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Governo Conte: perché è possibile un trumpismo all'italiana (anzi no)

È possibile un trumpismo all'italiana? Quello spericolato imbroglione di Steve Bannon, il consigliori della malora, dice ad Antonello Guerrera di Repubblica che è fatta, Roma è il centro del mondo, è nato il primo governo populista, l'euro e l'Unione sono destinati a morire, ci sarà una Confederazione di stati sovrani e sovranisti, web e informazione alternativa, con i fatti alternativi famosi, saranno padroni del campo.

Il più famoso disoccupato del mondo si porta avanti col lavoro. Ma la domanda è lecita. È possibile un trumpismo all'italiana? Per molte ragioni no, per molte ragioni sì. La risposta non può che essere ambivalente. Vediamo prima le ragioni del no.

Le ragioni per cui non è possibile un trumpismo all'italiana

Il potere esecutivo in America è fortissimo, in Italia fragile. La legittimazione dell'impostura democratica di Trump è notevole, è stato eletto secondo le regole, senza la maggioranza del voto popolare ma con la maggioranza del Collegio elettorale che assicura la rappresentanza proporzionale corretta degli stati in un'unione di stati, e si è votato il suo programma, diciamo così, le sue demagogiche mattane da celebrity system, il suo Grande fratello.

Da noi due forze diverse e territorialmente e socialmente differenziate, tranne che per la cultura d'assalto alle istituzioni dette élite, hanno combinato in parlamento, dopo una marea di pasticci, un governo parlamentare molto ordinario, che si distingue per la chiacchiera su vitalizi, Jobs act, reddito di cittadinanza, flat tax, spesa facile e in deficit, e muri elevati nel mar Mediterraneo, ma in quanto coalizione o contratto non furono votate da nessuno.

Trump è padrone del suo bilancio, esporta con la politica estera e le tariffe la forza degli Stati Uniti nel mondo, è padrone in casa sua come pochi, insomma. I nostri eroi invece ereditano un debito colossale, vivono all'ombra di una potenziale crisi finanziaria maggiore, fanno parte di una rete sovranazionale e intergovernativa che ha per capitale Bruxelles, e per banca centrale un istituto con sede a Francoforte, e l'isolazionismo all'ombra del putinismo o del lepenismo non sembra una possibilità concreta, visto che l'integrazione europea è nella Costituzione e il progetto post-sovranista è nato a Roma nel lontano 1957, con i celebri Patti. E per quanto in crisi da un paio di decenni questo progetto ha garantito per settant'anni pace e prosperità, due elementi della vita comune che il Novecento aveva escluso dal panorama storico in favore di guerre e miseria nel contrasto tra le nazioni.

Trump assume e licenzia a piacimento, tra un Big Mac e l'altro, e la sua disintermediazione, cioè il rapporto diretto con l'uomo medio elevato a eroe di una rivoluzione dei "dimenticati", infrange il muro di un'informazione potente, dignitosa, autonoma eppure stolidamente correttista, politicamente correttissima, schiava dell'identitarismo liberal, l'adunata delle minoranze di genere e di etnia, una linea di resistenza che è anche un bersaglio ideale per un amerikkano del Paese di mezzo con la doppia k.

Da noi con il licenziamento dell'integro e anomaloAlessandro Barbano dalla direzione del Mattino, normale a suo modo dopo cinque anni di gestione ma deciso in un momento che ha qualcosa di sinistro, e altri segnali, tra i quali le balle raccontate in tv sul debito, pro domo populista, dall'ex candidata alla presidenza della Repubblica grillozza Milena Gabanelli, suona già la tromba dell'allineamento, e un'informazione allineata rischia di creare più guai di un sistema di opposizione ragionevole e argomentato, sa di regime, allarma, divide.

Le ragioni per cui è possibile un trumpismo all'italiana

Vediamo ora le ragioni della risposta affermativa alla domanda sul trumpismo all'italiana. Il fatto che l'Italia abbia fatto, in modi diversi ma convergenti, alcune riforme importanti con Monti, Letta e Renzi, e che abbia visto una ripresina che è una messa in sicurezza piena di smagliature e circondata dal malumore al Nord e al Sud, non è decisivo, come si è visto il 4 di marzo e, prima, il 4 di dicembre del 2016 con il referendum sulla riforma costituzionale.

La ribellione è un fatto, e la catastrofe dell'establishment politico, per usare una semplificazione dell'asse Renzi-Berlusconi, è un altro fatto. La legittimazione del governo Conte è debole, ed è nato in circostanze addirittura grottesche, l'idea di un italiano medio insoddisfatto, che cerca l'autoritarismo come soluzione, ha antiche radici in questo Paese.

I costi finanziari e umani della controriforma di bilancio e della guerra al negher possono essere controbilanciati dalla percezione di una nuova ed efficace rappresentanza politica degli interessi negletti. Ma servono molti soldi, serve una rottura con l'Unione, guidata magari, e non attiva fino al punto di non ritorno, ma rottura con tutti i rischi. Rottura con una logica che ha l'insegna della compatibilità del debito e della comunità dei criteri di vita di una società aperta e di mercato.

Se riempissero non si sa come il sistema scassato dell'Italia improduttiva di soldi facili, e quella produttiva di alleggerimenti fiscali veri, e riuscissero in poco tempo a fermare l'esodo biblico degli africani, a colpi di tuìt e di smargiassate di successo, con l'Unione che abbozza perché l'Italia è troppo grande per fallire, un trumpismo all'italiana per un annetto o due si rivelerebbe possibile.


(Articolo pubblicato sul n° 25 di Panorama, in edicola dal 7 giugno 2018 con il titolo "Sentitevi pure dei piccoli Trump, ma Roma non è Washington")

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