Calcio
April 28 2021
Può il numero uno operativo di un'azienda che fattura oltre 170 milioni di euro e ha come core business la gestione di un settore da 3,5 miliardi guadagnare 36mila euro lordi all'anno? No. Non può. Da nessuna parte e quindi nemmeno nel calcio italiano. Ma siccome il manager in questione è il presidente della Federcalcio, Gabriele Gravina, e sul pallone il diritto di parola e di critica non si nega a nessuno, ecco che la decisione di aumentare il compenso e varare una riforma degli 'stipendi' di chi si occupa del funzionamento della Figc è diventata tema di scandalo.
Polemiche difficili da comprendere, visto che 36mila euro lordi sono meno di quanto prende un impiegato assunto e coprivano non solo il lavoro a tempo pieno che Gravina e i suoi predecessori portavano avanti, non senza responsabilità. Non a caso una delle battute circolanti a Roma in zona via Allegri è sempre stata che, per candidarsi, i requisiti fondamentali fossero essere ricchi o pensionati (come Tavecchio, ex dirigente di banca) e residenti nella Capitale. Troppo poco per immaginare di potersi aprire al mercato e anche a figure esterne con competenze trasversali.
Ora il presidente della Figc - per primo Gabriele Gravina - riceverà un compenso intorno ai 240mila euro lordi che è in linea con la media delle federazioni europee dove c'è anche chi, è il caso della Spagna, addirittura partecipa in percentuale sui ricavi per determinare il proprio stipendio. La linea dei 240mila euro è quella del tetto massimo che dal 2014 è imposta per legge nel pubblico anche se la Federcalcio è in realtà un ente privato e quindi potrebbe serenamente andare oltre senza incorrere in alcune violazione delle norme. L'aumento è stato concordato con il Coni e la riorganizzazione dei compensi riguarderà anche altre figure operative in attesa di potersi allargare anche alle consulenze.
Uno scandalo? No. Difficile immaginare nel privato un'azienda in utile (la Figc lo è), con fatturati da centinaia di milioni di euro che dipendono per la maggior parte da contratti commerciali e attività corporate e che distribuisce denaro a pioggia a una filiera di migliaia di soggetti (nel 2020 sono usciti dalle casse oltre 32 milioni) che si possa reggere sul lavoro di un manager con stipendio mancia da 36mila euro lordi. La parola chiave è trasparenza. E apertura verso il futuro, perché solo potendo immaginare di attrarre un giorno anche manager esterni, se non a prezzi di mercato almeno non a sconto, si può pensare di dare impulso al cervello pensante di uno dei settori industriali trainanti il Paese.