News
November 17 2020
Carlo Giovanardi è stato rinviato a giudizio diretto dalla Procura di Modena per le presunte pressioni che l'ex ministro per i Rapporti con il Parlamento ed ex senatore del centrodestra avrebbe fatto nel 2016 sulla prefettura e su due ufficiali dei carabinieri, a favore di alcune imprese emiliane in odore di 'ndrangheta.
Con il rinvio a giudizio diretto, previsto dal Codice di procedura penale, la Procura è riuscita ad aggirare non solo il passaggio dell'udienza preliminare davanti al Gup, il giudice per l'udienza preliminare, ma soprattutto il voto (imminente) con il quale il Senato avrebbe potuto impedire l'utilizzo probatorio delle intercettazioni sulle conversazioni di Giovanardi, in quanto protette dalle garanzie parlamentari.
L'ex ministro si è sempre dichiarato estraneo a tutte le accuse e rivendica al contrario la piena legittimità della sua attività politica contro lei nterdittive antimafia dei prefetti, in quanto strumento brutale e capace di devastare imprenditori e aziende anche in assenza di un'inchiesta giudiziaria (anche i radicali lo sostengono da anni).
Ora Giovanardi contesta anche la regolarità del rinvio a giudizio immediato e annuncia che solleciterà l'intervento della Corte costituzionale.
Secondo la Procura di Modena, Giovanardi avrebbe aiutato un'impresa edile, la Bianchini Costruzioni, a rientrare nella «white list» provinciale dopo che un'interdittiva antimafia del prefetto l'aveva esclusa dagli appalti pubblici per la ricostruzione dopo il sisma del 2012 in Emilia-Romagna. L'imprenditore Augusto Bianchini è stato poi condannato in primo grado a nove anni e dieci mesi di reclusione nel processo Aemilia, celebrato contro la 'ndrangheta a Reggio Emilia. In quel procedimento, nel maggio 2017, era stato notificato un avviso di garanzia anche a Giovanardi: l'ex ministro era stato accusato di aver minacciato due ufficiali dei carabinieri, gesticolando e parlando ad alta voce in un bar diModena, e di avere addirittura minacciato un corpo politico amministrativo (la prefettura di Modena).
«Il magistrato» spiega Giovanardi «si era rivolto alla Corte costituzionale chiedendo di poter utilizzare liberamente le intercettazioni captate sul mio telefonino, ma laConsulta gli ha dato torto, sentenziando che le intercettazioni di un parlamentare che si ritengono indispensabili vanno richieste alla suaCamera di appartenenza, e in caso contrario vanno distrutte. Tengo a'precisare che questo è un principio fondamentale, che serve non tanto a tutelare me, quanto il ruolo del Parlamento».Dopo quella decisione, la giunta per le autorizzazioni del Senato ha discusso il caso Giovanardi e poi l'ha trasmesso all'aula per la decisione definitiva. Nel frattempo, ricorda l'ex parlamentare, «io sono stato convocato dai pm del Tribunale di Modena, cui è stata trasferita l'inchiesta dopo che è stata tolta l'aggravante mafiosa». Ai magistrati modenesi, Giovanardi ha fatto presente che il Parlamento deve ancora decidere sulle intercettazioni, e che la Procura dovrebbe inviare al Senato anche la richiesta di utilizzazione delle conversazioni che Giovanardi aveva avuto a suo tempo con l'imprenditore Bianchini, e che quest'ultimo aveva registrato di nascosto. Non c'è differenza, del resto , tra le intercettazioni disposte dalla magistratura e quelle carpite da privati.
«Ho poi consegnato ai magistrati inquirenti anche il promemoria che ho presentato alla Giunta per le autorizzazioni» aggiunge Giovanardi «dove ricordo le decine di mie interpellanze, gli interventi in aula e nelle commissioni Giustizia e Antimafia sul tema delle interdittive, molte delle quali riguardavano proprio imprese del mio territorio di elezione».Nonostante tutto questo, lamenta l'ex parlamentare, «mi ritrovo adesso rinviato a giudizio, senza il vaglio dell'udienza davanti al Gup, senza attendere la decisione del Senato e con una Procura intenzionata a utilizzare le intercettazioni carpite fraudolentemente».
Giovanardi annuncia che chiederà di essere nuovamente udito dal Senato per sollecitare la necessità di inviare la questione alla corte Costituzionale per conflitto di attribuzioni, in difesa della libertà del Parlamento. «Come ministro e sottosegretario alla presidenza del Consiglio» conclude Giovanardi «ho giurato fedeltà alla Repubblica democratica, nata dalla lotta di Liberazione. Quella nella quale sono i rappresentanti del popolo ad avere il diritto e il dovere di contestare, anche aspramente, gli errori egli orrori burocratici, perché il nostro non diventi uno Stato di Polizia
dove, come al tempo del fascismo, erano i prefetti a controllare icittadini».