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Gentiloni e Di Maio, due leader a confronto

Uno ha il doppio degli anni dell’altro, uno discende dalla nobiltà marchigiana ed è imparentato con Vincenzo Gentiloni, quello del famoso patto che segnò l’ingresso dei cattolici in politica all’inizio del ‘900. Dell’altro si sa poco, viene dalla Campania, fino al suo ingresso in Parlamento, a 26 anni era un ragazzo come tanti che in pochi anni ha scalato il Movimento 5 stelle fino a diventarne capo politico e candidato premier.

Gemelli diversi

Più mansueta la carriera di Gentiloni. Nella sua biografia, l’ultimo colpo di matto è registrato nell’adolescenza quando scappa di casa per andare ad una manifestazione studentesca a Milano. Dopodichè, calma piatta. Mansueto come un gatto, si è sempre aggirato nei palazzi romani, nella veste di deputato, Ministro e persino portavoce dell’ex sindaco di Roma, Francesco Rutelli. Con questo curriculum è sopravvissuto alla rottamazione renziana e oggi risulta essere quello più in quota per traghettare il Pd in questo momento di “bassa”.

Al contrario, Luigi Di Maio ha che fare con le onde alte del Movimento che sfiora il 28% attestandosi come primo partito italiano. Ma essere primi anche questa volta non basta e il programma di 20 punti per “la qualità della vita degli italiani” presentato a Pescara, difficilmente riuscirà a far convergere altri partiti in quel “governo impossibile”, come l’ha definito il placido Gentiloni.

Il 21 gennaio Di Maio ha promesso l’abolizione di 400 leggi inutili (senza dire quali) e allo stesso tempo ha dichiarato che “La nostra legislatura non sarà quella dove si faranno tante leggi, ne abbiamo già troppe”. Ma allora che farà il prossimo Parlamento, visto che la sua prerogativa è squisitamente quella di fare le leggi? Il dubbio rimane.

Gentiloni e Di Maio sembrerebbero proprio gemelli diversi nella sfida di governo. Solo una cosa li unisce: Gentiloni è diventato primo ministro quasi per caso e Di Maio rischia di diventarlo per gli stessi motivi.

Il cuore della sfida

Entrambi per queste elezioni hanno scelto di giocare in casa. Gentiloni si candiderà nel collegio di Roma Centro, l’unico sfuggito alla presa grillina delle scorse amministrative romane che hanno portato Virginia Raggi in Campidoglio, mentre Di Maio sceglie la sua Pomigliano D’Arco. Sono due territori che parlano molto dei partiti che rappresentano.

Il Pd è diventato oramai espressione di un ceto medio – alto, perdendo ogni contatto con la sua base tradizionale. E ha ragione Silvio Berlusconi quando afferma che il merito di Renzi è stato quello di aver archiviato il comunismo.

Che il Pd abbia cambiato pelle lo si è visto in tutte le elezioni amministrative dell’era Renzi, dove sono finite in mano grillina importanti città operaie (Livorno, Torino) e quartieri di periferia dove una volta comandava il Pci. Così Pomigliano D’Arco diventa un simbolo. La città degli stabilimenti Fiat e del suo indotto, dove l’industria dell’auto fa il bello e cattivo tempo nella vita delle persone. Sono le periferie quelle più in difficoltà dove il Movimento prende più voti per una sorta di empatia giocata sul malcontento e nella sfida di disarcionare dalla poltrona chi sta meglio, in una sorta di gioco collettivo al ribasso. Come se la soluzione fosse poi in questo.

Gentiloni e Di Maio sono lo specchio di due modelli d’Italia, che convivono da sempre, anche se ora più che mai sembrano lontane anni luce. E chiunque vincerà le elezioni o si alleerà per guidare il Paese avrà primo fra tutti il compito di ricucire queste due parti ed eliminare quelle barriere che fino ad oggi hanno solo sfibrato la parte più debole della nostra comunità.

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