Il ritorno degli ultras

Niente calcio a Marassi. Porte chiuse per tutti perché, come ha spiegato Paolo Cortis responsabile dell’Osservatorio Nazionale sulle manifestazioni sportive, serviva un segnale dopo la guerriglia di Marassi. Che era annunciata, prevista e prevedibile visto che nasceva da precedenti storie tese tra gli ultras di Genoa e Sampdoria: striscioni rubati, aggressioni e una sede devastata. Tutto noto eppure il copione è andato in scena lo stesso provocando 36 feriti tra le forze dell’ordine e la decisione di dare il segnale forte e chiudere le porte di Marassi a lungo. Per tutti, compresi abbonati e tifosi semplici totalmente estranei a quanto accaduto.

Non ci sarà cornice di pubblico per Genoa-Juventus e Sampdoria-Juve Stabia con ulteriori limitazioni a cascata: oltre alle porte chiuse per le due sfide casalinghe i tifosi dovranno rinunciare a seguire in trasferta le proprie squadre per tre gare. Quelli rossoblù salteranno quindi la sfida con l'Atalanta del 5 ottobre, quella del 27 ottobre a Roma con la Lazio e del 4 novembre a Parma. Per i sampdoriani vietate le trasferte di Modena di domenica 29 settembre, di Cesena del 19 ottobre e di Cittadella del 29 ottobre. Colpire tutti per educare un gruppo di violenti; la ricetta può non piacere, ma è la strada scelta dal Viminale per provare a intervenire sui rapporti tra fazioni a Genova e più in generale mettere il punto in un inizio di stagione in cui il fenomeno ultras è tornato a occupare le prime pagine dei giornali.

Dell’omicidio di Antonio Bellocco maturato all’interno della Curva Nord dell’Inter e dell’infiltrazione della ‘ndrangheta nel business delle curve se ne sta occupando la Procura di Milano. Dentro e fuori gli stadi, però, è un susseguirsi di segnali. Le turbolenze della trasferta napoletana a Cagliari, tra provocazioni e lancio di fumogeni, ha convinto il Viminale a vietare il successivo viaggio degli ultras partenopei a Torino. La scena si è ripetuta al Maradona con protagonisti i supporter del Palermo: petardi e bengala scagliati nei settori vicini occupati anche da famiglie e bambini. Segnali di una recrudescenza che non può non preoccupare anche il calcio italiano che sta vivendo una seconda primavera in termini di interesse e appeal da stadio.

Da un paio di stagioni il trend è ampiamente positivo e si è tornati indietro di vent’anni, quando la media presenze era solidamente al di sopra delle 30mila unità (31.136 il dato dopo le prime 5 giornate di questo campionato). Andare alla partita è tornato un rito collettivo, i club stanno agganciando anche le nuove generazioni e mai come in questo momento è pericoloso che si torni a considerare un pericolo la gita settimanale al seguito della propria squadra del cuore. Anche perché si sta realizzando tutto quanto segnalato dall’Osservatorio del Viminale in tempi non sospetti.

Già analizzando le statistiche della stagione 2022/2023, infatti, i tecnici avevano dichiarato dati non confortanti: boom di incontri con feriti (113 contro i 66 del 2022), feriti tra i civili (101 rispetto a 51) e tra le forze dell’ordine (147 su 72), denunciati (2.011 contro 1.480) e arrestati (125 contro 59). E, soprattutto, avevano denunciato una modalità di scontro ormai codificata, fuori dagli stadi, dentro i centri urbani e con polizia e carabinieri come obiettivi: “Particolarmente sintomatici dei mutamenti in atto, sia per i livelli di aggressività raggiunti che per le modalità delle condotte adottate dai gruppi ultras, le quali si sono, in alcuni casi, tradotte in azioni di guerriglia o in agguati con ricorso al travisamento e all’utilizzo di armi improprie (bastoni, pietre e artifizi pirotecnici, ecc.)”. Esattamente quanto accaduto intorno allo stadio di Marassi nel giorno di guerriglia che ha preceduto e seguito il derby tra Genoa e Sampdoria.

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