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Salute

Sigarette tradizionali e prodotti di nuova generazione, l’Oms decide di non decidere sul futuro del fumo

Se ne riparla la prossima volta, tra due anni o poco meno. Sul dove, non si sa. Nemmeno su questo punto è stata trovata un’intesa.

Sarà per le suggestioni del celebre canale, ma la Cop di Panama è stata fedele al luogo in cui si è tenuta. Si è rivelata un gigantesco buco nell’acqua. Un incontro che, senza spingersi fino al palese scontro, ha preferito sposare la strategia del muro di gomma e delle alleanze improbabili, perciò inconsistenti. Con l’effetto di differire per l’ennesima volta l’inquadramento di un problema urgente, che non riguarda una nicchia di mondo, ma circa 1,3 miliardi di persone.

Tanti sono i fumatori, gli interessati delle indicazioni che sarebbero dovute uscire dalla Conferenza delle parti (abbreviata per l’appunto in Cop) della convenzione quadro sul controllo del tabacco dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Nome chilometrico che stringe una sostanza, un potere d’impulso: quello che viene deciso durante tali meeting internazionali, giunti ormai alla decima edizione, fissa le linee guida per un comparto cruciale. Proprio perché tutto si muove sotto l’ala dell’Oms, sia gli Stati che le federazioni e le organizzazioni comunitarie – compresa l’Ue – tendono a ispirarsi molto poco liberamente dalle conclusioni della conferenza. La quale, lo suggerisce il nome stesso, ha competenza su tutti i prodotti del tabacco, dalle vecchie sigarette ai prodotti di nuova generazione.

Il momento era significativo, molti addetti ai lavori parlavano di una possibile svolta epocale. Sui tavoli, e nella consapevolezza dei partecipanti, c’era abbondanza di dati sul possibile rischio ridotto delle alternative alle solite bionde, più le esperienze di alcuni paesi, su tutti il Regno Unito e il Giappone, dove politiche aperte, non penalizzanti verso le soluzioni alternative, ne ha consentito il decollo.

Peraltro, non mancavano buone premesse, sia d’attualità che storiche. La rivista scientifica The Lancet, una delle più rispettate e quotate a livello internazionale, poco prima dell’appuntamento scriveva di «mantenere alta l’attenzione sugli effetti dannosi del fumo sulla salute, impiegando la riduzione del danno da fumo per ridurre la prevalenza dei fumatori». Invitando dunque a dare spazio ed enfasi alle soluzioni a rischio potenzialmente ridotto. E l’Oms, già nel 2015, dichiarava che «lo sviluppo di nuovi prodotti del tabacco che sono meno tossici o che creano meno dipendenza potrebbe essere una componente di un approccio globale per ridurre i decessi e le malattie legate al tabacco, in particolare tra i consumatori di tabacco che non sono disposti a smettere o non sono in grado di interrompere la loro dipendenza». Ovvero, classicamente, i destinatari di soluzioni come la sigaretta elettronica o il tabacco riscaldato. Tali prodotti si rivolgono specialmente a quanti non riescono o non vogliono smettere di fumare.

Insomma, è bene ribadirlo, se non si poteva desumere la volontà di fare qualcosa, almeno non si poteva mettere in dubbio la consapevolezza dei partecipanti e l’urgenza di dare risposte al tema.

La pratica si è sposata con atteggiamenti discutibili, una liturgia tra il farraginoso, il prepotente e il dubbio: riunioni a porte chiuse, inaccessibili alla stampa; atteggiamenti oltranzisti, come quelli della Commissione europea, arrivata con l’obiettivo di decidere per tutti i membri dell’Unione; panel di esperti che prevedevano decisioni per alzata di mano: un metodo sbrigativo, da assemblea di classe di memoria scolastica, che ha minato la solidità e la serietà di un po’ tutto l’impianto decisionale.

Non è un’impressione, né un giudizio di valore. Ci sono esempi pratici a supporto, come la presa di posizione del segretariato dell’Oms sulla validità delle politiche della Food and drug administration americana che pure ha aperto ai prodotti di nuova generazione. L’accusa principale era che le decisioni dell’Fda si basavano su documenti non pubblici. Peccato fossero online dal 2020, come sottolineato da vari delegati, mentre l’Oms stessa li aveva commentati con un comunicato stampa.

Durante un altro dibattito, la Commissione Ue e la presidenza belga hanno provato a fare fronte comune con la delegazione russa, nonostante l’Ucraina avesse chiesto di isolare la rappresentanza di Mosca a causa del conflitto in corso. Tutto pur di portare acqua al proprio mulino.

L’oltranzismo non ha pagato, la strategia di facciata e sottobanco ancora meno. La Cop si è chiusa con un niente di fatto: si è deciso di non decidere, fino al prossimo viaggio di gruppo, fino alla prossima occasione. Ancora una volta, alcune organizzazioni si confermano esempi provetti di disorganizzazione.

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