolta, ma la questione è più profonda e culturale. Essa attiene all’integrazione fallita di migranti di prima e seconda generazione nella società e nello Stato francese. Sono comunità che si sono stabilite come corpi estranei nelle città, auto-segregandosi spesso in periferie dove la legge islamica conta più di quella francese. È un moto anti-istituzionale quello che ci si presenta davanti in questi giorni espresso in forme multiple, fondamentalismo, banditismo, nichilismo.
Secondo documenti ufficiali dell’intelligence francese ci sono oltre 150 enclave di questo tipo sparse su tutto il territorio francese. Un mosaico pronto ad esplodere come reazione o come azione violenta. Eppure la politica francese non sembra riuscire ad approntare alcuna soluzione. Da dieci anni la Francia subisce attentati e rivolte che scuotono non soltanto il paese ma l’Europa. La paura dell’immigrazione è cresciuta ovunque anche per i disastrosi risultati dell’integrazione francese.
Sono passati quasi dieci anni dalla strage del Bataclan eppure ci sono ancora i quartieri ghetto, aree assoggettate alla sharia, scuole islamizzate. Anche di fronte alla devastazione di questi giorni Macron fatica a dichiarare lo Stato di emergenza e a schierare l’esercito. Una politica troppo debole per contrastare tale radicalità unita a fenomeni di gangsterismo che coinvolgono i giovanissimi. Urgerebbe invece una reazione dura da parte dello Stato e progetti di lungo periodo: repressione, arresti e presidio del territorio per riportare l’ordine, ma anche politiche che evitino i fenomeni di autoconfinanmento delle comunità islamiche. Politiche urbanistiche che “spezzino” le banlieu, laicità della scuola senza eccezioni per le minoranze, progetti di educazione civica, politiche sociali e del lavoro per rafforzare l’integrazione dei più giovani e delle seconde generazioni. E, naturalmente, visti gli enormi problemi che si hanno davanti, una politica europea di governo dell’immigrazione illegale più rigida ed efficace che limiti le ondate migratorie. È possibile farlo? Forse si, ma è difficile affidarsi per questa missione alla stessa politica che ha già fallito.