C'era una volta la Maserati

Il futuro del glorioso marchio, secondo la proprietà Stellantis, dovrebbe essere elettrico. Intanto, però, la produzione è in picchiata e gli impianti vengono chiusi.

Il primo dicembre 2024 saranno 110 anni da quando Alfieri, con gli altri due fratelli Ernesto ed Ettore, si misero ad abbellire e truccare le Isotta Fraschini in uno scantinato della periferia di Bologna. Dodici anni dopo la prima Maserati, battezzata con il loro cognome, scendeva in pista. Sul «muso» il simbolo creato dal quarto fratello, Mario, che alle chiavi inglesi aveva preferito i pennelli: il Tridente del Nettuno della fontana del Giambologna di piazza Maggiore. Ecco: ora il rischio è che tutto questo anneghi nell’oblio, travolto dalla corrente elettrica. La Maserati - hanno deciso ai vertici di Stellantis, con Carlos Tavares a disporre e John Elkann ad acconsentire - sarà una supercar «a pila». Per convincersene hanno portato in pista la Maserati Tipo Folgore gestita dalla MSG Racing nel campionato di Formula E. Altri tempi quando il Tridente faceva mangiare la polvere alla Ferrari e all’Alfa nei circuiti. Strana sorte per chi, con un campione come Manuel Fangio, ha scritto la storia del motorsport.

È una storia tutta bolognese che aveva un testimone d’eccezione: Walter «Wall» Breveglieri, corridore di moto, poi pilota di Formula uno, ma soprattutto immenso fotografo che custodiva 25 mila scatti di tutto ciò che era stata l’Italia dell’immediato dopoguerra. «Ho passato la vita inseguendo la notizia» diceva di sé «ho visto il mondo attraverso la lente del sorprendente». Proprio su una moto portata da lui, il maestro del giornalismo sportivo Orio Vergani raccontò il Tour de France; le sue foto hanno poi reso memorabili gli eventi di cui è stato testimone con Sergio Zavoli, Dino Buzzati, Enzo Biagi, Gianni Brera. Giorgio Vecchietti lo convinse a diventare cineoperatore e gli lasciò in usufrutto perpetuo la sua casa sui primi colli di Bologna dove Breviglieri ha custodito, quasi fosse una vestale, le gesta dei Maserati. Raccontava: «Sono stato un pilota dei fratelli quando, venduta la loro creatura agli Orsi, fondarono l’Osca: ho fatto tre gran premi di Formula uno; quei motori non emettevano rumori, ma poesia». Nelle foto di Wall c’è tutta la storia della Maserati che, pur trasferita dagli Orsi nel ’37 a Modena, restava un frutto del capoluogo felsineo.

La vicenda industriale della Maserati non rende comunque giustizia al suo valore. Ripercorriamola. Dagli Orsi è passata nel 1968, quando era sull’orlo del fallimento, alla Citroën (i francesi erano già nel destino del Tridente); poi, nel ’75, Alejandro De Tomaso - ex pilota argentino che aveva corso appunto con i motori Osca - l’ha comprato e con la Biturbo ne ha fatto un’auto ad ampia tiratura, accordandosi con la Chrysler. Ed è già scritta la storia di oggi. Nel ’93 è arrivata la Fiat che ha tuttora nelle sue mani gli «opposti» automobilistici: la Maserati era la macchina dell’aristocrazia, la Ferrari di chi aveva fatto i soldi, la stessa distinzione tra Lancia per l’alto censo rurale e Alfa Romeo, l’auto della borghesia rampante. Ma proprio la Fiat ha fatto ciò che nessuno aveva mai osato e appariva persino blasfemo: trasferire la proprietà Maserati dentro la «sua» Ferrari. Come dire a Bartali di fare il meccanico di Coppi. Di fatto, dopo dieci anni è uscita la Quattroporte «motorizzata Ferrari».

Ma è stato con l’arrivo di Sergio Marchionne che il Tridente sperava di tornare a vita autonoma. D’altronde il manager marrucino-canadese aveva una predilezione per la Maserati. A Grugliasco, nella ex fabbrica Bertone, Marchionne aveva immaginato un polo del lusso: lì dovevano nascere le automobili da primato, nello stabilimento che si chiama Gianni Agnelli Plant doveva essere concentrata la filosofia produttiva di Fca group. Invece lì, alla periferia di Torino, con un nuovo arrivo dei francesi di Stellantis, si è materializzato il profondo distacco tra l’ex Fiat e l’Italia. Alle quattro di pomeriggio del 23 dicembre scorso dalla catena di montaggio a Grugliasco, a dieci anni esatti dall’inaugurazione dell’impianto voluto da Marchionne, è uscita l’ultima Ghibli, il modello che insieme all’ennesima versione della mitica Quattroporte, aveva portato nel 2017 la Maserati a vendere 55 mila esemplari. Lo scorso anno si era scesi a ottomila e il Gianni Agnelli Plant è stato messo in vendita su un sito di annunci immobiliari.

Nella parabola di Stellantis, quel sito del lusso è una stella cadente: nei disegni di Carlos Tavares la Maserati va «a pila». O meglio dovrebbe, perché il futuro dei modelli elettrici è incertissimo. Restando sempre a Torino, a Mirafiori c’erano tre Maserati in produzione: Gran Turismo, Gran Cabrio e Levante, il primo suv supercar col Tridente. Il 31 marzo scorso dalla «catena» è uscita l’ultima Levante. Tavares ha deciso che non si costruisce più. Così la produzione di Maserati a Torino è scesa di colpo da 25 carrozzerie al giorno a otto. Peraltro il domani dello stabilimento-simbolo dell’ex Fiat sembra già scritto, visti gli attuali programmi di Stellantis. Il 24 marzo ci sono stati 1.520 esodi incentivati; dal 22 aprile scatterà la cassa integrazione per gli addetti alla carrozzeria della 500 elettrica, mentre per mille lavoratori della Maserati a Mirafiori è partita la cosiddetta «solidarietà» che arriverà alla fine anno. Le ragioni? Sostanzialmente due: il drastico calo di produzione e il ritardo dei nuovi modelli dello storico marchio. A Mirafiori, nel 2023, sono state prodotte nel complesso 85 mila vetture (tra Maserati e 500); nel 2024 difficilmente si arriverà a 50 mila. Ma esiziale per il Tridente è il ritardo dei modelli «tutto elettrico» annunciati. L’ammiraglia della casa, la Quattroporte che nel 2025 doveva essere pronta in versione Folgore, cioè alimentata solo a batteria, arriverà forse a fine 2027, se non nel 2028. Il perché? Spiegano da Stellantis che «va verificato il livello prestazionale» di una vettura che dovrebbe costare non meno di 180 mila euro. Unica novità è la Gran Cabrio, ancora una macchia con l’«antico» motore a scoppio: 3 litri di cilindrata, capote in tela, prestazioni da record, prezzo vicino ai 250 mila euro. Ma la versione elettrica annunciata come la vettura della svolta per ora non si vede. E posticipate sono anche la Grecale e la Granturismo con quest’alimentazione. Perché l’idea di fare della Maserati una casa del lusso solo a batteria sembra incontrare più ostacoli del preventivato. E forse anche un ripensamento, visto come va oggi questo segmento di mercato.

Una cosa è certa: del piano di Marchionne, e anche delle idee che aveva Gianni Agnelli attorno «all’altra Ferrari», è rimasto ben poco. L’ultimo segnale - accanto all’idea di utilizzare per il modello Quattroporte la piattaforma «STLA large» di Stellantis, che sarà adottata per alcuni modelli francesi e per la prossima Giulia Alfa Romeo Ev - è ciò che sta avvenendo negli stabilimenti di Modena. Ci sono 173 esuberi di cui 130 progettisti e ingegneri che dovevano sviluppare l’Innovation Lab e a gennaio sono finiti in cassa integrazione 220 lavoratori delle catene della supercar Mc20. Nel 2023 si sono prodotti 1.244 pezzi, ma il crollo del mercato cinese che vale il 22 per cento delle vendite rende fosche le previsioni. Ancora incerto è il futuro dell’Atelier che doveva debuttare lo scorso anno: era stato pensato come un reparto per la massima personalizzazione delle vetture, con l’obiettivo di frenare l’emorragia di vendite che nel dicembre scorso ha toccato un meno 48 per cento. Concretamente, nel terzo trimestre del 2023 i ricavi sono scesi a 500 milioni di euro, contro i 600 nell’analogo periodo dello scorso anno. Dopo 110 anni di storia si profila una sosta ai box. Quanto lunga? Dipende dal tempo per ricaricare le batterie. Di certo, a riguardare le foto di Wall, non si vedono macchine a pila.

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