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November 02 2012
"L'architettura è un mestiere da uomini, ma ho sempre fatto finta di nulla". Una frase emblematica pronunciata dall'architetto Gae Aulenti, morta il 1° novembre nella sua casa a Milano all'età di 84 anni, e che mostra,allo stesso tempo, la sua ironia, la sua grande umanità e la sua proverbiale timidezza.
Nata in provincia di Udine, a Palazzolo della Stella, il 4 dicembre del 1927, da una famiglia di origini meridionali, papà commercialista di origini pugliesi e madre napoletana, Gae Aulenti inizia a frequentare il Liceo artistico di Firenze, ma poi torna al Nord dove studia privatamente. "Prestavo allora dei piccoli servizi alla Resistenza - raccontava in una recente intervista a Corriere.it - si fidavano di me e qualche volta portavo fuori dai blocchi le missioni inglesi fingendo di andare in camporella. A Biella ero amica di due sorelle ebree che sparirono da un giorno all'altro. La coscienza civile nacque lì".
Nel 1948 è al Politecnico di Milano, che diventa la sua città, e qui inizia a guardare al razionalismo internazionale, ad artisti come Gropius, Le Corbusier e Wright.
Fra le sue opere, segnate dal recupero dei valori del passato e dalla nuova corrente del Neoliberty proprio come reazione a quel razionalismo imperante, spicca la realizzazione del Museo d'Orsay, con il tema floreale delle lunette della volta (1980-86), e la lampada Pipistrello della Martinelli Luce (1963), che ha richiami, non a caso, all'Art Nouveau.
Ma lavora anche a Palazzo Grassi, all'Asian Art Museum di San Francisco, all'allestimento del Museo Nazionale d'Arte moderna del Centre Georges Pompidou di Parigi, al progetto di Piazzale Cadorna a Milano, al Museo d'arte catalana di Barcellona e alle ex Scuderie del Quirinale.
Il suo primo progetto è però per Adriano Olivetti, uno showroom Olivetti a Parigi e subito dopo a Buenos Aires. Da allora Gae Aulenti si sposta in tutta Europa, in America, in Giappone, in Cina.
Con Luca Ronconi allestisce poi il primo progetto scenico a Napoli nel '74 e poi progetta per Gianni Agnelli a Villar Perosa la scuola materna in memoria di Edoardo. Carlo Ripa di Meana, con cui ha una relazione negli anni Ottanta, la avvicina al craxismo che lei considera ''deleterio''.
A Milano Gae Aulenti lavora invece poco: per lo Spazio Oberdan, nel '99, e poi per la Stazione Nord nel 2000. Vera ossessione dell'architetto e suo stile principale è stata la contestualizzazione architettonica: "Non si può fare la stessa cosa a San Francisco o a Parigi - diceva -. Serve un lavoro analitico molto attento, prima di progettare: studiare la storia, la letteratura, la geografia, persino la poesia e la filosofia. Bisogna inventarsi le soluzioni volta per volta e i libri aiutano. Poi viene la sintesi, infine la parte profetica: la capacità di costruire cose che durino nel futuro. Se l'architettura si butta via, diventa un cumulo di macerie''.
Non sempre, però, un progetto tiene conto dell'ambiente in cui si deve sviluppare. A Milano, per esempio, aveva definito "il corto, il lungo e lo storto" i grattacieli dell'area dell'ex Fiera di Milano. Sono un progetto, aveva detto, che "ha vinto per la cifra che ha dato al Comune di Milano e non certo per la qualità... Non è l'architettura ma l'amministrazione a decidere. Poi, mezzo secolo fa, quando ho iniziato io a fare l'architetto, c'era più senso della collettività perché c'era stata la guerra, mentre oggi c'è una più forte cultura individuale".
Molti i premi e i riconoscimenti che ha ottenuto Gae Aulenti, fra cui la Legion d'Honneur della Repubblica francese, il premio speciale per la Cultura della Repubblica Italiana e il titolo di commandeur dans l'ordre des Artes et des Lettres. Fra i ruoli che ha ricoperto quello di presidente dell'Accademia di Belle Arti di Brera.
Divorziata, lascia una figlia e una nipote che, proprio come la nonna, fa l'architetto. (ANSA)