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May 25 2023
“In questo momento, ritengo sia prematuro dare cifre di piante che muoiono o di ettari di piante da sostituire. Di certo sappiamo che l’acqua scesa giù dall’Appennino non ha fatto danni fino alla Via Emilia. Ma, dopo i fiumi hanno iniziato a tracimare e l’onda si è spostata verso il mare fino a sud di Ravenna salva soltanto perché sono stati realizzati movimenti di deviazione dell’acqua. La zona orientale è quella più colpita dall’alluvione di primavera ed è anche la più importante d’Italia in termini di estensione e varietà di specie frutticola. Per valutare i danni alle piante è necessario aspettare il ritiro delle acque”.
Le parole di Moreno Toselli sono lucide e il docente del Dipartimento di scienze e tecnologie agroalimentari di Bologna continua a sperare che i danni alle coltivazioni non siano irreparabili.
“In Romagna sono tante le piante da frutto che stanno soffrendo di asfissia, ma non è possibile fare un racconto credibile senza essere fedele a ciò che succede in questa zona d’Italia. Dunque, per capire le ragioni per cui le piante non produrranno come avrebbero dovuto bisogna risalire alla gelata di aprile, quando grandine e gelo hanno portato seri danni al terreno e alle piante. Certamente, la situazione è peggiorata con gli eventi alluvionali del 3 e 4 e del 16 e 17 maggio in cui, nell’arco di 48 ore, sono caduti troppi millimetri di acqua. Quindi, il secondo evento alluvionale è avvenuto quando il terreno era già saturo, causando un ristagno idrico che per certi tipi di piante da frutto sembra essere un problema di sopravvivenza. Nella zona alluvionata, le piante da frutto più danneggiate sono il pesco, in gran parte già sostituito da altre specie, come kiwi e noce da frutto, l’albicocco, il susino, la vite e infine colture minori come il caco. Ma c’è anche del pero e del melo, anche se la pericoltura è più coltivata a occidente, quindi verso Modena e Ferrara”.
Molte di queste piante hanno subito un forte stress e si rischia di perderle, ma c’è un problema piuttosto importante che dovrà essere affrontato al più presto. Si tratta del limo da esondazione.
“L’acqua esondata dai fiumi non era limpida, ma densa e piena di limo. Quindi, il famoso limo delle esondazioni dei fiumi quando secca crea uno strato impermeabile duro come il cemento per cui si rischia di creare un problema di percolazione dell’acqua. La crosta andrà necessariamente lavorata per permettere che ci sia uno scambio idrico e gassoso nel terreno. Sicuramente, il limo genera un fattore di fertilità negli anni successivi all’alluvione, ma al momento rappresenta uno dei problemi che dovremo affrontare appena l’acqua si ritira”.
L’acqua, una risorsa così preziosa va contenuta e la sua regimazione potrebbe avvenire con l’adozione di adeguate soluzioni ingegneristiche che consentirebbero di aumentare la portata del fiume o diminuire l’acqua in entrata. Adesso però ciò che rappresenta un’emergenza è senza dubbio il ristagno idrico e per salvare le piante da frutto bisognerà innanzitutto verificare la quantità di alberi danneggiati, considerando che non tutte le specie rispondono allo stesso modo.
“Sicuramente al momento chi soffre maggiormente sono le drupacee, cioè il pesco e l’albicocco perché difficilmente riescono a sopportare l’asfissia. Altre specie che soffrono il ristagno idrico sono il noce e il kiwi. Il melo, il pero, la vite, il susino probabilmente hanno una maggiore tolleranza. Ma tutto dipende da quanto tempo sono a mollo e da cosa c’era sotto terra prima dell’allagamento. Dove il fiume ha esondato e ci sono dei ristagni idrici evidenti, è piuttosto chiaro che per le piante da frutto potrebbero esserci serie difficoltà di sopravvivenza”.
In questo scenario, il lavoro del frutticoltore non è roseo. Di certo quest’anno ci sarà una forte riduzione del prodotto frutticolo rispetto a un anno normale con un aumento dei prezzi per il consumatore finale. Ma questo non è un anno normale e l’allagamento si aggiunge ad altri problemi che al momento sembrano essere meno urgenti, ma che rappresentano uno dei crucci per il comparto. Primo tra tutti: la carenza di manodopera.