Televisione
November 01 2021
Non poteva che essere un battutista granitico e fulminante come Giancarlo Magalli il conduttore di Una parola di troppo, il nuovo game show di Rai2 al via da lunedì 1° novembre, in onda da lunedì al venerdì alle 17.15. Dopo aver inventato alcuni dei giochi più famosi della tv – a cominciare dagli iconici fagioli della Carrà –, passa dall'altra parte della barricata e ne presenta uno, incentrato su anagrammi, lingo e giochi di parole che diventano il pretesto per raccontare curiosità sulla lingua italiana. Una sorta di Parola mia 2.0, ma con il più il sarcasmo e l'ironia di Magalli che, come rivela a Panorama.it, proprio a causa di una parola di troppo si bruciò la conduzione di Sanremo.
Magalli, per lei è quasi un ritorno alle origini: dopo aver inventato decine di giochi e quiz come autore, ora ne conduce uno. Contento?
«Ha ragione, è un ritorno alla mia infanzia televisiva, respiro la stessa atmosfera di quei tempi felici. Sono contento, per me è modo per riprendere fiato: ho staccato da un programma, I fatti vostri, che ho amato molto ma che dopo trent'anni era giusto lasciare».
Una parola di troppo gioca con la lingua italiana. Cosa l'ha divertita nel farlo?
«Il clima, il rapporto con i concorrenti e poi l'idea di base del quiz: le tre coppie in gara dovranno affrontare anagrammi, lingo e tentare di scoprire parole nascoste. Le domande diventano il pretesto per raccontare storie e curiosità sulla lingua italiana e sono giochi facili che si possono fare anche a casa».
Andare in onda alle 17.15 non è semplice vista la fascia iper affollata. Paura per gli ascolti?
«Di solito dire "non temiano gli ascolti" è un alibi orrendo: chiunque fa tv li teme. La verità è che sappiamo quanta gente c'è davanti alla tv a quell'ora e in quella fascia Rai2 più del 2 e 3% di share non si fa. Già fare il 4 o 5% sarà una vittoria».
C'è stato un momento in cui quando le cose non funzionavano o i conduttori lasciavano un programma, la chiamavo in soccorso. Il caso più clamoroso fu Fantastico, dopo l'addio di Montesano. Rai2 l'ha chiamata per rianimare una fascia in affanno?
(ride) «Ero il pronto soccorso Magalli e onestamente è stato anche un motivo di vanto visto che poi quando arrivavo io le cose andavano bene. In questo caso non mi chiamano per quello: il direttore Di Meo ha capito il mio desiderio, ho chiesto di lasciare I fatti vostri e mi han proposto un altro progetto».
La preparazione media dei concorrenti com'è? Perché sempre più spesso sembra che gli autori dei quiz ne scelgano alcuni solo per il gusto di far diventare virali sui social i loro errori.
«Per alcune trasmissioni può accadere: gli sfondoni sono normali, qualche volta fanno ridere ma più spesso deprimono. In Una parola di troppo la cultura enciclopedica non serve, basta fare un casting serio e trovare chi conosce bene l'italiano».
A proposito di Una parola di troppo: lei quante ne ha dette nella sua vita? «Magalli per il gusto della battuta non si frena e questo gli procura molto danno», disse Michele Guardì.
«Sicuramente ho il gusto della battuta e l'immediatezza della battuta non ti fa riflettere sulle conseguenze. Lucio Presta una volta mi disse: "Tu per una battuta venderesti tua madre". Ci pensi dopo a quello che hai detto, soprattutto quando vedi una tua freddura amplificata o distorta dai social».
Le è capitato spesso?
«Decine di volte, anche di recente per una cosa che ho detto su Salvo Sottile: una frase che voleva essere una dimostrazione d'affetto nei suoi confronti è diventata "Magalli spara contro Sottile". Una battuta innocua diventa una tragedia e viene amplificata dal clickbaiting e dalla volontà di alcuni giornalisti di alterare le cose».
C'è stata una volta in cui una parola di troppo le ha bruciato un'occasione lavorativa?
«La più clamorosa fu il Festival di Sanremo. Negli anni '90 me lo propose il Comune di Sanremo e la Rai disse di sì ma i discografici si opposero: "Magalli fa troppe battute, ci distrugge l'immagine dei cantanti". E siccome a Sanremo i discografici ovviamente condizionano le scelte, la mia conduzione saltò. Ci faccia caso: nella storia di Sanremo, Baudo e Mike hanno fatto tredici Festival, Corrado che era un campione assoluto di ironia, una sola».
Però poi lo condussero anche Vianello e Bonolis, altri due con un gran gusto per le battute.
«Ma il patto qual era? Che si portassero la "vittima" da casa: Chiambretti aveva la Marini, Vianello la Pivetti – e rischiò pure la querela da Ivana Spagna, che poi la ritirò – e Bonolis aveva Laurenti. Ma non ho rimpianti: Sanremo è come la prima notte di nozze, se lo fai male se lo ricordano per tutta la vita».
Dunque, il Festival non è più tra i suoi sogni?
«No. E non lo dico per la solita storia de la volpe e l'uva».
Torniamo a I fatti vostri. Le manca andare in video tutti i giorni?
«Ma da oggi sarò di nuovo in video tutti i giorni. Comunque no, non mi è mancato. Ho riconquistato le mattine, dormo un po' di più, faccio cose che prima non facevo».
Sia sincero: l'addio al programma è stato sereno o con Guardì ci sono state frizioni?
«Nessuna frizione, siamo amici da quarant'anni, si figuri. Ha capito benissimo la mia scelta e sa quanto è altro il livello di affezione al programma».
E quando ha saputo che a sostituirla sarebbe stato salvo Sottile, cos'ha pensato?
«Ero felice che a farlo ci fosse uno bravo. Ho stima di Salvo e nonostante le scemenze lette in giro, non c'è mai stata rivalità».
Dopo l'addio a I fatti vostri è arrivato il quiz, poi c'è Il Collegio - di cui è voce narrante - e tra poco anche Don Matteo. Sta vivendo una seconda giovinezza professionale?
«E continuano a propormi altre cose, dagli show di Rai1 al Festival della canzone di Napoli. È una soddisfazione e mi diverte pure questo sovraffollamento. Per anni ho pensato: "Ma perché non mi offrono altro?". Pensavo non credessero più in me. In realtà semplicemente non ci chiamavano perché stavo lì otto mesi l'anno».
Rimpianti per i treni persi?
«L'unico fu Don Matteo, quando mi offrirono il ruolo del protagonista prima di Terence Hill. Ma non me la sono sentita di lasciare la famiglia e una figlia piccola».
Il cerchio si chiude però: nella prossima stagione di Don Matteo sarà il vescovo consigliere di Raoul Bova.
«Ed è una sorpresa capitata all'improvviso. Dovrei iniziare a girare tra qualche settimana, intanto mi stanno prendendo le misure per la tonaca. Dal primo copione che ho letto, sarò un vescovo bonario, ironico e saggio».
Le piacerebbe girare altre fiction?
«Non credo mi chiameranno per fare Gomorra, ma spero in altri ruoli perché recitare mi piace».
Tra i suoi compagni di liceo, all'Istituto Massimiliano Massimo, severa scuola romana retta dai gesuiti, c'erano anche Montezemolo e Mario Draghi. Che impressione le fa vederlo ora a Palazzo Chigi?
«Era il primo della classe e continua ad esserlo. Vinceva tutti i premi, dalle gare di matematica a quelle di atletica. Sta vincendo pure adesso, anche se deve vedersela con compagni di banco molto peggiori di quelli che eravamo noi all'epoca. Noi eravamo affettuosi, avevamo simpatia per lui: oggi alcuni al Governo sono sinceri, altri meno. Ma Draghi è molto abile a schivare le palle avvelenate».
Vi siete sentiti in questi anni?
«Ci siamo scritti qualche volta, ma frequentiamo ambienti molto diversi ed è difficile vedersi. Gli ho scritto ogni volta che ha raggiunto un traguardo importante e lui risponde sempre affettuosamente. Spero di poterlo vedere quando il Covid sarà finito così potremo abbracciarci».
In Rai sono già tutti draghiani?
«Ufficialmente lo sono tutti. Tutti lo stimano e lo amano. Ma la Rai da sempre va nella direzione in cui soffia il vento della politica. Spesso poi un semplice venticello diventa burrasca».
E lei resiste alle burrasche da quarant'anni. Come ha fatto?
«Per sfottere la lottizzazione, una volta si diceva che in Rai dovessero assumere un democristiano, un socialista e uno bravo: io sono sempre stato inserito nella categoria dei bravi. Non mi è mai stato chiesto di che partito fossi: da me si aspettavano i risultati».
Eppure ha avuto scontri epici con direttori generali e di rete.
«Sì, ma mai per motivi politici. Uno dei più clamorosi fu con Agostino Saccà: gli salvai la vita prendendo in mano Domenica In a un mese dall'inizio, con Tullio Solenghi, e gli risparmiammo un fiasco clamoroso. Si impermalosì per delle battute, ci furono degli screzi e l'anno dopo, nonostante il successo, non ce la fece rifare».
Anche con Fabrizio Del Noce i rapporti furono tesi.
«Lui arrivò e fece la strage degli innocenti: tolse tutti i big dal video, da Raffaella Carrà a Pippo Baudo e Fabrizio Frizzi. Nel gruppo c'ero pure io. Però posso dire di essere sopravvissuto anche a lui.
A proposito di Fabrizio Frizzi, mi dice il ricordo indelebile che ha di lui?
«L'eco della sua risata. Io lo facevo molto ridere, si sganasciava per le mie freddure buttando la testa all'indietro. E poi lui dava gioia agli altri, non c'erano mai tensioni. Eravamo molto amici e mi spiace solo di aver lavorato poco assieme. L'ultimo messaggio che mi scrisse fu: "Spero di portare a casa la pellaccia". Pochi giorni dopo morì. Ogni tanto me lo leggo e piango senza freni».
Mi dice il suo grande sogno professionale ancora da realizzare?
«Ho realizzato molti più sogni di quanti ne avessi. Non mi fermo a immaginarne altri. Mi sono tolto anche lo sfizio di fare gli ultimi scampoli di varietà con programmi come Papaveri e papere e Mille lire al mese, entrambi firmati da Guardì. Oggi sono show irripetibili, perché costano troppo e perché spesso lo sforzo produttivo non è ripagato dagli ascolti. Ha visto cos'è successo a Cattelan…lo sa che avevo previsto pure gli ascolti? Ho sbagliato di 100 mila spettatori».
Il flop di Da Grande come se l'è spiegato?
«Per chi conosce Rai1 e il suo pubblico era tutto prevedibile. L'hanno mandato allo sbaraglio e per quanto lui sia bravo, non sono servite neppure le contaminazioni, come la voce del Comitato o la Clerici ospite. Quando spari nel gruppo, non centri il bersaglio. Lui deve fare quello che sa fare, ovvero Eppc in seconda serata, farsi conoscere e poi passare in prima serata».