Panorama D'Italia
May 11 2018
Democrazia e Europa. Sono queste le due parole, i due pilastri, da cui ripartire per quelli che si annunciano come cinque anni di “traversata del deserto” secondo Lorenzo Guerini, coordinatore della segreteria del Pd, che a Panorama d’Italia, nella Sala Galmozzi della Biblioteca Caversazzi di Bergamo, ha parlato di governo giallo-verde (5S-Lega) e di prospettive della sinistra.
“Democrazia”, anzitutto. Guerini cita la Costituzione, l’art. 49 per il quale “tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Un ruolo di mediazione proprio della nostra democrazia che è parlamentare e rappresentativa, ed è appunto fondata sulla mediazione dei partiti.
Un modello che sarebbe completamente diverso da quello a cui fa riferimento il movimento fondato da Beppe Grillo, ossia una democrazia diretta nella quale “uno uguale uno” e che scavalca ogni mediazione. Ma anche diverso, per Guerini, da quello della destra, in particolare della Lega, che bypassa le mediazioni per proporsi come “amplificatore, più che interprete”, di umori e proteste popolari. Il populismo, appunto.
E proprio il populismo sarebbe stata la ragione della “vittoria delle destre” nelle ultime elezioni. Aperta parentesi: a proposito di trasparenza e conflitto di interessi, “andrebbe studiato a fondo il ruolo di Casaleggio e associati per capire il processo decisionale del Movimento 5 Stelle”. Ne va della nostra democrazia.
Certo, dice Guerini, errori ne sono stati commessi dal Pd e dal governo di centrosinistra. Errori anche di comunicazione, perché invece di raccontare “quello che di buono veniva fatto ed è stato tanto”, si presentava all’esterno e agli elettori l’immagine di un partito diviso, che neppure condivideva le proprie scelte. “Ricordo interventi in aula nei quali parlavo a nome del gruppo su provvedimenti di governo e subito dopo si alzava qualcuno dei nostri per dire il contrario, senza neanche presentare la sua come opinione in dissenso ma indicandola come quella di ‘una parte del gruppo’”.
Uno scontro interno, che ha prodotto la scissione e non si è placato neppure dopo la fuoriuscita della sinistra. “Senza voler fare troppi paragoni tra politica e marketing, è come se avessimo dovuto ‘vendere’ un prodotto e nel presentarlo qualcuno di noi dicesse ogni volta tutto ciò che poteva avere di negativo”.
Quanto alle “cose buone fatte”, Guerini cita la legge che per la prima volta ha offerto un insieme organico di misure mirate al contrasto alla povertà, i provvedimenti per la riduzione della pressione fiscale (di fatto anche gli 80 euro, ma non solo), il credito d’imposta e gli incentivi fiscali per la ricerca e i cervelli in fuga incoraggiati a rientrare, la battaglia in Europa contro la dittatura dell’austerità, la drastica caduta del numero di sbarchi clandestini grazie alle politiche del ministro Minniti…
Per ripartire, adesso, il Pd ha bisogno di restare ancorato ai valori di una “sinistra moderna”. Guerini appartiene alla tradizione democristiana, la rivendica, ne sottolinea il radicamento nel territorio, nel sociale, nella cultura. Cita Aldo Moro del quale si è appena ricordata l’uccisione, il 9 maggio, e invita a “tenersi stretti il presidente Mattarella” quando viene sollecitato a esprimersi sul fatto che per la prima volta da tanti anni, forse, la sinistra del Pd non sarà titolare in prima battuta della scelta del prossimo capo dello Stato, quando sarà.
Il primo appuntamento elettorale importante nel quale mettere alla prova questa “sinistra moderna” saranno le Europee del 2019. L’Europa, in un mondo nel quale perfino il tradizionale alleato americano ha imboccato la strada del “populismo”, resta l’orizzonte da preservare.
L’Europa minacciata però, al proprio interno, dal “gruppo di Visegrad”, il quartetto dell’Est (Polonia, Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca) che sarebbero portatori di una visione dirompente, populista e di destra, che fa muro verso i profughi di guerra. L’Italia rischia per Guerini di aggiungersi come ulteriore importante tassello in questa deriva populista europea. La battaglia che il Pd farà dall’opposizione riguarda le misure già indicate da Lega e 5S come potenzialmente nel programma di governo. A partire dalla flat tax, che costerebbe “tra i 90 e i 110 miliardi a seconda degli studi”. Misure “irrealizzabili”, che richiedono coperture impossibili e oltretutto sono in contraddizione tra loro (flat tax e reddito di cittadinanza, per esempio).
L’opposizione del Pd non sarà però “fondata su pregiudizi, riguarderà il contenuto dei provvedimenti anche se c’è poco da sperare e da aspettarsi, a cominciare dalle nomine se il criterio sarà quello adottato a inizio legislatura per la scelta dei ruoli di garanzia dove 5S e Lega si sono limitati a comunicarci le loro decisioni”.
Quanto al Pd, “ripartiremo dal Congresso, perché anche se possiamo aver peccato di un eccesso di sicurezza, rispettiamo la democrazia e in primo luogo la democrazia interna. A differenza degli altri”.