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March 31 2014
L’attenzione ormai è tutta rivolta verso l’Europa. La Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo deciderà nei prossimi mesi sull’ammissibilità del ricorso presentato dai dirigenti di polizia condannati in via definitiva dalla Cassazione per falso ideologico in relazione al G8 di Genova del 2001. Le carte processuali, a leggerle senza veli ideologici, dicono che i giudici hanno condannato solo una parte dei responsabili delle violenze nella scuola Diaz, colpendone invece altri che, pur se prosciolti da anni per il reato di lesioni, si trovano oggi agli arresti domiciliari per una condanna che appare incomprensibile.
Prendiamo il caso di Franco Gratteri, fino alla condanna capo della Direzione centrale anticrimine. Gli è stato contestato un ruolo decisionale nell’arresto dei giovani picchiati nella Diaz, pur non avendo né partecipato all’irruzione (è anzi arrivato quando tutto era finito) né firmato il verbale di arresto, ma per il semplice fatto di essere in quel momento il capo del Servizio centrale operativo. Nell’interrogatorio del 18 novembre 2003 il pm Enrico Zucca afferma che «non ci sono delle dirette chiamate nei suoi confronti come mandante, istigatore o ispiratore dell’episodio». Eppure la dichiarata estraneità di Gratteri «non corrisponde agli elementi che abbiamo raccolto». E quando il difensore di Gratteri, Luigi Ligotti, gli ribatte che allora «l’elemento probatorio è di natura logica», Zucca risponde: «Sì, ma la logica non è spazzatura». Condannato in base alla logica?
Quanto a Gilberto Caldarozzi, all’epoca vicedirettore dello Sco che ha poi guidato, per l’accusa sapeva che le bottiglie molotov rinvenute nella scuola provenivano dall’esterno e invece avrebbe attestato falsamente che si trovavano davvero lì. Video e testimonianze dimostrano invece che arrivò in ritardo sul posto e che non ebbe nessun contatto né con il funzionario Pietro Troiani, lui sì responsabile per le molotov, né con Massimiliano Di Bernardini, tra i redattori del verbale d’arresto. Tutti gli elementi a difesa non sono stati presi in considerazione.
Altre domande restano senza risposta. Il vicecapo vicario della polizia, prefetto Ansoino Andreassi, era il responsabile di tutte le operazioni in quel G8 e autorizzò l’irruzione alla Diaz con il VII nucleo del reparto mobile di Roma. Perché non è stato nemmeno indagato? Perché fu archiviato Lorenzo Murgolo, al quale Andreassi affidò la responsabilità dell’ordine pubblico nell’intervento alla scuola? Come fa la Cassazione a mettere sullo stesso piano Andreassi, lo scomparso prefetto Arnaldo La Barbera (allora capo dell’ex Ucigos) e il questore di Genova Francesco Colucci, i tre più diretti responsabili dell’ordine pubblico, con Gratteri, Caldarozzi o con Giovanni Luperi (ex numero 2 dell’Ucigos, poi ai servizi segreti)?
E infine, è ammissibile che Salvatore Sinagra, presidente della corte d’appello di Genova, dopo aver depositato le motivazioni della sentenza di condanna abbia dichiarato nel 2010 alSecolo XIXche «era un sassolino che volevo togliermi dalla scarpa»?