La Treccani ripubblica le fiabe di Giambattista Basile
«È la prima volta che artisti di questo livello lavorano assieme allo stesso progetto editoriale, illustrando un capolavoro letterario». Pasquale Basile è orgoglioso dell'omaggio che ha tributato al suo antenato, quel Giambattista Basile che nel Seicento inventò la letteratura dell'infanzia. Autore del libro Lo cunto de li cunti, Basile, un condottiero per la Repubblica di Venezia amico di Caravaggio poi diventato letterato, ha fatto da apripista a tutti gli scrittori di fiabe. Dai Fratelli Grimm a Charles Perrault a Ludwig Tieck, in tanti hanno attinto a man bassa alle favole di Basile, che scrisse la prima versione di pietre miliari come Cenerentola, Il gatto con gli stivali, Rapunzel e Hansel e Gretel. Oggi, a 387 anni dalla prima pubblicazione, il libro Lo cunto de li cunti torna sugli scaffali. Stavolta però si tratta di un'edizione illustrata. A riproporre oggi l'opera di Giambattista Basile è la Treccani, che ha appena pubblicato un'antologia dell'antico libro, facendone la punta di diamante dei suoi volumi di pregio, come mostra la pubblicità apparsa a piena pagina sul Corriere della sera il 6 novembre. Illustrato da cinque grandi artisti contemporanei, il volume è stato stampato in sole 149 copie in un grande formato (34 per 48 centimetri) e su carta di pregio: Wild natural di Cordenons. Per un costo che la Treccani preferisce non divulgare, ma che secondo quanto ha scritto Il Mattino di Napoli sarebbe di 5.000 euro a copia. Un'edizione gioiello, che è stata fortemente voluta da Pasquale Basile. Il discendente del padre delle fiabe moderne è un aristocratico napoletano appassionato di arte contemporanea che vive ancora nel palazzo di famiglia di Giugliano, la città alle porte di Napoli dove Giambattista nacque, nel 1566, e morì, nel 1632. Panorama lo ha intervistato.
Come le è venuta l'idea di questo libro?
«Un mio amico storico era Sol LeWitt, il padre dell'arte concettuale al quale faccio riferimento anche nella mia presentazione. A fine anni Novanta LeWitt era venuto a Napoli per controllare l'andamento della realizzazione da parte dei suoi assistenti di un suo wall drawing, uno dei tanti affreschi murali che ha fatto nel capoluogo campano. E una sera al ristorante, parlando di Giambattista Basile, mi è venuta l'idea di far illustrare agli artisti di oggi le sue fiabe».
E LeWitt si era entusiasmato?
«Sì, si era entusiasmato all'idea. E la cosa mi ha colpito molto, perché lui faceva un tipo di arte geometrica, lineare, non figurativa. Non so come avrebbe potuto interpretare le fiabe di Basile. Questo rimane un mistero, perché poi purtroppo è morto».
Quando?
«L'8 aprile 2007. Era il giorno di Pasqua. Tra l'altro, era appena terminata la realizzazione del suo ultimo ciclo di opere nella casa di famiglia della moglie, che è di origine di Praiano, in Costiera amalfitana. Io ho avuto la notizia a Salisburgo, al festival di Pasqua».
Quindi l'idea è molto vecchia?
«Sì. All'epoca non la realizzai, perché alcuni progetti procedono a rilento. Però mi è rimasta sempre in mente... Nel 2015 ero a Roma e andai a trovare il direttore generale della Treccani per parlargliene. Si mostrò interessato fin da subito».
Bray?
«Sì, Massimo Bray. In realtà c'era un altro editore molto prestigioso interessato, ma ai miei occhi aveva un difetto: non era italiano. Io volevo realizzare il mio progetto in Italia, per l'orgoglio italiano. E devo dire che la Treccani ha fatto un lavoro eccellente».
Bray accettò subito?
«Sì, sì. Subito. E il libro fu programmato per entrare nella collana dei volumi di pregio della Treccani. La mia referente era la dottoressa Loredana Lucchetti, con la quale ho lavorato a stretto contatto, anche se a distanza. In quel periodo vivevo a Mosca e da lì ho portato avanti il progetto. Anche con gli artisti ho alternato incontri fisici e lavoro a distanza. Quello che era difficile era bilanciare artisti con sensibilità diverse, stili diversi, estetica diversa... Dovevo poi conciliare lingue e Paesi in cui Basile avesse avuto una fortuna maggiore rispetto ad altri».
Il risultato?
«Alcuni artisti fra i più importanti di cinque Paesi e cinque lingue diverse hanno illustrato un racconto per ognuna delle cinque giornate in cui è diviso il Cunto de li Cunti, che in italiano si chiama Pentamerone».
Chi sono gli artisti coinvolti?
«Sono i russi AES+F, il tedesco Markus Lüpertz, l'italiano Mimmo Paladino, l'americana Kiki Smith e lo spagnolo Miquel Barcelò. Le traduzioni dei Cunti in italiano sono state fatte da Roberto de Simone. In ogni giornata ci sono 10 fiabe raccontate da cinque vecchie, con particolari grotteschi, che sono un contraltare del Decamerone».
Basile si ispirò a Boccaccio?
«Solo nella struttura, cioè nella divisione in giornate. Il libro si rifà assolutamente alla tradizione favolistica orale. Basile per la prima volta scrive una versione letteraria di fiabe che fino a quel momento erano state tramandate oralmente, di generazione in generazione. Nel suo Cunto ci sono le prime versioni di fiabe famosissime, come Cenerentola, ripresa da Charles Perrault qualche decennio dopo, visto che Perrault era bambino quando Basile è morto».
Dunque è certo che Perrault copiò Basile?
«Le fiabe di Basile ebbero un grande successo presso le corti europee ed è molto probabile che Perrault le avesse lette. Sicuramente le lessero e in molti casi letteralmente tradussero i fratelli Grimm. Che però non plagiarono Basile: non nascosero mai di conoscere Basile, che consideravano un grande maestro. Gli scrittori tedeschi dicevano apertamente di riportare materiale esistente. Siamo noi ad attribuire loro fiabe in realtà riprese da Basile. Non sono stati loro a dirlo: i fratelli Grimm si presentavano come raccoglitori di fiabe, non come creatori».
Quali altre fiabe scrisse Basile?
«Oltre a Cenerentola (che l'autore chiama La gatta cenerentola), c'è Il gatto con gli stivali (che intitola Cagliuso), la Bella addormentata nel bosco (per il mio antenato Sole, Luna e Talia). Poi c'è Rapunzel (Petrosinella per Basile), che ha avuto una grande diffusione nei Paesi di lingua tedesca. Per questo nel libro pubblicato dalla Treccani l'ho fatta illustrare dal tedesco Markus Luepertz. Queste favole sono le più celebri. Ce ne sono altre, tutte in qualche modo riprese in seguito, anche se quelle che hanno avuto più successo sono quelle poi note come Cenerentola, Il gatto con gli stivali, la Bella addormentata nel bosco e Rapunzel».
In tutto le favole sono 50, vero?
«Sì. Io ne ho scelte cinque. In prima giornata c'è La mortella, illustrata dai russi AES+F. In seconda giornata Petrosinella. In terza giornata c'è Rosella, interpretata benissimo da Mimmo Paladino, che ha molti echi orientali, del versante sud-orientale del Mediterraneo. In quarta giornata c'è I tre re animali, illustrata dall'americana Kiki Smith. Infine, Ninnillo e nennella, rivissuta dallo spagnolo Miquel Barcelò. Ninnillo e nennella è la prima versione di Hansel e Gretel».
Anche Hänsel e Gretel.
«Già... L'aspetto più interessante di questa tradizione favolistica è che le fiabe, dopo la stesura letteraria di Basile, hanno avuto due percorsi. Uno è quello letterario che è continuato attraverso Perrault, i Fratelli Grimm e Ludwig Tieck, con il Gatto con gli stivali. L'altro percorso è quello di tradizione orale, continuato fino ai nostri giorni. O, meglio, fino ai giorni dei nostri nonni. Perché le fiabe di Basile venivano ancora raccontate dalla tata di mio nonno, Maria Grazia, a mio padre e alla sue sorelle. E le sorelle di mio nonno le hanno raccontate anche a me, quand'ero piccolo. Vivevamo tutti nel palazzo di famiglia, proprio a fianco alla chiesa dove Giambattista Basile fu battezzato».
Ma queste fiabe venivano raccontate solo all'interno della famiglia Basile?
«No, no: le raccontavano tutti. Io mi ricordo che i miei compagni di scuola le conoscevano. Quei racconti facevano parte della tradizione orale. La tata Maria Grazia, e le nonne dei miei amici, erano donne della civiltà contadina che ancora non aveva perso il valore della tradizione orale. Poi si è interrotto tutto con la scomparsa delle lucciole».
Per citare Pier Paolo Pasolini...
«Esatto. Con la scomparsa delle lucciole, con l'industrializzazione massiccia, con l'omologazione e soprattutto con l'arrivo della televisione, i valori e i riti della tradizione contadina sono scomparsi. Per fortuna negli anni Sessanta Roberto De Simone, che nel libro della Treccani ha tradotto i Cunti, raccolse con un registratore le testimonianze dei contadini che erano gli eredi di questa tradizione millenaria. Per questo motivo ho scelto artisti non troppo giovani. Io volevo interpreti che avessero vissuto sulla propria pelle l'esperienza dell'antica civiltà contadina».
Quindi con che criterio ha scelto gli artisti?
«Sicuramente con quello della lingua e del Paese. Questo era un criterio fondamentale: dopo Pinocchio, l'opera di Basile è forse la più tradotta della letteratura dell'infanzia italiana. L'altro elemento è stato la fascia anagrafica. Infine gli artisti dovevano essere diversi fra di loro: volevo interpretazioni diverse, anche molto lontane una dall'altra».
Lei ha un figlio di 10 anni, Antonio. Gli avrà sicuramente letto le fiabe del vostro antenato...
«Non solo gliele ho lette, ma gli ho anche dedicato il libro».
E gliele ha lette in napoletano?
«Io con lui parlo in napoletano, ma la versione napoletana di Basile è troppo difficile da capire, anche per un adulto, perché è un napoletano del Seicento. Quindi gli ho letto le fiabe in italiano».
Gallery: le illustrazioni delle fiabe di Basile nel volume Cunto
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