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October 25 2024
L’Italia ha perso più di mezzo milione di giovani in tredici anni. Un’emorragia di talenti, di capitale umano che ha un valore di 134 miliardi. Secondo il rapporto “I giovani e la scelta di trasferirsi all’estero” della Fondazione Nord Est, presentato al CNEL, dal 2011 al 2023 hanno lasciato il Paese 550 mila italiani tra i 18 e i 34 anni.
Per ogni giovane che arriva in Italia da Paesi avanzati, otto italiani scelgono di partire. Questo rapporto conferma lo scarso richiamo dell’Italia che è l’ultimo Paese in Europa per attrazione di giovani, accogliendo solo il 6% di giovani europei, contro il 34% della Svizzera e il 32% della Spagna. In più questa “emigrazione intensa e inedita”, come viene descritta nel rapporto, riguarda principalmente laureati e diplomati, per lo più provenienti dal Nord Italia. Oggi sono le regioni settentrionali a perdere talenti, con il 35% dei giovani del Nord pronto a partire alla ricerca di migliori prospettive all’estero.
Le motivazioni che spingono i giovani a trasferirsi fuori dai confini nazionali sono diverse: il 25% è alla ricerca di migliori opportunità lavorative, il 19,2% è attratto da opportunità di studio e formazione, e il 17,1% desidera una qualità della vita più elevata. Sorprendentemente, solo il 10% considera il salario come la motivazione principale, a dimostrazione di quanto la qualità complessiva delle esperienze formative e lavorative sia rilevante per i giovani italiani. La differenza di percezione tra chi parte e chi resta è netta: il 56% dei giovani espatriati si dichiara soddisfatto del proprio livello di vita, contro appena il 22% di chi è rimasto. Anche la visione del futuro cambia radicalmente: il 69% di chi vive all’estero immagina un domani "felice", mentre tra i giovani rimasti in Italia la percentuale scende al 45%.
Emerge dal rapporto che la fuga di talenti non è solo il risultato della disoccupazione, come comunemente si pensa. Anche quando l’offerta di lavoro è presente, le prospettive per i giovani italiani restano limitate da un mercato del lavoro caratterizzato da rigidità, scarsa attenzione alla meritocrazia e poche opportunità di crescita. Gli intervistati denunciano una visione imprenditoriale ancora chiusa e provinciale, incapace di creare un ambiente culturalmente aperto e competitivo. Risultato: chi emigra è più soddisfatto del proprio percorso professionale, ritiene il Paese di accoglienza più meritocratico e si dichiara riluttante a rientrare in Italia.
Le conseguenze di queste fughe si sentono. La perdita di giovani talenti implica anche una perdita economica che, secondo il rapporto, potrebbe ulteriormente aggravarsi. Se le condizioni non miglioreranno, altri 1,4 milioni di giovani potranno fare le valigie nei prossimi anni. “Chi va via sta benissimo, e per convincerlo a rientrare bisognerà lavorare duramente a 360 gradi”, ha dichiarato Luca Paolazzi, direttore scientifico della Fondazione Nord Est. Se non ci saranno cambiamenti strutturali, l'Italia continuerà a vedere il proprio capitale umano scomparire, un esodo che incide sulla crescita economica e mina le fondamenta del Paese.
Per invertire questa tendenza, sarebbe necessario riformare il sistema formativo e creare politiche concrete per incentivare il rientro dei giovani. L’urgenza è quella di “fermare” l’esodo e far rientrare i talenti, per garantire la competitività del Paese.