Politica
September 19 2022
Panorama.it ha incontrato l’insigne giurista- tra l’altro Emerito di diritto costituzionale a Firenze, già presidente dell’Autorità garante delle comunicazioni- per capire il motivo per cui il tema-giustizia sia letteralmente sparito dalla campagna elettorale.
Professore, di giustizia sembra non occuparsi nessuno in questi giorni...
«Sono rimasto sorpreso per questo silenzio delle forze politiche che, invece, in passato facevano a gara per portarlo al centro della loro agenda. Si tratta, però, solo apparentemente di un silenzio ingiustificato, perché ragionando con calma, fuori dalla vivacità della campagna elettorale, anche il cittadino della porta accanto non impiegherà molto per dare una spiegazione. Che io ho provato a sintetizzare lungo almeno tre direttrici».
Partiamo dalla prima direttrice, allora…
«La prima ragione riguarda la particolare congiuntura entro la quale si svolge questa strana e anomala campagna elettorale, che per la rapidità dei tempi e per la stagione in cui si svolge rappresenta un unicum nella storia costituzionale del nostro paese. A causa di tutte le varie emergenze che si sono incrociate in questa terribile congiuntura, i temi dell’economia -legati al particolare quadro internazionale- hanno finito per prevalere nettamente sui tempi istituzionali, non solo su quello della giustizia».
Al centro dell’attenzione dell’opinione pubblica si situano temi economici.
«Quegli stessi su cui i partiti insistono nella loro campagna: l’inflazione, la recessione, l’occupazione, la crisi energetica, temi dominanti da quasi sette mesi, ovvero dallo scoppio della guerra in Ucraina. Temi dominanti che hanno assorbito e messo in ombra quelli più spiccatamente istituzionali, proprio in particolare quello della giustizia che, ricordiamolo, appare piuttosto complesso per i suoi aspetti tecnici e che, in tutta franchezza, si presta poco all’analisi di una campagna elettorale veloce come quella in corso in questi giorni».
Quelli legati alla giustizia richiedono meritevoli spiegazioni ed approfondimenti «L’opinione pubblica, a causa della stessa rapidità della campagna elettorale in corso, ha avvertito la sensazione di esclusione dal dibattito politico. Insomma, la particolare congiuntura di questa campagna elettorale ha finito per escludere la giustizia dall’agenda politica, circostanza assolutamente impossibile in altre epoche».
Le ha poi individuato una seconda direttrice.
«Questa, sicuramente più sostanziale, riguarda la parallela operatività della riforma Cartabia, ovvero la più incisiva e penetrante normativa che ha riguardato la giustizia dall’avvento della nostra Repubblica: un intervento ancora incompleto, che tocca tutti i settori processuali (civile, penale, ordinamento giudiziario). In realtà le forze politiche hanno già espresso le loro opinioni critiche in sede parlamentare e poiché la riforma va in ogni caso portata a compimento, in quanto legata al noto PNRR, le stesse forze politiche, non se la sentono di prendere posizione definitiva su diritti e interessi legittimi di tale portata».
Tale riforma è stata criticata in sede parlamentare…
«Certo, e nonostante ciò le forze politiche, nel momento della presentazione dei rispettivi programmai elettorali, sono intimamente convinti della necessità di portarla a termine, per rispettare gli impegni assunti in sede europea, pur ovviamente, relegata ai margini dell’attuale dibattito politico. In sostanza, la riforma Cartabia, pur nella sua incompletezza e inoperatività, ha finito per togliere terreno alla dialettica politica, visto che tutte le forze politiche ritengono che questo sia un passaggio da concludere nella sede parlamentare».
Professore, lei ha evidenziato anche una terza direttrice…
«Di natura patologica, direi. Lo scandalo Palamara e la profonda crisi in cui il sistema giudiziario italiano -nella sua componente più spiccatamente amministrativa- sembra essere precipitato, ha creato nelle forze politiche un atteggiamento di maggiore distacco verso i problemi giudiziari. Cioè la preoccupazione delle forze politiche di non presentarsi al corpo elettorale come forze intrusive del corpo della magistratura, dopo gli accadimenti del giugno del 2019».
Intanto i partiti hanno candidato nomi di assoluto spessore. Nel centrodestra Giulia Bongiorno, avvocato in quota Lega e Carlo Nordio, ex procuratore di Venezia candidato con Fratelli d’Italia, sarebbero in corsa per diventare Ministro della Giustizia…
«Eh eh (ride…), perché i vertici dei partiti, nella loro visione totalizzante, pensano ancora di poter condizionare il ruolo decisivo che la magistratura continua ad esercitare in Italia nelle vicende della politica, pur non volendo dichiarare pubblicamente il proprio interesse a mettere le mani nell’intrigata vicenda. E’ questo il senso di tale atteggiamento: i partiti non rinunciano ad operare sottobanco ma non vogliono dichiarare pubblicamente il loro precipuo interesse sul tema».
Nomi autorevoli spiccano anche tra i 5Stelle: l’ex procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato e l’ex procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho.
«Non mi meraviglierei più di tanto, visto che il tema della lotta alle mafie rientra, sin dall’inizio, tra quelli fondativi del Movimento 5Stelle: lotta caricata, inoltre, di elementi legati al tema della moralità della vita pubblica, di cui la stessa magistratura è stata antesignana nel nostro Paese. In questo filone trovo la chiave di lettura della discesa in campo delle personalità in questione. Ripeto, siamo nella fisiologia nella nascita del Movimento: si tratta, in entrambi i casi, di ex pubblici ministeri, figure alle quali l’opinione pubblica ha sempre guardato con occhio moralizzatore».
C’è uno spettro che aleggia sin da ora e che, in caso di vittoria del centrodestra, si materializzerebbe: le leggi ad personam.
«Questa ipotesi, legittimamente sollevata da tutti gli avversari del centrodestra, va ben ponderata. Ho l’impressione che il corpo elettorale italiano, anche attraverso il crescente astensionismo, ha dimostrato un pensiero critico nei confronti sistema politico e uno dei motivi che ha allontanato il corpo civico dal proscenio politico è anche la vicenda delle “leggi personali”: infatti, l’opinione pubblica, non appena annusa la possibilità di leggi votate per un esclusivo interesse di parte, reagisce con disgusto e si allontana ulteriormente dal suo ambiente. E se questo rischio fisiologico ci sia sempre, avverto anche che si stia allontanando a causa di una maggiore consapevolezza del corpo sociale stesso».
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Aretino, classe 1934, Enzo Cheli, primo allievo di Paolo Barile a Siena con cui si laureò nel 1956, è professore emerito di diritto costituzionale all’Università di Firenze. Ha insegnato diritto costituzionale a Cagliari e Siena, dottrina dello Stato alla Luiss di Roma e diritto dell’informazione e della comunicazione al Suor Orsola Benincasa di Napoli, disciplina che lo vede tra i massimi esperti nel nostro Paese. E’ stato giudice costituzionale dal 1987 al 2005 e vice presidente della stessa Corte dal 1995 al 1996, presidente dell’Autorità garante nelle comunicazioni dal 1998 al 2005 e presidente del Consiglio superiore delle comunicazioni dal 2006 al 2010. Nel 2013 ha fatto parte della Commissione di esperti voluta dal presidente del Consiglio Enrico Letta per le riforme costituzionali.