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September 05 2012
Ma è giusto che un indagato venga tenuto in carcere soltanto perché non dà segni di ravvedimento? È giusto tenerlo in cella soltanto perché si ostina a non collaborare con gli inquirenti?
Luigi Lusi, il senatore del Pd ed ex tesoriere della Margherita, da mesi è accusato di aver sottratto alle casse del partito oltre 25 milioni di euro. Ieri il Tribunale del riesame di Roma ha stabilito che deve restare in cella, a Rebibbia. I giudici hanno detto "no" alla richiesta di scarcerazione avanzata dai difensori del senatore.
Nelle motivazioni il tribunale, presieduto da Renato Laviola, esprime un duro giudizio sull’atteggiamento che il senatore avrebbe tenuto in questi mesi di indagini. Per i suoi giudici, Lusi è «ambiguo, reticente e volutamente confuso» e nel corso degli interrogatori con i magistrati inquirenti «non ha mostrato alcuna resipiscenza». Per i giudici, insomma, l’indagato non ha fornito ai pm alcun aiuto per la ricostruzione dei fatti. In parole povere, non confessa. Alla luce di questo quadro indiziario i giudici scrivono che «non c’è allo stato un luogo alternativo al carcere» idoneo a impedire qualsiasi inquinamento delle prove.
Resta il fatto che le motivazioni principali per la conferma della carcerazione sono quelle (passatemi il termine) più «moralistiche»: l’atteggiamento, la reticenza, la mancata collaborazione con gli inquirenti. Passano in secondo piano il pericolo d’inquinamento delle prove, la reiterazione del reato, il rischio di fuga: queli sono i soli tre motivi in base ai quali, secondo il codice, un indagato può essere oggetto di custodia cautelare.
Non è questo il primo caso eccellente che propone clamorosamente la questione dell’assenza di garanzie per l’indagato chiuso in una cella. Le stesse parole vennero usate da altri giudici, anni fa, per Silvio Scaglia, fondatore di Fastweb, tenuto in custodia cautelare (tra carcere e arresti domiciliari) per un anno esatto.
E va detto che forse non è simpatico, Luigi Lusi: la sua figura, per come in questi mesi l’hanno tratteggiata inquirenti e mass media, è anzi assai negativa. Ma questo non basta a giustificare questa giustizia dai tratti etici, a volte quasi medievale. In Italia, oggi, il 42 per cento dei 67 mila reclusi è in attesa di giudizio. La custodia cautelare, negli altri Paesi occidentali, riguarda quote infinitamente inferiori della popolazione carceraria. È una vergogna che va sanata.