Lifestyle
November 11 2012
di Giuseppe Frangi
Due capolavori, anzi uno. Potrebbe essere questo il titolo dell’intricata e curiosa storia di una celebre opera che Giambattista Tiepolo dipinse verso il 1740 e che meno di un secolo dopo venne tagliata, per ricavarne appunto quelle che oggi sembrerebbero due opere del tutto distinte e perfettamente compiute.
Da una parte una grande rappresentazione di un episodio biblico, Mosé salvato dalle acque, oggi conservata al museo di Edimburgo; dall’altra un Alabardiere, un vero gioiello che fa parte del museo Marella e Gianni Agnelli, a Torino. In teoria, non ci fossero delle inconfutabili prove documentarie, sarebbe difficile anche per l’occhio acuto di un detective sospettare che queste due tele fossero una cosa sola. Troppo diverse sono le proporzioni delle figure, con l’alabardiere che dovrebbe fare da comprimario e che invece giganteggia rispetto ai veri protagonisti dell’episodio biblico. Inoltre Tiepolo, per dipingere quest’opera, si era ispirato a un prototipo realizzato quasi due secoli prima da Paolo Veronese, e oggi conservato a Digione: in quel "modello" attorno al Mosé bambino appena salvato dalle acque del Nilo non c’era nessuna figura a fungere da presidio armato. Quell’aggiunta era, insomma, tutta farina del sacco di Giambattista Tiepolo, come documenta, senza possibilità di appello, una copia antica del quadro, oggi attribuita al figlio stesso di Tiepolo, Giandomenico, e conservata a Stoccarda. La notizia è che dal 17 novembre (fino al 1° aprile 2013) tutti i pezzi di questo affascinante puzzle verranno radunati al Castello di Udine, per una mostra (dal titolo I colori della seduzione. Giambattista Tiepolo e Paolo Veronese, con opere su tela dei due maestri oltre a un gruppo di loro fogli prestati da diversi musei internazionali, informazioni su www.udinecultura.it ) che al centro vedrà ovviamente la spettacolare riunificazione, dentro un’unica cornice, del capolavoro smembrato.
Chiarita la vicenda, resta ancora senza risposta la domanda centrale: perché quella grande tela di Tiepolo venne tagliata? Si potrebbe pensare che fosse troppo grande con i suoi oltre 4 metri di base, adatti al palazzo veneziano di Andrea Antonio Giuseppe Corner, a cui era originariamente destinata, ma fuori misura per pensare di piazzarla nella magione di qualche collezionista d’Oltremanica, com’era nei piani del console-mercante inglese a Venezia, sir James Wright. Questa è l’ipotesi più terra terra. In realtà qualche anno fa due grandi studiosi, Svetlana Alpers, americana, e Michael Baxandall, inglese, avevano scritto un affascinante libro (Tiepolo e l’intelligenza figurativa, pubblicato in Italia da Einaudi) in cui formulavano un’ipotesi ben più intrigante. A loro giudizio proprio la mutilazione di quest’opera era il sintomo dell’incapacità di recepire la grandezza dell’artista veneziano. Secondo Alpers e Baxandall la critica ha quasi sempre schedato Tiepolo come un grande epigono della tradizione veneziana, contrapponendolo a Francisco Goya, il genio aperto sulla modernità. Invece, proprio il quadro mutilato, se riproposto nella sua integrità, mette in discussione questo luogo comune, rivelando la straordinaria modernità linguistica del pittore veneziano. Tiepolo, spiegano, è il primo artista a concepire quadri che non abbiano un unico punto da cui essere osservati e a obbligare così chi guarda a muoversi per seguire lo sviluppo del dipinto. La figura dell’alabardiere con lo straordinario paesaggio di montagne innevate, così come si vedevano da Venezia nei giorni tersi, ha proprio questa funzione strategica di lasciare il quadro, e quindi anche il nostro sguardo, senza un centro. Quella di Tiepolo è la prima pittura in movimento, che per svelarsi non chiede solo i nostri occhi ma anche i nostri passi.