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August 20 2018
Ritrovato l'ultimo disperso tra le macerie del ponte Morandi, la conta dei morti si ferma a 43 persone (due feriti sono in condizioni critiche). Ed ora più di prima per Genova è tempo di capire cosa abbia determinato il disastroso crollo del viadotto sul Polcevera, il 14 agosto 2018 attorno alle ore 11.37.
Si ipotizza "una serie di concause" e non solo la rottura di uno strallo, ha detto Roberto Ferrazza, presidente della Commissione ispettiva del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti dopo il sopralluogo tra le macerie del ponte, effettuato domenica 19 agosto.
Ecco le possibili cause.
Sin dai primi momenti dopo il crollo, il cedimento di uno strallo del pilone 9, quello che poi è crollato su se stesso, è stata l'ipotesi più accreditata dietro la tragedia di Genova. Testimonianze e video hanno portato gli esperti a orientarsi in tal senso. Gli stralli sono gli enormi cavi laterali che collegano la sommità dei piloni al piano del viadotto e aiutano a sostenere l'intera struttura.
Resta da capire però se lo strallo si sia rotto per primo o in seguito a un altro guasto.
La lettura della dinamica del crollo, quale elemento si sia rotto per primo, "non è ancora del tutto chiara. Non è chiaro quale sia stato l'innesco della dinamica" ma "il ponte non è caduto nella sua proiezione: prima si è storto, poi è caduto", sostiene Ferrazza. "Bisognerà lavorare ancora sul posizionamento e ribaltamento delle macerie, considerando che c'è stata una rottura che ha provocato un movimento della struttura non equilibrato".
Il cedimento dello strallo comunque "resta una ipotesi del cedimento", secondo Ferrazza. "Ci sono stati diversi fattori che hanno determinato il crollo del viadotto".
Lo stallo potrebbe essersi rotto per la corrosione del cavo d'acciaio e per usura o perché si era ormai talmente assottigliato da spezzarsi.
Due testimoni oculari dicono di aver visto spezzarsi prima uno o due stralli. La Guardia di Finanza ha acquisito tre video utili alla ricostruzione dei fatti, provenienti dai video di sicurezza di aziende private posizionate nei pressi del viadotto.
Non viene però esclusa l'ipotesi che lo strallo non si sia rotto per primo, ma solo in seguito al cedimento di una campata del ponte, in particolare dopo il cedimento delle enormi mensole che sostengono gli impalcati, i blocchi di strada tra i due stralli.
Lo strallo è una bretella "che tiene la trave, l'impalcato su cui circolano gli automezzi: la sua rottura può essere stata determinata sia da un comportamento anomalo della trave o dal cedimento delle mensole che tengono gli impalcati", spiega Ferrazza. "Una eventuale rottura della mensola può aver fatto girare l'impalcato e sovraccaricato lo strallo".
Gli stralli e l'impalcato hanno ceduto certamente prima del pilone di cemento. Resta quindi da capire quale delle due strutture abbia ceduto prima.
In un video che riprende il ponte Morandi negli istanti finali della tragedia si vede una sorta di lampo. Nel momento del disastro a Genova veniva giù una pioggia intensa e c'è chi ha ipotizzato che sia stato un fulmine a scatenare una catena di reazioni, dovute ai mali pregressi del ponte.
Mario Paolo Petrangeli, ingegnere progettista civile formato proprio nello studio Morandi, nei giorni scorsi intervistato da LaPresse aveva escluso l'ipotesi fulmime: "Direi proprio che questo sia da escludere. Mi pare poco verosimile, tenderei più a pensare a fenomeni di fatica". Il ponte Morandi, inaugurato nel 1967, fu progettato per sostenere un certo traffico, limitato negli anni '60 e poi cresciuto a dismisura.
Petrangeli difende anche l'operato del suo maestro, l'ingegnere Riccardo Morandi, escludendo errori nel progetto e parlando piuttosto di problemi di manutenzione: "Allora le conoscenze sui materiali erano molto modeste, erano i primi esempi di ponti di quel tipo che si facevano nel mondo. È chiaro che la parte critica sono gli stralli, le funi che tengono sospesa la travata. A quel tempo erano abbastanza semplici, ora sono molto più sofisticati, principalmente per quel che riguarda la protezione contro la corrosione. Quel ponte aveva sicuramente problemi di manutenzione degli stralli che erano corrosi".
Gli stralli erano stati realizzati in calcestruzzo precompresso, materiale che nel tempo si è rivelato molto più vulnerabile di quanto si pensasse, soprattutto se esposto a condizioni ambientali molto aggressive.
Ferrazza, provveditore alle opere pubbliche per Piemonte, Liguria e Val d'Aosta e ora capo degli ispettori che devono rivelare le cause del crollo, era tra i membri del Comitato tecnico amministrativo che a febbraio 2018 aveva analizzato e dato il via al progetto di Autostrade per restaurare con tecniche aggiornate il ponte Morandi.
I problemi di corrosione e distacco di pezzi di calcestruzzo dagli stralli erano noti. Gli ingegneri del Politecnico di Milano, su richiesta di Autostrade, dopo aver seguito una serie di sollecitazioni esterne sugli stralli, a novembre 2017 avevano presentato uno studio che chiedeva approfondimenti e controlli.
Nessuno però aveva predisposto una chiusura del ponte, in attesa dei lavori che ne avrebbero ripristinato efficienza e sicurezza.
Per questo ora a Ferrazza si chiede se non si trovi in una situazione di conflitto di interessi. Lui si dice pronto anche a fare un passo indietro: "Il fatto d'essere oggi a capo della commissione ispettiva credo sia conseguenza del mio incarico di provveditore delle opere pubbliche. Se questo non fornisce garanzie necessarie sono pronto a fare un passo indietro. Voglio ricordare però che la commissione ispettiva non ha nulla a che vedere con la Procura. I magistrati hanno i loro periti e noi non siamo lì per interferire o sbianchettare qualche documento".
La Commissione ispettiva del Mit, presieduta da Ferrazza, è composta anche da: i professori Ivo Vanzi, componente esperto del Consiglio superiore dei lavori pubblici, e Antonio Brencich, professore associato dell'Università degli studi di Genova; gli ingegneri Gianluca Ievolella, consigliere di supporto al presidente del Consiglio superiore dei lavori pubblici, Michele Franzese e Bruno Santoro, dirigenti tecnici della Direzione generale per la vigilanza sulle concessionarie autostradali.
Anche Brencich faceva parte del Comitato tecnico che si riunì a febbraio e già due anni fa aveva lanciato l'allarme sul ponte Morandi.