Musica
July 11 2012
Era il 1937. L’11 luglio del 1937. E le affusolate dita di George Gershwin smettevano di suonare, annotare note, pause, ritmi e declinazioni jazz e blues.
Sono passati 75 anni dalla morte del grande compositore e pianista americano. Il padre del musical. Da Brooklyn ai palchi di tutto il mondo. La sua Rhapsody in Blue(Rapsodia in Blu), scritta in tre settimane per pianoforte e orchestra, è ancora oggi tra le composizioni più suonate quando si parla di jazz sinfonico. Un mix sperimentale, per l’epoca, e moderno ancora oggi, che tiene insieme classiche melodie orchestrali con il jazz americano.
Premessa: non sono un'esperta. Sono una grande appassionata. Una che si innamora delle note. E del loro magico incontro. E se ripenso alla prima volta che, da amante del genere, ho aperto un suo spartito, ricordo bene di aver iniziato da Someone to watch over me, tratto dal musical Oh, Kay!. Avevo sentito la versione di Sarah Vaughan.
Le note trasportavano le parole (queste, come molti altri capolavori, merito del fratello di George, Ira Gershwin) verso declinazioni blues che davano perfettamente il senso di quella ricerca di “qualcuno che possa prendersi cura di me”. Tristi come le chiuse in minore ma piene di speranza nelle chiuse in maggiore. Malinconiche ma piene di sogno trasportate dagli archi verso quella ricerca, quella richiesta: “lui ha la chiave del mio cuore... per favore, puoi dirgli di fare in fretta?”
Ricordo poi lo sforzo nel tentare di non perdere il sound di I got rhythm tratto da An american in Paris (Un americano a Parigi). Prima le note lunghe, le pause, i tempi rallentati portatori di riflessione: "I giorni sono pieni di sole... non ho bisogno di ciò che il denaro può comprare... Sono felice con il poco che ho. Come faccio? Ascolta bene cosa possiedo”.
E quindi il sound, il movimento ad esprimere gioia, la quasi scanzonata convinzione che il tesoro posseduto basterà per sempre: ”Ho il ritmo, ho la musica, ho il mio uomo, cosa mi serve di più?”
L’ho preso tra le mani per ultimo, sicuramente intimorita dalla sua grandezza. Ma chiunque aspira a cantare anche solo un po’ di blues non può non intonare una volta Summertime (da Porgy and Bess). O almeno provare a farlo. La voce graffiante, sensuale, di Ella Fitzgerald, grandissima interprete di Gershwin, non ha uguali. Tutto si regge in un equilibrio melodico tipico del blues tra chiari e scuri, scale che scivolano verso profondità vocali che sembrano risuonare in un buio interno, passaggio tra note cattive, ma combinate in modo impeccabile come solo nei capolavori si riesce a fare. In fondo è Summertime, “è tempo d’estate, i pesci saltano, il cotone è già alto...” ci dice Gershwin. “Bimbo non piangere... una mattina ti alzerai cantando e stenderai le tue ali e toccherai il cielo....”
Ma se c’è una canzone che ho sempre amato è Love is here to stay e mi affido ancora alla meravigliosa Ella Fitzgerald. Non c’è dubbio. Ogni accordo, ogni passaggio, ogni strumento che entra ad arricchire la melodia porta un’apertura della voce e della musicalità che vuole solo esprimere la certezza. Certo con le note è più facile. Ma quando si combinano alla perfezione come tra le dita di Gershwin, quasi quasi ci si crede davvero.
“È chiaro, il nostro amore è qui per restare...
non per un anno, ma per sempre e un giorno in più...
… Con il tempo le Montagne Rocciose franeranno,
Gibilterra cadrà. Sono fatti d’argilla...
Ma il nostro amore è qui per restare...”