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March 17 2016
L'idea che possa nascere una Siria confederata, divisa in tre entità che rispecchiano le linee etnico-confessionali del Paese, non è più un'ipotesi di scuola sollevata da qualche think tank occidentale desideroso di seppellire gli accordi di Sykes Picot.
Non è nemmeno solo una fuga in avanti di una delle numerose fazioni militari che si stanno spartendo il vecchio regno alawita della dinastia degli Assad. È ormai una concreta possibilità politico-diplomatica. Una eventualità - sul modello degli accordi di Dayton del 1995 che fissarono la frammentazione della Bosnia lungo linee etnico-confessionali - che avrebbe il sì degli americani, primogenitori del progetto, ma anche dei russi, i grandi protettori di Assad, apparsi fino a ieri i più restii ad aprire a un'ipotesi spartitoria.
Dividere Siria e Iraq? La fine di Sykes Picot
Se l’idea di una repubblica federale soddisfa i partecipanti ai negoziatie garantisce di mantenere una Siria unita, indipendente e sovrana, allora chi potrebbe fare obiezioni?
La novità dell'ultima ora è che - come prevedibile - anche le autorità curde del Rojava, il Kurdistan siriano, sono pronte ad annunciare la nascita di un'entità curda nei tre cantoni - Afrin, Kobane, Jazira – sotto il loro controllo. In totale, una superficie di circa 25 mila chilometri quadrati e due milioni di abitanti, che potrebbero diventare il germe istituzionale di una nuova Siria federale, divisa fra curdi, alawiti e sunniti.
È chiaro che, su una questione così delicata, il diavolo si annida nei dettagli e lo stesso sì preliminare dei russi non significa che l'accordo possa essere semplice. Ma l'apertura della scorsa settimana di Mosca - paventata per primo da Henry Kissinger - è stata compiuta e non poteva essere, tralasciando i tatticismi diplomatici, più esplicita e autorevole. «Se l’idea di una repubblica federale soddisfa i partecipanti ai negoziati - ha detto il viceministro degli Esteri russo Sergey Riabkov - e garantisce di mantenere una Siria unita, indipendente e sovrana, allora chi potrebbe fare obiezioni?».
La domanda porta con sé molti dubbi, a cominciare da quello sollevato da Walid Jumblatt, lo storico leader dei drusi siriani, secondo il quale un'ipotesi spartitoria è destinata al fallimento, perché si tratterebbe, parole sue, di «un federalismo settario», incubatore di nuove guerre etniche e confessionali. Insomma: una confederazione tra diverse entità sovrane sarebbe naturalmente e culturalmente secessionista, destinata cioé in un arco breve-medio di tempo a sciogliersi deflagrando in nuovi conflitti.
Ma come sarebbe, concretamente, una Siria federale? Oltre a uno stato alawita vicino alla dinastia degli Assad che manterrebbe l'accesso al mare, altre due bandiere potrebbero sventolare teoricamente in quest’area: quella di uno stato curdo-siriano nel Nord della Siria e quella di uno stato sunnita nell’area corrispondente ai territori occupati dallo Stato Islamico. Tutt'e e tre queste nuove entità sarebbero inizialmente gestite dalla comunità internazionale, ipoteticamente sotto la tutela delle Nazioni Unite. Fantascienza politica?
Non proprio, ma una cosa è certa: dopo un secolo dai patti segreti di Sykes Picot, con cui le potenze europee divisero il Medioriente sulla base delle rispettive aree di influenza senza tenere minimante conto delle spaccature etniche e confessionali di quell'area, la cartina geografica è obsoleta e da aggiornare. Come? Innanzittutto, ponendo fine alla guerra. Ma soprattutto con una lunga trattativa tra numerosi protagonisti locali, dalla Turchia a Israele, dall’Arabia Saudita all’Iran, dall’Egitto al Libano, fino ai leader di quelle popolazioni in armi in Siria - come i curdi - che reclamano oggi un posto a Ginevra per condizionare i negoziati. Più facile a dirsi che a farsi, ovviamente.
Ma il dossier è già pronto e vale la pena studiarlo a fondo. Non è più una questione che viene affrontata tra le quattro mura dei prestigiosi centri studi americani. Ne stanno parlando anche - oltre che i curdi di Rojava - quelli che contano. E del resto, l'ipotesi di una confederazione siriana che nasca sulle ceneri dello Stato nazionale disegnato ai tempi della colonizzazione è l'ultima chiamata per evitare che il terrorismo e la guerra restino l’unica moneta di scambio per popoli che hanno in comune soltanto la fede e che dal 1916 sono imprigionati in confini che non hanno mai davvero riconosciuto. (PP)
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