News
April 22 2013
Si sono conosciute a settembre sui banchi di scuola. In sei mesi sono diventate inseparabili. Hanno tutto in comune, compresi anno e mese di nascita: giugno 1997. Cresciute nello stesso quartiere di periferia, A. e F. condividono piercing e Facebook, spinelli e brutti voti, la passione per discoteche e centri commerciali, ma anche l’attrazione pericolosa per il mondo ambiguo che ruota intorno alla stazione di Udine, con i suoi traffici di piccolo spaccio e delinquenza minuta. In comune hanno finito con l’avere anche una conoscenza: un ferroviere in pensione, Mirco Sacher, amico da vent’anni della nonna di A., paziente come un vecchio zio e con molto tempo libero. Scapolo, una buona pensione, Sacher a 66 anni era un uomo tranquillo, con una vita scandita dal tran tran di caffè e chiacchiere al bar, tajut e spritz all’osteria e, d’estate, qualche puntata sulla spiaggia di Grado per prendere il sole.
Tra lui e le quindicenni c’erano 51 anni di differenza. Mezzo secolo che pesa come la distanza fra due mondi. Per poco più di quattro ore, domenica 7 aprile, a Udine, quei due mondi sono rimasti a stretto contatto, passando da una gelateria a un supermercato, dalla casa del ferroviere a un frequentatissimo prato di periferia. Lì, di colpo, sono entrati in collisione. Come e perché, non si capisce ancora. È finita con Mirco Sacher buttato a terra, supino, un cadavere senza documenti ai margini del prato, nel primo pomeriggio, con sette costole sfondate, la carotide schiacciata, la camicia in disordine, la cintura slacciata, la zip dei pantaloni aperta e le mutande tirate un poco giù.
E le quindicenni in fuga prima sulla macchina di lui, poi in treno, in una corsa per centinaia di chilometri tra Friuli e Veneto, ma avendo cura di prendere il bancomat di Sacher, chiuderlo in borsetta e utilizzare il telefonino di lui. Una fuga iniziata alle 15.30 e conclusa alle 2 del mattino, quando A. e F., infreddolite e senza un soldo, accompagnate dal padre di un ragazzo appena conosciuto, si sono presentate al portone della caserma dei carabinieri di Pordenone e hanno raccontato di essersi difese da un uomo che voleva violentarle, di avergli stretto il collo, standogli addosso in due, di averlo lasciato a terra, viola in viso, e di essere fuggite sulla sua macchina, con A. alla guida, incapace di fare retromarcia ma abilissima nell’entrare e uscire dalle autostrade.
Un racconto che la Procura dei minorenni di Trieste e la Squadra mobile di Udine stanno verificando pezzo per pezzo. Perché A. e F., accusate di omicidio preterintenzionale e chiuse in una struttura protetta, a volte si contraddicono o hanno vuoti di memoria. E l’ipotesi di un delitto d’impeto, per sottrarsi a una violenza, contende il campo all’idea di una messinscena per mascherare l’esito imprevedibile di una lite per una truffa, addirittura per un’estorsione. «È un grande puzzle. Occorre capire il movente» dice il procuratore minorile di Trieste Dario Grohmann. E il capo della Squadra mobile di Udine, Massimiliano Ortolan, completa: «Di quel puzzle abbiamo piccoli pezzi, che non riusciamo ancora a mettere in ordine. L’impressione è che le ragazze abbiano detto una parte di verità, ma che non l’abbiano detta fino in fondo». Di mezzo c’è la sorte di due minorenni, che gli avvocati Federica Tosel e Luigi Francesco Rossi definiscono «due bambine», e l’onore di un uomo che il legale della famiglia Sacher, Valerio Toneatto, descrive come un generoso, vittima forse di due adolescenti cresciute troppo in fretta.
Sullo sfondo, due mondi. Quello di Mirco Sacher, racchiuso nel modesto appartamento al terzo piano di una palazzina popolare, non lontano dai binari della ferrovia, dov’era andato ad abitare dopo la morte della madre e dove, a mezzogiorno di quella domenica fatale, ha preparato per le due quindicenni un piatto di pasta al tonno. Un appartamento con le tendine alle finestre e, sul balcone, non un fiore e nemmeno la parabola. Da quella casa, Sacher, tarchiato e corpulento, usciva ogni mattina alle 8. Saliva in macchina, una vecchia Fiat Punto bianca a due porte, e percorreva il centinaio di metri fino all’osteria Da Fusar. Lì si fermava a bere il caffè, a leggere i giornali chiacchierando di calcio e di politica, a guardare i pensionati che giocavano a carte. Vizi non sembrava averne: non giocava al lotto né alle macchinette. E con sorpresa il tabaccaio che gli vendeva ogni settimana un pacchetto di Milde Sorte lunghe ha scoperto in questi giorni che da quarant’anni Sacher aveva smesso di fumare.
Nella sua casa, dopo il delitto, i poliziotti non hanno trovato film hard né riviste porno, solo gli estratti conto di un gruzzolo di quasi 150 mila euro, in un conto intestato al nipote, figlio della sorella. Da quel conto, con il bancomat, Sacher prelevava con una certa frequenza piccole somme. La polizia ha controllato gli estratti conto fino al gennaio 2012: i prelievi sono costanti, regolari.
Anche l’ultimo giorno della sua vita, nella prima domenica di sole di una piovosa primavera, Sacher ha preso il caffè e prelevato 150 euro, alle 9 del mattino. Un’ora e mezzo dopo, con la sua macchina, è andato a prendere A. e F. Una delle ragazze ha raccontato che erano state loro a chiamarlo, chiedendogli un passaggio per la stazione; l’altra sostiene che l’hanno incontrato per strada, ma guarda caso proprio sotto la casa di F. dove le amiche, offese perché venerdì sera i loro genitori avevano vietato loro di andare in discoteca, avevano dormito insieme, la notte del sabato.
Non c’era nulla di insolito nella richiesta di un passaggio, ma come si spiegano le quattro ore insieme del pensionato con due irrequiete adolescenti? A. aveva due anni quando per la prima volta aveva incontrato Sacher. I suoi genitori si erano appena separati e la madre, oggi impiegata in un’impresa di pulizie, era tornata con l’unica figlia nel quartiere dove viveva la nonna paterna della bambina, a Udine est, zona di casermoni popolari, con un passato di degrado. Grande amico della nonna di A., che aveva conosciuto sulle piste da ballo, Mirco Sacher la andava a trovare di frequente, aveva fatto da padrino di battesimo a un nipote della donna e si prestava volentieri ad accompagnare A. e il cugino in palestra o in centro. Non aveva fatto mancare la sua amicizia alla famiglia neanche quando A. si era ritrovata coinvolta in una brutta storia.
Fidanzata a 14 anni con un rom maggiorenne, era con lui quando il ragazzo, con un pretesto, aveva convocato a Udine un suo ex compagno, conosciuto in una comunità per figli di famiglie disagiate, lo aveva picchiato, rubandogli il telefonino, gli aveva ordinato di prelevare soldi al bancomat e gli aveva intimato di tornare dopo due giorni, con altri soldi, minacciando di rivelare la sua omosessualità. Accusato di estorsione, il giovane rom è in carcere dal marzo scorso. A. ha fatto in tempo ad avere un’altra storia, con un ragazzo di Grosseto al quale, domenica scorsa, ha annunciato che stava correndo da lui, con la sua amica F. al seguito. Su Sacher, non una parola. Orfana di madre, due fratelli maggiori, un padre cuoco, F. da sei mesi viveva in simbiosi con A. Si erano conosciute iscrivendosi a un istituto professionale per diventare estetiste o parrucchiere. Per far pratica, F. si era tinta i capelli di arancione. Avevano rimediato gli stessi cattivi voti e i richiami della scuola. A. frequentava due giorni su tre. F. era stata sospesa per avere usato uno spray urticante in corridoio. Bravate da adolescenti. Nulla a che vedere con un omicidio. «Perché non siete fuggite prima? E perché con la macchina?» ha domandato ad A. l’avvocato Tosel. Risposta: «Avevamo paura che gli trovassero il nostro dna sul collo».