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Marine Le Pen e il fallimento del modello di integrazione francese

Solo l'union sacrée  tra gollisti e socialisti al secondo turno delle elezioni regionali ha impedito che il Front National di Marine Le Pen, una forza politica radicata nella storia del fascismo collaborazionista francese, riuscisse a conquistare alcune regioni chiave di Francia e si proietasse con il vento in poppa, e su una piattaforma antieuropea, verso le elezioni presidenziali del 2017. 

Panorama.it ha intervistato Georges Bensoussan, storico  specialista di storia della Shoah, molto noto nel Paese per le sue posizioni anticonformiste, come quando, nel 2008, ad esempio, si oppose all’introduzione dell’insegnamento dell'Olocausto nella scuola elementare. Più recentemente la sua denuncia dell’antisemitismo diffuso nella comunità musulmana gli ha attirato accuse di razzismo e islamofobia.

Francia: solo il doppio turno ha fermato il Front National


 Il cordone sanitario socialista e gollista sembra aver funzionato. Eppure il FN è diventato il primo partito di Francia. Se lo aspettava?
Per niente, era perfettamente prevedibile. È un risultato da prendere molto sul serio perché rivela un cambiamento profondo nell’elettorato francese: non si tratta più di un voto di protesta, ma di un voto di scelta, d’opinione. Ciò appare chiaro se si pensa che nelle regioni nelle quali il FN era già radicato, a questa tornata elettorale è andato ancor meglio che nelle precedenti; in pratica ha fidelizzato il suo elettorato. Il FN è dunque un partito che ha radici ormai profonde in Francia. In secondo luogo non è più solo la Francia dell’Est a votare FN come fino a poco tempo fa, ma quasi tutto il paese, tranne la costa atlantica; infine non sono più prevalentemente persone anziane a votare FN, ma anche molti giovani. La fascia d’età tra i 18 e i 30 anni è quella che ha maggiormente votato FN.

Il FN ha ottenuto al primo turno il 40% dei voti nelle regioni del Sud: Provence-Cote d’Azur ma anche nel nord della Francia
Sì, soprattutto al Sud, ma ormai anche al Nord, e questo è un fatto nuovo, perché il Nord-Pas de Calais è un’antica regione socialista. Del resto era prevedibile quando si studia un po’ da vicino la società francese, cosa che la sinistra francese non ha fatto abbastanza. Si direbbe che le élite politiche di sinistra conoscano male la società francese altrimenti si sarebbe facilmente potuto prevedere che il FN avrebbe ottenuto un tale successo.

Lei crede che sia la sinistra francese la principale responsabile di questa sconfitta?
Non solo. Io direi piuttosto che tutte le élite politiche francesi e soprattutto l’élite mediatica sono responsabili di aver chiuso gli occhi sui reali problemi della società francese da circa 30 anni. Invece di rispondere alle preoccupazioni dei francesi, hanno cercato di demonizzare il FN invocando la morale, il nazismo, Hitler, Pétain, l’occupazione tedesca.

Quali sono a suo avviso i reali problemi della società francese che le élite non hanno visto?
Il primo problema, quello della disoccupazione, è stato anche individuato, ma mai realmente affrontato. C’è sicuramente un legame tra disoccupazione e FN, ma certo non è l’unica causa di una tale affermazione elettorale dell’estrema destra. In Europa ci sono paesi come La Svizzera o la Danimarca nei quali la disoccupazione è molto bassa eppure i partiti populisti sono molto forti. Il problema che le élite politiche e mediatiche colpevolmente non hanno saputo vedere è la crisi identitaria e culturale. Eppure ci sono su questo argomento numerosi studi, di demografi come Michèle Tribalat, di geografi come Christophe Guilluy, di sociologi come Laurent Bouvet e Hugues Lagrange; studi che già da 5-10 anni hanno dato l’allarme sulla crisi di identità di una larga parte di francesi che ha perduto i suoi tradizionali punti di riferimento. È una crisi profonda che non è dovuta solo alla mondializzazione, ma in gran parte all’immigrazione extra-europea. Su questo tema c’è in Francia un vero e proprio tabù.

Lei tuttavia ha cominciato da tempo a parlarne
Sì, ne ho parlato già 13 anni fa nel mio Les Territoires perdus de la République (2002), ma sono stato trattato da razzista, da fascista. Ancora recentemente ho avuto dei problemi per quello che ho detto a France Culture. Tuttavia la crisi identitaria è stata del tutto ignorata. Soprattutto la sinistra per anni non ha voluto ammettere che l’immigrazione extra-europea ponesse problemi di integrazione. Ed è su questi problemi che si è innestata la radicalizzazione islamista. O piuttosto, per essere più precisi, l’onda di re-islamizzazione della Francia. Perché ci sono musulmani in Francia da molti decenni, ma le pratiche religiose fino a pochi anni fa erano molto marginali. Solo negli ultimi anni si è avuta un’esplosione demografica dei musulmani francesi e le pratiche religiose sono diventate così pervasive. C’è dunque una vera e propria re-islamizzazione che pone in discussione la capacità di una parte dei musulmani ad integrarsi nella Repubblica francese, di accettarne le basi ovvero il concetto stesso di laicità, il semplice fatto che la legge civile è più importante di quella religiosa.

È dunque il fallimento del modello francese di integrazione?
Senza dubbio, si tratta di un fallimento totale. Non è sempre andata così, la Francia ha sin’ora integrato con successo immigrati provenienti dalle più diverse etnie, ma certo ormai il modello è in panne. Forse si sarebbe potuto evitare se si fosse affrontato il problema 20-30 anni fa invece di negare la realtà. In questo i media francesi hanno giocato un ruolo molto importante.

Cosa si può fare adesso per rimediare a questa situazione?
La prima cosa da fare, innanzitutto per onestà intellettuale, è chiamare le cose con il loro nome senza rischiare di essere immediatamente accusati di razzismo o di fascismo. Occorre superare questa tendenza a guardare da un’altra parte quando c’è un problema. Pensiamo per esempio, agli attentati del 13 novembre. Essi sono stati perpetrati da francesi, il presidente Hollande ha dichiarato solennemente che si tratta di terrorismo, ma senza specificare che si tratta di terrorismo islamista e ha dichiarato che la risposta sarà quella di bombardare Daesh. Senza dubbio il bombardamento di Daesh è necessario, ma i terroristi non hanno bisogno di Daesh per colpire, sono tutti venuti dalla Francia o dal Belgio, sono nati qui. Come spiegare al francese medio che bombardando dei siti nel deserto siriano si risolverà il problema delle periferie francesi?

Il problema è dunque quello delle periferie francesi?
Il problema è quello della mancata integrazione di una parte della popolazione francese di origine extra-europea.

Nonostante l’antisemitismo più o meno latente del FN sembra che anche una parte degli ebrei francesi l’abbiano votato al primo turno
Sì, è stato infranto un tabù. I problemi legati all’integrazione dell’immigrazione extra-europea hanno completamente modificato il quadro politico. Perché è certamente vero che l’antisemitismo è presente nella società francese da tempo, soprattutto all’estrema destra, in certi ambienti cattolici, nelle clientele del FN, ma è altrettanto vero che in questo momento l’antisemitismo più violento viene dagli ambienti di origine magrebina islamizzati. Non sono venuti dalla destra gli assassini di bambini in una scuola ebraica e di clienti di un ipermercato casher. L’antisemitismo violento, responsabile per altro di aggressioni quotidiane, tende a far dimenticare il vecchio antisemitismo francese e spinge certo anche molti ebrei a votare FN.


Ma secondo lei il FN non costituisce un pericolo per la democrazia e la convivenza civile?
Sulla lunga distanza senza dubbio, costituisce un’incognita inquietante. Soprattutto la sua dimensione anti-europea è molto pericolosa. Non è un caso d’altronde se moltissimi ebrei abbandonano il paese: 47.000 ebrei hanno lasciato la Francia per Israele tra il 2000 e il 2015. In Israele sono stati varati programmi specifici di integrazione dei nuovi cittadini provenienti dalla Francia. E non sappiamo quanti siano gli ebrei che partono verso gli Stati Uniti o il Canada. Si può dire che gli ebrei stiano votando, come diceva Lenin, "con i loro piedi".

Valerio Vittorini

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