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November 17 2024
«A pochi eletti è rivolta la luce dell’Aurora», canta Emily Dickinson. E i miei pensieri corrono subito alla rappresentazione che dell’Aurora fecero due grandi artisti del Barocco italiano, Guido Reni e il Guercino, che continuano a esser rivali nei due rispettivi Casini a Roma, il Pallavicini Rospigliosi e il Ludovisi. Al Divin Guido, dice Roberto Longhi, si deve l’armoniosa coesistenza fra «una bellezza antica» e «un’anima cristiana», in grado di offrirsi al nostro sguardo come un cammeo ellenizzante, come una fioritura luminosa, chiara e composta.
Molto diverso il saggio del Guercino, la cui pittura è già più avanti, si lancia in piroette tardo-barocche, nutrita da polifonie del passato. La sua Aurora mostra una forza diversa, più drammatica, espressiva. L’intenso contrappunto generato dal colore e dai suoi accostamenti e la grazia rivelatrice della luce radente generano un effetto insolito, che sa di lirico ed evocativo.
Siamo lontano dalla violenta teatralità e dalla crudezza naturalistica di Caravaggio, che pur ne influenza la ricerca giovanile. Il Guercino si nutre, tuttavia, della luce veneta, di Tiziano e del Veronese, delle soluzioni eccentriche ferraresi alla Dosso Dossi, ricrea un caldo gioco barocco. Le architetture svettanti che si trovano sotto il carro dell’Aurora e che accentuano la spinta verso il cielo, accompagnano chi osserva dal basso verso l’epifania della luce, laddove le ombre sembrano fra loro rincorrersi. Si dispiega ai nostri occhi un vorticoso quanto delicato effetto d’insieme, narrativo ed immediato. Giovan Francesco Barbieri, chiamato il Guercino per un difetto all’occhio destro, pur trascorrendo gran parte della sua vita nella sua città natale, Cento, fra Bologna e Ferrara, è destinato a divenire uno dei più grandi artisti del Barocco romano.
Ora, Le Scuderie del Quirinale ospitano la mostra Guercino. L’era Ludovisi a Roma, con un patrimonio espositivo Con 122 opere, in arrivo da 68 tra musei e collezioni nazionali e internazionali. In questa ricchezza figurano anche tele di Annibale e Ludovico Carracci, Guido Reni, Domenichino, ma anche Dosso Dossi, Paris Bordon, Jacopo Bassano (a rappresentare il collezionismo Ludovisi di opere cinquecentesche che fece scuola nella Roma del Seicento). L’esposizione racconta il rapporto tra arte e potere, attraverso la lente privilegiata del sodalizio di committenza che legò Guercino, vissuto tra 1591 e 1666, e la dinastia bolognese dei Ludovisi, a cavallo del breve ma cruciale pontificato di Papa Gregorio XV (1621-1623), al secolo Alessandro Ludovisi. Un’occasione in cui saranno visitabili anche alcuni ambienti del Casino di Villa Ludovisi, tra i quali la sala con la celebre Aurora.
«Dipinge con somma felicità d’invenzione», scrive in una lettera il suo maestro Ludovico Carracci. Da questi il Guercino apprende i segreti del chiaroscuro e di una pittura disinvolta. I Carracci, del resto, avevano già abbandonato gli artifici della vecchia maniera per tornare a celebrare la realtà, con maggiore naturalezza. Longhi parla proprio di un nuovo «movente inteso a scavalcare il cadavere del manierismo». Sempre Ludovico Carracci lo definisce come «un gran disegnatore e coloritore». Il Guercino dà vita a dei disegni sensazionali, spesso arricchiti da tenui ritocchi ad acquerello. Sono disegni eseguiti per puro diletto, magari per qualche studio preparatorio o per i propri allievi. Ma, a prescindere dalla loro destinazione, sono piccoli capolavori in cui mette in scena la naturalezza del nudo, il gesto, la posa, l’atteggiamento del soggetto, con un unico obiettivo, indagare e celebrare la forza espressiva del corpo. Egli dipinge dal vero, riprende, ancora con Longhi, quello «spettacolo mutevole delle circostanze di natura» che era divenuto il vessillo dei Carracci.
Allo stesso modo, in tutte le sue opere, l’uso del colore si apre a soluzioni che definirei inedite. Nella Roma barocca, che è un cantiere d’arte in continuo fermento, il Guercino opera una sintesi magistrale fra il cromatismo luminoso veneto e il classicismo romano.
Ci basti immaginare che i Ludovisi erano sofisticati committenti e raffinati collezionisti, che amavano circondarsi di opere antiche, come dei grandi nomi della pittura rinascimentale. L’opera del Guercino accoglie tutte le suggestioni dei grandi maestri del passato, dalla potenza michelangiolesca all’armonia di Raffaello, dalla seduzione cromatica dei veneti fino alla sensualità di Correggio, e le traduce in una nuova visione, personale e moderna.
Le prime opere giovanili, del periodo per così dire «emiliano», sono ancora immerse in un’atmosfera magica, sospesa, a tratti elegiaca, in cui la luce accentua la dimensione onirica e il colore si stende pastoso sulla superficie. Mi sovviene la tela di Sansone e i Filistei, custodita al Metropolitan di New York, un ritratto naturalistico che si abbandona al piacere erotico del corpo. Con il trasferimento a Roma, sotto l’ala di Alessandro Ludovisi, Papa Gregorio XV dal 1621, la sua pittura sembra invece virare verso nuove soluzioni, che anelano a una sorta di conciliazione fra il proprio temperamento e i modelli classicisti, come il Domenichino. Un percorso che, nel corso del tempo, lo porta in qualche modo ad aderire a un’idea di forma più tradizionale, contenuta, rigorosa, razionale, classicista per l’appunto.
Nella ricostruzione della mostra, a cura di Raffaella Morselli e Caterina Volpi, appaiono opere celebri e altre ritrovate, come l’inedito Mosè che dà la copertina al catalogo. In parallelo si ammirano il Busto di Gregorio XV di Gian Lorenzo Bernini, l’Autoritratto di Guercino di collezione privata, la serie integrale delle tele commissionate dai Ludovisi quando ancora risiedevano a Bologna, una ricchissima scelta di disegni che documentano la fase ideativa e progettuale degli affreschi del Casino Ludovisi; alcuni capolavori dalle antiche collezioni Ludovisi come la grandiosa tela di Domenichino del Peccato originale di collezione Rospigliosi Pallavicini mai vista prima, e l’Ares Ludovisi, insieme ad altre antichità provenienti da Palazzo Altemps.
Sono anche presenti le due fondamentali pale commissionate contemporaneamente nel 1624 ai due rivali Guercino e Reni dai Ludovisi, la Pala della Ghiara del primo e quella della Santissima Trinità del secondo. Inoltre, c’è il grandioso soffitto proveniente dalla Chiesa di San Crisogono a Roma, voluto da Scipione Borghese e portato via dall’Italia nell’Ottocento perché acquistato dal Duca di Sutherland, e da allora non più visibile perché conservato in Inghilterra a Lancaster House. La sala dei paesaggi contiene alcune testimonianze del Guercino giovanile, affiancate a vedute dei principali paesaggisti attivi a Roma.
In ogni caso, tutta l’opera del Guercino è attraversata dal desiderio di risolvere la dialettica fra Dio e l’uomo. Riconoscere il trascendente significa essere richiamati a sé stessi. La grazia divina, che è anche salvezza, deve essere a tutti accessibile e decifrabile, semmai, attraverso il mistero dei simboli. La più audace innovazione dell’artista è quella di aver restituito proprio alla grazia il suo temperamento.