Tecnologia
May 19 2016
Non so a voi, ma a me è capitato di essere bambino negli anni ’80, ed essere bambino negli anni ’80 poteva risultare parecchio sfiancante, soprattutto per i genitori. Internet non esisteva, naturalmente, in compenso esisteva la TV commerciale che stava esplodendo proprio in quegli anni, con il risultato che centinaia di migliaia di bambini come me venivano bombardati quotidianamente da immagini e informazioni per comprendere le quali, non potendo affidarsi attivamente a una ricerca web, si affidavano passivamente ai genitori.
“Mamma, cosa significa quipproquò?”, “Dov’è il Burundi?”, “Che film c’è stasera?”, “Mi fai una pizza?” E i genitori, pazientemente, rispondevano (a volte). Per fortuna poi i bambini crescevano e imparavano da soli a cercare risposte ai propri dubbi, a organizzarsi la serata, a sbrigare commissioni. Ma cosa accadrebbe se anche una volta adulti potessero ottenere tutto quello che gli serve senza bisogno di alzarsi dal divano, anzi, senza nemmeno dover sollevare un dito per cliccare su un motore di ricerca?
È il caso di domandarselo perché è questa la direzione verso cui stiamo andando. A rimarcarlo è intervenuto ieri Google, presentando al mondo Home, un assistente vocale per la casa che, in potenza, potrebbe arrivare a farci da genitore, balia e tuttofare.
Tecnicamente, Home è uno speaker ad attivazione vocale, un orecchio sempre drizzato in attesa che l’utente chieda di consultare il calendario, lanciare una canzone, programmare un film, fissare un appuntamento, regolare il termostato o regolare il timer del forno; ma concentrarsi sull’aspetto del nuovo prodotto di Mountain View sarebbe un errore. Dietro questo aggeggio a forma di cono spezzato, infatti, si apre l’articolatissimo universo di Google, fatto di database, algoritmi di ricerca e machine learning, un ecosistema sempre più pervasivo che nel giro di pochi anni potrebbe arrivare a gestire ogni aspetto della vita quotidiana di un utente.
Non dimentichiamo infatti che Google ha un obiettivo ben chiaro all’orizzonte, ed è quello di interconnettere ogni oggetto, ogni dispositivo e ogni persona in un unico internet delle cose. E non è il solo. Poco meno di un anno fa, Amazon ha lanciato ufficialmente sul mercato Echo, un altro speaker nato per diventare il tuttofare digitale di casa. Sulla carta, Echo avrebbe i giorni contati, dal momento che, a differenza di Google, Amazon non può appoggiarsi su un serbatoio di dati sensibili altrettanto grande e su un motore di ricerca altrettanto comprensivo; tuttavia, la partita non si gioca solo sui dati degli utenti, ma anche sulla capacità di coinvolgere sviluppatori esterni, e in questo Amazon è in testa (per dire: negli States è possibile utilizzare Echo per chiamare un Uber o ordinare una pizza da Domino’s).
Nel frattempo, ci si aspetta una risposta imminente da Apple (che da anni sta rodando la sua Siri) e da Facebook (che con Oculus potrebbe rivoluzionare il nostro modo di interfacciarci con i dispositivi digitali).
Il fatto è che a chiunque di questi competitor gioverebbe una situazione in cui l’utente fosse il più passivo possibile, in cui la tecnologia intervenisse a sollevare le persone da ogni minima decisione. Google è solo più avanti degli altri in questo percorso, basti pensare ad Allo, l’applicazione di messaggistica che sbircia le tue conversazioni e interviene allungando informazioni non richieste (qualcosa tipo: “state parlando di andare a vedere il nuovo film di Refn? Ecco il cinema più vicino a entrambi”). Chi tra Google, Amazon, Apple, Facebook (e anche Microsoft) riuscirà ad aggiudicarsi la partita dell’assistenza virtuale (una partita che, come Google e Amazon hanno capito bene, comincia dal divano di casa), potrà assicurarsi introiti da capogiro per diversi anni a venire.
È il caso di prepararsi, dunque. Chi segue un po’ il mondo della tecnologia sa che le grandi aziende sono in grado di dettare tendenze e pilotare le scelte degli utenti, e tutti i segnali ci dicono che la prossima tendenza sarà affidarsi alla tecnologia per qualunque cosa, possibilmente blaterando richieste svaccati sul divano come bambini degli anni ’80 che invocano l’intervento dei genitori. Io sono stato un bambino negli anni ’80, e posso assicurarvelo: i bambini degli anni ’80 erano degli inetti, e forse il bambino inetto è davvero il tipo di cliente ideale per le grandi corporazioni dell’hi-tech.
Se fossi più paranoico, arriverei a dire che ci stanno costruendo attorno un vero e proprio matrix alla Wachowski, aggiungendo pezzi di una gabbia digitale in modo così impercettibile da farci credere di avere ancora il controllo delle nostre vite. Per fortuna, siamo ancora in tempo a rendercene conto, altrimenti… Aspetta, è un gatto nero quello?
Credo di avere appena avuto un déjà vu.