Musica
June 16 2020
"E ora che vi siete fissati e che il vostro generale vi ha detto che l'hip hop è da sfigati/Io devo disertare e farmi levare i gradi/ Ma resterò un b-boy anche nei miei dischi cantati". Detto, fatto. Queste barre tratte da L'uomo d'acqua dolce del 2012 sono state profetiche per Ghemon, nome d'arte di Gianluca Picariello, che con il suo ultimo album ha trovato il perfetto punto d'equilibrio tra pop cantautorale e conscious rap, senza che nessuno dei due elementi prenda il sopravvento. Ghemon è un artista completo: sa cantare, sa rappare e (cosa sempre più rara) scrive testi intelligenti. Negli ultimi album, Orchidee e Mezzanotte, Ghemon ha fatto sua la lezione di artisti americani del calibro di D'Angelo, Frank Ocean, Drake e Anderson.Paak, diventando una delle voci più autorevoli e riconoscibili della scena urban italiana. Mentre Mezzanotte, uno dei migliori album italiani del 2017, era incentrato sulla depressione e sulla rinascita, Scritto nelle stelle (una coproduzione Carosello Records e Artist First, con la produzione esecutiva di Tommaso Colliva), anticipato dai singoli Questioni di Principio, In un certo qual modo, Buona Stella e Champagne, è un album pieno di luce e di vibrazioni positive, che ha esordito al nr 2 della classifica Gfk degli album più venduti e al nr 1 della classifica dei vinili dell'ultima settimana di aprile. Una scelta singolare, quella di pubblicare un disco in piena pandemia, che però è stata accolta positivamente dai suoi fan, la cui età varia dai 16 ai 60 anni, come ci ha raccontato lo stesso Ghemon.
Si può affermare che Scritto nelle stelle sia un album meno aggressivo e più pacificato rispetto al precedente Mezzanotte?
Sì, assolutamente, perché è un lavoro che non viene da un luogo di rabbia, ma di consapevolezza e di accettazione di sé, anche se, a trentotto anni, non sono certo Ghandi e non mi reputo un elevato. L'album è uno step successivo rispetto a Mezzanotte, non solo musicalmente: con il disco precedente mi volevo liberare di alcune cose del passato, mentre adesso, nelle nuove canzoni, racconto quello che è successo nella mia vita nei tre anni successivi.
Il disco suona omogeneo e musicalmente ha una sua intima coerenza, pur nella diversità di stili e di atmosfere, spaziando tra r&b, soul, funk e rap. Come hai raggiunto questo risultato?
Non avrò studiato musica, come i bravissimi ragazzi che suonano con me, ma mi funzionano bene le orecchie, ho fatto anni e anni di ascolti curiosi, di osservazione, di comprensione, di studio sulla voce, ma anche di numerosi tentativi a vuoto, fino a che non ho maturato il mio gusto personale. Non mi sento un talento baciato da Dio, ho dovuto prendermi il mio tempo per trovare la mia voce e il mio suono, che è quello che senti nell'album.
Scritto nelle stelle sembra il racconto di una storia che inizia con Questioni di principio, un vero e proprio inno a riflettere sugli errori e sulle lezioni imparate, e che si conclude con K.O., una dichiarazione di intenti nei confronti delle difficoltà della vita. La setlist è stata pensata fin dall'origine così o è maturata dopo vari ascolti?
Non te lo saprei dire esattamente, perché un album è come un puzzle in cui le tessere a poco e poco trovano la loro giusta collocazione, fino a che non raggiungi il risultato complessivo che avevi in mente: non è una decisione che prendi a tavolino. Mi serve di capire quali sono i colori da mettere sulla tavolozza, magari ti mancano ancora due o tre pezzi, capisci che sta mancando ancora qualcosa all'album. Non è un caso che Un'anima e K.O. siano gli ultimi pezzi dell'album, poiché sono anche gli ultimi che ho inciso. In corso d'opera ho trovato che K.O., il brano più rap e duro della setlist, fosse la chiusura ideale del discorso che avevo in mente con questo album.
A febbraio del 2019 ti sei messo in luce al Festival di Sanremo con Rose viola. Quattordici mesi dopo, ad aprile del 2020, arriva finalmente l'album Scritto nelle stelle, un regalo ai fan nel pieno della quarantena, una decisione coraggiosa rispetto al trend dominante. Come mai il disco ha richiesto tutto questo tempo?
Allora non avevo altri brani pronti per un nuovo album, venivo da tante cose importanti, dalla depressione che ho descritto in Mezzanotte e da un tour lunghissimo. Avvertivo in quel momento la stanchezza del percorso, così ho evitato di comporre un album in fretta, magari facendomi aiutare dall'esterno, come fanno in molti per capitalizzare la visibilità portata da Sanremo. Scritto nelle stelle ha richiesto molto tempo, ma sono contento di aver fatto un percorso onesto, vero, reale, pubblicandolo durante la quarantena, oggettivamente un rischio. Ho investito tutto me stesso in questo progetto e sono felice se qualcuno si sia sentito sollevato in questo periodo così difficile grazie alle mie nuove canzoni".
Com'è andata l'esperienza dell'instore tour digitale, in cui hai fatto degli incontri virtuali coi i tuoi fan più fedeli?
Durante la quarantena avevo due possibilità: o farmi travolgere emotivamente dal momento oppure farmi venire un'idea. L'instore virtuale è stato un esperimento interessante, al di sopra delle mie aspettative, che mi ha consentito di parlare con ragazzi e ragazze che magari, dal vivo, si sarebbero limitati a chiedermi una foto o un autografo. In questo modo ho avuto l'opportunità di chiedergli di dov'erano, che cosa facevano nella vita, quali erano i loro pezzi preferiti. Di fatto è stato un focus group vero e proprio, che mi ha permesso di interagire con persone dai 16 anni ai 60 anni, permettendomi di conoscere uno per uno quelli che credono in me e che sovvenzionano quello che faccio: è stata una bellissima esperienza, che mi piacerebbe ripetere in futuro".
Un'anima coglie benissimo il sentimento di inadeguatezza e i dubbi su sé stessi della generazione dei millennials. In un periodo così difficile, quando tutte le certezze sembrano crollare, a partire dal lavoro e dalla salute, come si costruisce la stima di sé?
È una domanda da un milione di dollari, io sono il primo che cerca ogni giorno di essere in equilibrio. L'importante è non farsi scoraggiare e desiderare ogni giorno di essere una versione migliore di sé stessi, guardando alla vita come a una costante evoluzione: sto invecchiando, è vero, ma sto anche imparando tante cose. Io amo i social, mi diverto molto a interagire con i fan, ma ogni tanto è necessario spegnere le voci e i giudizi degli altri, in modo da liberarci dalla dipendenza dall'approvazione altrui. Troppo spesso ci capita di non preoccuparci di sapere come sta la persona che in quel momento abbiamo accanto per vedere se le persone che sono al di là dello schermo apprezzano una foto che abbiamo messo su Instagram. Bisogna cercare di avere una maggiore presenza mentale, proteggere la propria personalità e far crescere la propria identità, senza preoccuparsi di dover piacere a tutti: le differenze sono una cosa positiva, se sei diverso non devi avere paura di sentirti escluso, ma, anzi, devi giocare con la tua unicità".
In Due settimane e Cosa resta di noi, due dei brani migliori dell'album con il loro sapore funk anni Ottanta e Novanta, c'è lo zampino di Big Fish, uno dei più importanti produttori hip hop italiani. Com'è nata questa collaborazione?
Con Big Fish ci conosciamo da tanto tempo, sono da sempre un fan dei Sottotono, che hanno influenzato molto il mio stile, ma non c'era ancora stata occasione di unire i puntini e di lavorare insieme. Negli ultimi due lavori avevano privilegiato la parte acustica, mentre il nuovo album, che rimette in equilibrio la parte suonata e digitale, era perfetto per collaborare con lui. Il concetto di fondo dei due brani è venuto proprio mentre ero seduto sul divano dello studio di Fish. Lui mi ha fatto sentire diverse basi strumentali e, quando ha messo le due tracce di Due settimane e Cosa resta di noi, per me è stata una vera folgorazione: ho immediatamente aperto le note vocali del cellulare e ho buttato giù il testo, una sorta di freestyle, una magia che non accade sempre quando si lavora insieme
In questi giorni l'album Run The Jewels 4 dell'eponimo duo americano è diventato in Usa la colonna sonora delle manifestazioni del movimento Black Lives Matter, dopo l'uccisione di George Floyd da parte della polizia. Come mai il rap in Italia non sembra più in grado di intercettare i grandi temi sociali e politici?
Perché da noi c'è un sonno generale delle coscienze, i ragazzi vogliono divertirsi ed essere intrattenuti dalla musica, più che essere informati. Quando disponiamo di un megafono, abbiamo la scelta tra essere animali politici o animali sociali, ma purtroppo, se dici certe cose in Italia, sei automaticamente schierato politicamente da una parte o dall'altra, ci sono troppe tifoserie e, se a qualcuno non va bene quello che affermi, ti insulta dicendoti 'fai il cantante, stai zitto e canta'. Gli Usa hanno un miliardo di difetti e di contraddizioni, ma il free speech, la critica a mezzo stampa, anche aspra, non manca mai, mentre qui è tutto più difficile, sia per i giornalisti che per i rapper.
Ultima domanda: ma è vero che hai intenzione di cimentarti con la stand up comedy?
Non mi avventuro a fare cose di cui non mi sento pronto. Amo molto la stand up comedy anglosassone, è una forma d'arte simile alla musica, non è solo dire una battuta, ma implica anche un pensiero laterale, che richiede la capacità di far ridere anche di faccende dure, delle cose assurde che accadono intorno a me. La sento nelle mie corde e credo di avere delle cose da dire, mi è capitato un paio di volte di esibirmi, ma sono due percorsi troppo diversi, non voglio creare aspettative in chi mi segue e voglio utilizzarla, eventualmente, solo se e quando sarò pronto. Non vorrei che mi si dicesse che sono un bravo cantante, ma un pessimo stand up comedian. Preferisco dedicarmi a una cosa per volta e, in questo momento, la musica è la mia priorità.