Violenza, Menendez, Monsters
(ANSA)
Salute

Giovani e aggressività: quando allarmarsi, come intervenire

Violenza, sempre violenza. Non solo degli uomini nei confronti delle donne, ma anche dei giovani contro sé stessi, contro i genitori, contro i fratelli o altri ragazzi loro coetanei. La strage familiare di Paderno Dugnano, dove un diciassettenne ha ucciso i genitori e il fratellino, la barbara uccisione di Maria Campai a opera sempre di un minorenne, hanno acceso un riflettore su questo fenomeno, dietro i quali, spesso si nasconde un problema di droghe sintetiche. Nel frattempo, la serie tv "Monsters", imperniata sulla storia dei fratelli Lyle ed Eric Menendez che uccisero i genitori nel 1989 -dopo un'infanzia segnata dalle violenze sessuali a opera del padre- fa discutere in tutto il mondo. In occasione della giornata della salute mentale, abbiamo intervistato su queste problematiche il professor Andrea Fossati, Preside della facoltà di Psicologia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano e direttore del Servizio di Psicologia clinica e Psicoterapia dell’Ospedale San Raffaele Turro.

Professor Fossati, c’è stata una recrudescenza di queste problematiche dopo la pandemia da Covid 19?

Il problema della violenza tra giovani è un tema presente già nelle cronache degli anni 70, e in verità anche negli anni precedenti. Ciò che colpisce particolarmente è l’incremento generalizzato del fenomeno dell’aggressività disfunzionale e dell’auto-aggressività,che però antecedono il 2020. Sicuramente i numerosi lockdown possono avere rivestito un ruolo alla luce del venir meno dei riferimenti, privando i ragazzi della loro quotidianità, dello sport e dei contesti relazionalipositivi come la scuola: ma il malessere era precedente.

Hanno una loro responsabilità anche i social media?

Chiariamo subito che i social media non sono il male, anzi, sono stati una salvezza durante il lockdown. Ovviamente è importante l’uso che se ne fa, alla luce del fatto che in rete si utilizza spesso un linguaggio irrispettoso e si verificano aggressioni violente, garantite dal relativo anonimato: si perde l’idea, il concetto di avere una persona dall’altra parte. Questi atteggiamenti caratterizzati da mancanza di rispetto e impersonalità, possono successivamente trasferirsi dal linguaggio in rete alla realtà. Alla luce di queste considerazioni, l’aggressività virtuale è un campanello d’allarme da attenzionare.

I genitori, la famiglia: contano ancora qualcosa, o con l’arrivo dell’adolescenza non riescono più a influenzare i ragazzi?

Dipende dai sistemi sociali. Gli studi dei Patterson, che lavorano negli Stati Uniti, hanno sempre sostenuto che dopo gli 11 anni quello che stabilizza o contrasta un comportamento antisociale è il gruppo dei pari. La famiglia non conta più. In Italia non ci sono dati così consolidati, ma le osservazioni ci raccontano una storia un po’ diversa. Da noi i ragazzi restano di più in famiglia, e le famiglie funzionano ancora come punto di riferimento, più che in USA, quindi sì, contano ancora qualcosa. Dobbiamo però anche ammettere che dai 12 anni in poi, noi genitori sappiamo un decimo della vita che fanno i nostri figli: sappiamo solo quello che ci dicono. La nostra posizione nell’adolescenza deve essere una bilancia tra il fare da riferimento -più che da controllo- e il garantire la possibilità di una crescita autonoma. Ricordiamo che l’adolescenza è un’età di perfezionamento dei sistemi di controllo emotivo, identitario, della distanza relazionale; cominciano le prime grandi amicizie, i grandi amori, gli adolescenti devono capire come posizionarsi nelle relazioni e come differenziarle. E’l’età del bilanciamento tra assunzione di rischio e bisogno di sicurezza, tra certezza ed esplorazione.

A volte però i genitori non riescono a recuperare il gapgenerazionale. Come fare?

Occorre mettere in atto un’operazione di sincronizzazione attiva con i figli, ammettendo che non sapremo quasi nulla della loro vita reale, se non quando riescono a “portarcela in casa” e ricordandoci che dobbiamo rappresentare un punto di riferimento, seppur sempre più defilato. Perché possano camminare da soli, sapendo però che ci siamo.Occorre saper far rilevare e prendere atto dell’inappropriatezza del comportamento. E poi, capire fin dove possiamo arrivare noi con il nostro esempio, la modalità educativa, il nostro affetto e dove serve una figura esterna: figure che possono essere molte e diverse, non solo psicoterapeutici o neuropsichiatri.

Occorre molta attenzione per intercettare i primi segnali di disagio?

E’ fondamentale. Mai trascurare i segni. La perdita di controllo può capitare a tutti, spaccare oggetti no, non si deve sottovalutare. Se poi si arriva allo scontro fisico serve un aiuto di sistema, a volte per tutta la famiglia. Se no si rischia che da un piccolo incidente si arrivi a guai di natura penale. Teniamo presente che c’è un mondo di violenza familiare enorme: figli che picchiano padri e madri, non sono pochi nel mondo penale minorile. E molti non denunciano per non “rovinare” i figli mettendoli di fronte a problemi penali. Se un ragazzo comincia a perdere contatto, a non farcela, a non andare a scuola e non riesce ad aprirsi, occorre chiedere aiuto senza vergognarsi. Non vuol dire che il ragazzo è folle, o che sei un genitore fallito. Occorre supporto psicologico, e a volte anche neuropsichiatrico, perché ci sono disturbi dell’umore o altri problemi molto seri che possono esordire nell’adolescenza. Serve molta attenzione.

Un altro problema che impatta fortemente sulla salute mentale è l’abuso di droghe sintetiche. Come comportarsi?

Mai sottovalutare. Non bisogna medicalizzare tutto, ma neanche sottostimare i rischi, perché già i ragazzi tendono a farlo. “E’ solo una canna, che vuoi che sia?”. “E’ un antidolorifico, mica mi farà male”.E poi succedono le tragedie. Noi genitori di oggi abbiamo, in molti, vissuto gli anni Ottanta: all’epoca c’era una grossa reazione moralista nei confronti delle droghe, oggi siamo più attenti a considerarle come una possibile spia di malessere. Dobbiamo stare attenti a evitare visioni ultra moralistiche, e allo stesso tempo non banalizzare, perché un conto è l’effetto delle sostanze sul cervello sviluppato e strutturato, un conto è parlare del cervello degli adolescenti. Sul cervello in via di sviluppo, le droghe vanno a interferire con tutte le linee dopaminergiche e serotoninergiche, cioè con tutto quello che ha a che fare con il controllo delle emozioni, con il comportamento, con l’orientamento nella realtà. La testa, dopo qualche mese i di utilizzo di queste sostanze, come funzionerà? Dobbiamo aiutarli a non perdere mai di vista il momento in cui sentono di perdere il controllo. Quando capiscono che la tigre che credevano di cavalcare, in realtà gli è saltata sulla schiena, e comanda lei, ecco: quello è il momento di chiedere aiuto.

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