Dal Mondo
March 15 2022
Dalla Cecenia all'Olanda, dalla Siria agli Stati Uniti: oggi in Ucraina accorrono uomini da tutto il mondo per combattere nelle brigate internazionali. Un fenomeno che ricorda la guerra civile spagnola. Ma, a differenza della Spagna, in questo caso è molto più complicato capire chi sta con chi. E perché. Per orientarsi nei meandri della prima guerra convenzionale su larga scala combattuta in Europa dal 1945 a oggi, Panorama ha chiesto aiuto a Gianandrea Gaiani, esperto militare e direttore del sito Analisidifesa.it.
Partiamo dai miliziani, alcuni dei quali olandesi, uccisi o feriti l'altro ieri, il 13 marzo, nella base militare di Yavoriv, vicino a Leopoli. Che cosa si sa di loro?
«Sappiamo che in quella base ci sono stati fino a poco tempo fa (e presumo possano essere rimasti dopo l'inizio della guerra) consiglieri militari di Paesi Nato: militari, britannici, canadesi, che facevano addestramento in questo centro alle forze ucraine».
Ma questo non è un po' strano? In un Paese non Nato ci sono forze Nato all'opera?
«No, non è strano perché l'Ucraina ha chiesto di entrare nella Nato e c'è una forte presenza di militari americani, canadesi, britannici, polacchi, estoni in Ucraina da molti anni. Ed è uno dei motivi per cui i russi si sono così arrabbiati».
Esatto...
«C'è anche un centro della marina americana a Odessa, che i russi hanno già colpito. E ci sono basi della Nato».
Possiamo quantificarle?
«Difficile trovare numeri precisi... Ad esempio, quando si è tenuta l'ultima esercitazione Nato, nel settembre 2021, in quella zona c'erano 2.000 uomini della Nato che si addestravano assieme a 4.000 ucraini. Poi ci sono i contractor...».
Ma quelli non c'erano già prima?
«Sì, sì. Ai contractor potrebbero esserci aggiunti i volontari: l'Ucraina ha aperto all'arruolamento di volontari stranieri, che vengono per lo più da Paesi occidentali o comunque ostili alla Russia. Io non so se questi olandesi o di altri Paesi, qualcuno dice anche svedesi, sono arrivati lì per combattere con l'esercito ucraino e se sono stati posizionati in questa grande base. Diciamo questo: gli attacchi missilistici russi degli ultimi giorni contro le grandi basi nell'Ovest dell'Ucraina (fra Kiev e il confine con la Polonia, tutto intorno a Leopoli) hanno una ragione».
Quale?
«L'afflusso dei volontari stranieri che vanno a combattere con l'esercito ucraino e l'afflusso delle armi che tutti i Paesi occidentali, inclusa l'Italia, hanno donato all'Ucraina, entrano dalla Polonia. E arrivano in queste basi. Distruggendo queste basi, la Russia impedisce che vengano usati gli aerei per trasportare personale e mezzi, che vengano stoccate armi e mezzi e che vengano concentrate addestrate persone. L'iniziativa di supporto militare all'Ucraina, varata da Nato e Ue, comporta che queste basi, lontane dall'offensiva russa che si svolge per lo più nell'Est del Paese o intorno a Kiev, diventino bersagli perché stanno arrivando armi per gli ucraini».
E come arrivano?
«Pare che affluiscano tutte in un aeroporto in Polonia e che da lì vengano poi portate alla frontiera. Non è chiaro da chi: se dagli americani (probabilmente) o dai polacchi. Alla frontiera vengono cedute a convogli (penso militari) ucraini. Non ci sono dettagli».
Si può dire quante ne sono arrivate, finora?
«Un'agenzia del 7 marzo diceva che, secondo quanto aveva riferito alla Cnn una fonte del Dipartimento della Difesa, Usa e Paesi Nato avevano già mandato in Ucraina 17.000 armi anticarro, fra missili e razzi, e 2.000 missili anti-aerei Stinger. Dal 7 marzo a oggi sono sicuramente aumentate. Quindi si tratta di migliaia di pezzi d'armamento in arrivo, che forse non cambieranno le sorti della guerra, ma la renderanno più sanguinosa per i russi. Questo è l'obiettivo».
Tornando agli istruttori militari Nato presenti in Ucraina, è vero che hanno addestrato anche i neonazisti del battaglione Azov?
«L'attuale reggimento Azov (si è ingrandito, non è più un battaglione) ha al suo interno anche volontari stranieri. Negli anni scorsi è stato addestrato ed equipaggiato dagli americani».
E non hanno avuto imbarazzi ad addestrare gente che esibisce svastiche ed è accusata di «violazioni dei diritti umani» da Amnesty International e di «crimini di guerra» dall'Osce?
«Non ne ebbero nel 2014, quando queste milizie ultranazionaliste e neonaziste vennero schierate nel Donbass, non mi pare che possano averne adesso. Comunque quelli di Azov, che ha al suo interno volontari stranieri, assieme a quelli di Pravyj Sektor, sono fra i reparti migliori. Infatti in questo momento sono impiegati a Kharkiv e a Mariupol, nelle due sacche di resistenza più tenaci».
In primissima linea.
«E con loro i battaglioni ceceni, tutti volontari jihadisti che sono lì a combattere con gli ucraini contro i ceceni governativi di Kadirov, schierati a fianco dei russi».
Roba da pazzi... Ma quanti sono?
«Non è ben chiaro. Un report dell'Ansa parlava di un paio di battaglioni, di cui uno di stanza a Mariupol. Diciamo qualche centinaio di uomini».
Invece i contractor?
«Ce ne sono alcuni che però sono a contratto con la Difesa americana. Nel senso che il Pentagono spesso, per fare addestramento a eserciti amici, anziché mandare i propri soldati affida il compito a una società privata militare, di quelle composte da ex militari che gli americani utilizzano come supporto alle Forze armate. Diciamo che non sono contractor che lavorano per gli ucraini. Sono contractor che lavorano a contratto con il Pentagono o con il Ministero della difesa britannico. Usa e Regno Unito sono i due Paesi occidentali che usano di più i contractor».
E quanti saranno?
«Non ne ho idea. Difficile pensare che possano essere più di qualche decina. Io mi aspetto che qualcuno di questi possa trovarsi anche affiancato ai reparti ucraini in prima linea. Se dovessero cadere Mariupol e Kharkiv, fra i prigionieri potrebbero capitare di trovare anche qualche consigliere militare occidentale. Non mi stupirebbe se succedesse».
Quindi in prima linea potrebbero esserci, oltre ai contractor, anche consiglieri militari?
«Potrebbero... Perché l'opportunità di affiancare le forze ucraine per vedere e studiare in azione l'esercito russo era troppo ghiotta. Credo che le grandi potenze militari della Nato, gli anglo-americani, non abbiano voluto perdere l'occasione. Quindi il modo migliore sarebbe stato avere propri osservatori, consiglieri militari o contractor, a fianco alle truppe ucraine. Può anche darsi che fossero già lì e che l'offensiva russa li abbia tagliati fuori insieme ai reparti ucraini».
Questo lo schieramento dalla parte ucraina. Dalla parte russa quanti sono i ceceni di Ramzan Kadirov, i cosiddetti kadyrovtsy?
«Le stime vanno dai 10.000 ai 70.000. Forse 10.000 è un numero ragionevole».
Comunque una presenza corposa... Poi ci sono i siriani.
«I siriani pare vengano arruolati in questo periodo. I siriani però sono manovalanza che abbiamo visto in tutti i conflitti recenti, utilizzati sia dai russi sia dai turchi. Ovviamente i turchi arruolano i siriani delle milizie anti-Assad, soprattutto ex jihadisti o quelle turcomanne del Nord della Siria. I russi invece arruolano le milizie filo-Assad. È già successo in Libia, dove dalla parte di Tripoli ci sono stati fino a 17.000 mercenari siriani, portati lì dai turchi, mentre con i russi del Gruppo Wagner insieme a Khalifa Haftar c'erano i siriani filo-Assad».
E i siriani quanti potrebbero essere?
«L'altro giorno Vladimir Putin ha parlato di 16.000 arruolati. I siriani hanno partecipato con i turchi anche alle operazioni in Nagorno Karabakh, per cui sono una manovalanza piuttosto diffusa oggi. Diciamo che una parte di loro va volentieri a combattere con i russi perché ha un debito d'onore: dal loro punto di vista, la Russia ha salvato la Siria dal diventare la terra di Al Qaeda e dell'Isis, sostenendo militarmente Bashar al Assad (e ci sono ancora i russi in Siria) e quindi adesso i siriani rendono il favore».
Ma non lo fanno anche per denaro?
«Se, come pare, lo stipendio è di 1.000 dollari al mese, più vitto e alloggio, il denaro è una componente marginale. Mille dollari al mese è una cifra non sufficiente a giocarsi la pelle se non c'è anche una motivazione diversa, che può essere il desiderio di combattere per i russi che hanno combattuto per Assad. E soprattutto contro l'Ucraina, che è filo-americana. E sappiamo quanto gli americani hanno contribuito alla rivolta contro Assad e a sostenere le milizie jihadiste anti Assad».
E non è finita...
«No. Sul campo in Ucraina ci sono naturalmente i contractor del Gruppo Wagner. Ma alcune società russe stanno anche arruolando “guardie di sicurezza” nei Paesi dell'ex Urss per un “impiego in un'area vicina”. Insomma, per un impiego in Ucraina».
Parliamo di qualche decina di migliaia di uomini...
«Per stare bassi diciamo 30/40.000 solo dalla parte russa».
Che non è poco.
«No, se si pensa che la Russia sta impiegando in Ucraina circa 150.000 soldati».
E sul fronte ucraino, quanti ce ne sono?
«Gli ucraini parlavano di 12.000 uomini arrivati nel Paese per combattere».
La famosa Legione straniera?
«Sì. Siamo su numeri rilevanti. Che si sommano ai soldati ucraini: 200.000, massimo 220.000. Poi ci sono i battaglioni di volontari ceceni e qualche decina di consiglieri militari e di contractor occidentali, di Paesi Nato. Anche nell'attacco dell'altro ieri alla base, gli ucraini non stanno dando informazioni sulla nazionalità dei morti. Il che probabilmente significa che fra le vittime ci sono parecchi militari legati ai Paesi Nato. Non a caso, le notizie sugli olandesi le ha date il coordinatore nazionale olandese della Legione dei combattenti stranieri, Gert Snitselaar».
Ma qual è l'impatto di questi «foreign fighter» sul conflitto?
«Vorrei mettere in chiaro che non sono loro a far diventare questa guerra più pericolosa, più intensa, più violenta. Rappresentano un elemento, forse anche un po' di colore, che partecipa a una guerra che di per sé è già una guerra importante, perché è la prima guerra convenzionale su larga scala combattuta in Europa dal 1945. Centinaia di mezzi corazzati impegnati in combattimento non si vedevano dall'ultima offensiva sovietica sul fronte orientale al termine della seconda guerra mondiale».