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February 19 2019
Non si è ancora formalmente conclusa l’era Merkel, ma l’uscita di scena della Cancelliera è segnata. Le europee a fine maggio, e poi in autunno le elezioni in tre Länder orientali - assieme alla verifica di metà mandato della «grande coalizione» - indicheranno i tempi con cui la quattro volte leader del governo lascerà il potere. Se i contorni del Merkeldämmerung, ovvero il crepuscolo della Cancelliera, restano ancora indefiniti, il clima in Germania è già cambiato, soprattutto quello economico.
Se ne è accorta anche Annegret Kramp-Karrenbauer, che di Angela Merkel è l’erede politica: a novembre 2018 «Akk» le è subentrata alla guida del partito cristiano democratico (Cdu) con l’obiettivo, un domani, di diventare lei la prossima cancelliera federale. «Le fondamenta della nostra prosperità non sono sicure come una volta» ha scandito Akk a inizio anno aprendo la direzione della Cdu e confermando ad alta voce i timori dei principali istituti di ricerca economica del Paese. «Il boom è finito e l’economia della Germania ha cominciato a rallentare» decretava poco prima di Natale il rigoroso istituto Ifo di Monaco di Baviera, segnalando che il comparto automotive e le esportazioni tedesche «sono esposte a notevoli rischi economici» e, dunque, destinate a perdere terreno. A fine gennaio il ministero tedesco dell’Economia ha poi stabilito, dopo un lunghissimo balletto di cifre sulla crescita per il 2019, che il Pil crescerà dell’1 per cento nel 2019, molto meno, cioè, della precedente previsione dell’1,8 per cento. Intanto l’Ifo individua alcune cause congiunturali destinate a pesare sulla performance tedesca: oggi, il rallentamento dell’economia dell’eurozona; nel futuro prossimo i dazi tariffari imposti da Trump su beni per 450 miliardi di dollari - il suo slogan America First! passa anche dall’abbattimento dei surplus commerciali cinese e tedesco nei confronti degli Stati Uniti. Ma i guai non sono finiti: a metà gennaio Pechino ha chiuso il 2018 con il tasso di cresciuta più basso degli ultimi 30 anni. Gli ordini dalla Cina sono dunque in calo, con conseguenze negative per l’economia di Berlino, tra le più dipendenti su scala globale dall’export, ovvero dalla salute economica dei propri partner commerciali. Se la Cina prende un raffreddore, la Germania rischia la bronchite. Esistono però anche cause interne che preoccupano gli analisti: il settore auto non si riprende dal Dieselgate, lo scandalo anzi si è appena allargato con nuovi 24 indagati del marchio Audi. Le industrie tedesche, poi, hanno difficoltà a trovare manodopera qualificata: è una conseguenza del calo demografico, lo stesso che, a differenza di quello italiano già riformato, rende l’attuale sistema pensionistico tedesco non sostenibile. Un altro problema che allarma gli economisti tedeschi è l’infrastruttura dei trasporti da molti definita al collasso, ma anche quella del settore telecomunicazioni è in grave ritardo: due problemi che rischiano di frenare l’economia esistente e di soffocare quella 4.0 nella culla. E ancora, il sistema fiscale è definito opprimente da molti mentre i costi energetici nella Germania del taglio delle emissioni di CO² sono fuori controllo. L’uscita dal nucleare prima e dal carbone poi stanno appesantendo la bolletta elettrica dei tedeschi. Stupisce, inoltre, che si registrino tante magagne durante una fase di grande liquidità della Germania. Le autostrade sono un groviera eppure le casse dello Stato sono piene di soldi. Il punto è che nessuno propone di usarli. Le spese sono ammesse in pochissimi settori: gli asili nido, per esempio, sono un fiore all’occhiello del Paese e permettono a tante donne un tasso di partecipazione al mondo del lavoro sconosciuto in Italia. Chi il lavoro lo perde, viene subito aiutato sia a ritrovarlo sia sostenuto con sussidi di disoccupazione. Eppure nessun Paese è perfetto: nella ricca Germania, per esempio, le cure sanitarie sono più costose e meno efficienti che in Italia. Non lo sostiene Panorama, ma l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) con sede a Parigi. Anche la difesa tedesca è messa male, eppure il governo della Germania vorrebbe entrare nel novero delle potenze mondiali con il diritto di veto alle Nazioni unite. Un Paese grande, insomma, ha problemi grandi, come è normale che sia. Oggi la Repubblica federale è ancora la locomotiva d’Europa ma, come rilevato anche da Frau Kramp-Karrenbauer, il futuro prossimo è pieno di incognite. Economisti e analisti invitano i dirigenti tedeschi a rimboccarsi le maniche per affrontare il domani, pena il declassamento. I denari ci sono, segnalano tutti. Quel che manca, osservano in molti, è l’onestà di ammettere che dalle pensioni alle banche, dalle tasse all’immigrazione è l’ora di fare scelte chiare per evitare il declino. © riproduzione riservata