Siamo arrivati all’inimmaginabile e cioè a mettere in discussione la nostra origine, considerato che siamo tutti nati da un uomo e una donna e, fino a prova contraria, è ancora così. Tutti nascono da un uomo e una donna che diventano rispettivamente padre e madre. Non sono parole “obsolete”, come un ministro del governo appena passato ha azzardato a dire. Sono parole fatte di carne, l’ avvenimento di una vita, un dato di fatto. Che vengano cancellate dai moduli per l’iscrizione all’asilo nido e alla scuola materna, come è successo a Milano, è un non senso. Tralasciamo la modalità, peraltro discutibile, con cui si è arrivati a tanto e la motivazione palesemente ideologica alla base di questa scelta, e concentriamoci sul linguaggio.
Non si vuole discriminare nessuno. Così ha affermato la consigliera comunale che ha preso l’iniziativa. Nessun dubbio che vengano forse discriminati coloro che si sentono padri e madri? Praticamente la maggioranza?
Le parole “padre” e “madre” sono state cancellate e sostituite dai più generici “genitore 1” e “genitore 2”. Generici fino ad un certo punto, perché genitore è sostantivo declinabile e al femminile fa genitrice, eppure sui moduli viene considerato soltanto al maschile. E questa non è forse una discriminazione?
Anche i numeri fanno riflettere. Poiché la matematica non è un’opinione, i numeri esprimono una realtà che non è opinabile. Sono insindacabili. In una scala di valori, uno è più importante di due o comunque viene prima. Per ovviare a questa obiezione, a Bologna si è proposta la formula “altro genitore” al posto di “genitore 2”.
Modificando i termini della questione, non è solo la generatività ad essere messa in discussione, lo è pure la stessa natura umana. Cosa ne facciamo di quello che sta scritto nei grandi della letteratura, nelle sacre scritture, nei testi della psicoanalisi dove padre e madre sono al centro della ferita originaria? Correggiamo tutto in nome di una vaghezza asessuata? In nome dell’ in-differenza? In natura, senza alcuna sovrastruttura culturale, il maschile e il femminile non soltanto sono differenti, ma fanno la differenza. La ricchezza della differenza. Sono complementari, non intercambiabili, ineliminabili. Per nascere c’è bisogno di entrambe, per crescere pure.
È un diritto del bambino avere entrambe i modelli. La perdita del maschile, successiva alla rivolta del femminismo, che nel tentativo di liberarsi del padre padrone ha tralasciato di cercare il vero volto del padre, ha generato dei figli fragili e delle madri insicure. «La conseguenza – afferma lo psicanalista Giancarlo Ricci – è la dittatura del desiderio senza limiti e dagli effetti mortiferi che sono sotto gli occhi di tutti».
Ora stiamo facendo un passo in più. Stiamo abolendo anche la madre.
«L’assenza del padre che guarda al figlio come maschio capace di guidare e proteggere e l’assenza della madre che guarda alla figlia come femmina capace di accogliere – prosegue Ricci – toglie al bambino la possibilità di avere un’identità precisa e limitata. Ecco perché abbiamo gente sempre più fragile, con poco amor proprio, con una bassa stima di sé, incapace di accettare rimproveri, fatiche e quindi di ottenere risultati appaganti. I sentimenti amorevoli non bastano a crescere figli sani». Occorre anche chiarezza e differenza. A partire dalle parole.